Non si può escludere – è nella
realtà delle cose per come si vedono e si sentono – che una consistente parte
dell’elettorato non andrà a votare. Una parte di astensione è fisiologica. Al
di sopra del 30 % incomincia ad essere patologica, perché vorrebbe dire che a
votare sarà andato meno del 70 % degli aventi diritto, al di sotto del 65 %
sarebbe gravemente patologica. A questi nostri concittadini delusi e impigriti,
arrabbiati e stanchi, va rivolto un appello, va fatto un piccolo ragionamento;
senza presunzione alcuna.
Prima di tutto va loro
riconosciuta la legittimità dell’astensione. In fondo astenersi è un po’ come
votare non votando, volendo significare il rifiuto totale, netto di una
situazione che si ritiene insostenibile. Dunque, nessuna lezione di etica. Ma
un invito a riflettere: ogni situazione può volgere al meglio o al peggio; e al
peggio – si sa – non c’è mai un limite. Chi pensa di averlo raggiunto e si
comporta secondo la logica perversa del tanto peggio tanto meglio si sbaglia.
La politica ha fatto errori
imperdonabili, strumenti e forme di organizzazione politica non ci sono più, le
fazioni si sono personalizzate, i protagonisti non sono più credibili e
soprattutto non offrono garanzie. Mai visti in Italia leader così forti sul
piano personale, così deboli sul piano politico come i tre che hanno tenuto la
scena in questa campagna elettorale. Nessuno di essi è in grado di poter
esercitare sul proprio seguito un potere decisionale sicuro e duraturo.
Sembrano dar ragione al sociologo venezuelano Moisés Naím, il quale sostiene
nel suo libro «La fine del potere» che il potere «una volta che lo si è
conquistato è più difficile esercitarlo e [che] negli ultimi trent’anni le
barriere del potere si sono indebolite molto rapidamente, [che] ora sono più
facili da minare, travolgere e aggirare». Come dire: se è facile e rapido
conquistare il potere, altrettanto facile e rapido è perderlo; difficile
esercitarlo. Berlusconi, Grillo e Renzi, per rapidità di raggiungimento del
potere, sembrano dare ragione a questa tesi; l’uno, l’altro e l’altro possono
perdere le posizioni così rapidamente conquistate. Già Berlusconi ha iniziato
il declino, potrebbero seguirlo gli altri due. Grillo, tra il comico e il serio,
ha parlato di “lupara bianca” per spiegare la “scomparsa” di Enrico Letta, che
sembrava l’astro nascente della politica italiana meno di tre mesi fa; e ha
preconizzato a Renzi la stessa fine. Ma lui stesso non si salva da questa
“coppola storta” che è ormai il potere. Potrebbe essere questo l’ultimo canto
del Grillo.
Ma non andare a votare, quale che
ne sia la motivazione, è rinunciare al minimo di contributo che si può dare per
uscire da una situazione che potrebbe diventare drammatica. Gli scenari prospettati
dalla disintegrazione dell’Europa, con l’uscita dall’Euro o addirittura con la
rivendicazione delle rispettive sovranità nazionali, ottocentescamente intese,
per quanto suggestive e forse anche per certi aspetti legittime, non promettono
nulla di buono. Interrompere un processo politico in corso non significa ipso facto il ritorno al punto di
partenza. Sarebbe come illudersi di restituire in vita una persona morta
spostando all’indietro il calendario. Significa entrare nella zona del
disordine generalizzato, nel regno dell’imprevisto.
Bisogna allora votare, pur con
riserve di scetticismo e di critica; anzi a maggior ragione euroscettici ed
eurocritici devono andare a votare per farsi sentire nella sede opportuna, per
cercare di migliorare o aggiustare certi percorsi che hanno fatto perdere
fiducia nella politica italiana e nelle istituzioni europee, più appiattite su
equilibri economici ed egemonie ideologiche che sulle questioni politiche e
pragmatiche rispettose delle individualità nazionali.
E’ vero che noi italiani l’Europa
l’abbiamo assunta come una bibita fresca, cui abbiamo dato nomi di propaganda,
eurocomunismo alla Berlinguer, eurodestra alla Almirante, euroallegria alla
Prodi, quando si poteva invece riflettere di più e incidere meglio, ma pensare
di poter fare marcia indietro oggi è assurdo, è un rinnegare tante battaglie
fatte.
Certo, non è questa l’Europa che
i giovani di destra e di sinistra ipotizzavano, forse non è neppure quella
pensata dai padri dell’Europa, dai De Gasperi, dagli Adenauer, dagli Schuman;
ma bisogna considerare che nessun desiderio in politica si realizza
completamente, tanto meno si realizza quando non ha i contorni ben precisi e si
presenta come una bella infatuazione. Per anni si è gridato all’Europa, come ad
un sogno; forse perché si pensava che non si sarebbe mai avverato e ci si
poteva vestire di bello senza pagare un prezzo. Con l’Europa realizzata c’è
stato il risveglio, cui è seguita la delusione e l’amarezza di un tradimento.
Ma votare oggi è importante. Gli italiani
hanno un’ampia possibilità di scelta, tra opzioni che hanno tutte alla base
l’imprescindibilità dall’Europa. Si voti per una di esse. Non votare significa
voler ricadere nel sonno con la speranza di poter sognare un’altra Europa.
L’opzione “non Europa”, oggi, non esiste. Buon voto a tutti!
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