L’assemblea sindacale di polizia
che riserva una standing ovation di
cinque minuti all’ingresso di alcuni colleghi poliziotti processati e
condannati per aver ucciso di botte un ragazzo a Ferrara qualche anno fa (caso
Aldovrandi) è stata una dimostrazione di rivolta, un ammutinamento diversamente
ambientato. Nella nave dello Stato una consistente parte dell’equipaggio si è
ribellata contro i comandanti. Una cosa allarmante. Vergognosa, indegna non
direi, perché nella circostanza queste parole non vogliono dire nulla. Ma le
hanno dette in coro! E, allora? Nel coro si gracida come le rane nello stagno;
fuori dal coro si ragiona. E qui occorre ragionare.
Vogliamo intanto chiederci per
quale ragione un’assemblea di poliziotti si è comportata in questo modo. Ci
rifiutiamo di pensare che in Italia la Polizia di Stato recluti delinquenti,
irresponsabili, gentaglia che si diverte a menare le mani e all’occasione a
uccidere ed altra che applaude.
Lo spettacolo offerto da quell’assemblea
è sicuramente la spia di un malessere assai grave che va oltre l’episodio del
giovane ucciso e dei poliziotti processati e condannati. Già qualche anno fa
altri poliziotti avevano manifestato in difesa dei loro colleghi per lo stesso
episodio proprio davanti alla casa dove abitava la famiglia di quel giovane.
Qui siamo in presenza di una contrapposizione tra una parte della Polizia, che
non si sente adeguatamente tutelata, e un’altra parte della società colpita
dalle reazioni spesso spropositate e sproporzionate della Polizia. Una
contrapposizione pericolosa che denota la situazione di crisi diffusa delle
nostre istituzioni e della società nel suo complesso. Se il poliziotto è visto
come un nemico da dileggiare e da colpire e se il poliziotto ritiene il
cittadino che lo dileggia e lo colpisce un delinquente da eliminare sul campo
vuol dire che lo Stato non è più in grado di imporre a nessuno il rispetto
della legge e a garantire il mantenimento dell’ordine.
Non è una novità che in Italia
nei confronti di quanti operano nelle strutture dello Stato, dai poliziotti
agli insegnanti, c’è una sorta di avversione; spesso i rappresentanti dello
Stato sono considerati target sociali
da colpire impunemente, nella convinzione diffusa che non possono e non devono
difendersi. Un poliziotto nel migliore dei casi è considerato uno che ha il
posto sicuro e che vive coi soldi della collettività senza nulla dare di
produttivo; nel peggiore, uno che è servo del sistema, posto a difesa dei
privilegi dei ricchi e degli sfruttatori. Una simile opinione non trova eguali
in nessun paese moderno e democratico, dove il rappresentante dello Stato gode
di un ben diverso rispetto ed è ben diversamente tutelato nell’esercizio delle
sue delicate funzioni.
E’ questa la ragione del
ripetersi di casi in cui dei poliziotti eccedono contro dei cittadini colti in
flagranza di reato; e per questo sono giustamente processati e condannati. I
fatti del G8 di Genova con l’assalto alla Caserma Diaz e il pestaggio di quanti
erano dentro costituiscono il punto più grave perché fu una sorta di spedizione
punitiva pianificata, che è cosa inconcepibile per chi opera nei ranghi dello
Stato e indossa una divisa che obbliga a comportamenti canonici.
Le regole d’ingaggio sono
precise: i poliziotti sono mandati sulle piazze per proteggere certe zone o
certi edifici, ma lo devono fare secondo regole che impediscono di battersi con
gli assalitori alla pari; devono limitarsi a disperdere coi mezzi che sono loro
in dotazione: lacrimogeni da lontano e manganelli da vicino. Dall’altra parte,
invece, squadre di manifestanti con caschi e passamontagna, armati di tutto,
non pongono limiti all’uso di armi, che vanno dalle bottiglie incendiarie, alle
pietre, alle spranghe di ferro e ad ogni altro mezzo contundente. Lo scontro è
sempre diseguale e asimmetrico. Chi ne paga le conseguenze maggiori sono i
poliziotti e i cittadini che capitano in mezzo, i quali si vedono bruciare
l’auto, distruggere il negozio, e spesso subire aggressioni personali.
Cosa fanno le istituzioni per
tutelare sia i poliziotti, operativamente limitati nello scontro, sia i
cittadini che subiscono danni? Nulla, non fanno nulla. Le manifestazioni di
piazza sono contenitori di violenze impunibili. Se qualche manifestante viene
preso, pur con prove inoppugnabili di aver compiuto reati contro persone e
cose, viene immediatamente rilasciato e condannato a pene di nessuna entità
persuadente a non commettere più quei reati o a convincere altri di astenersi
dal commetterne.
E qui è il punto più importante.
Si condanni pure il poliziotto che è passato materialmente sopra il corpo di
una ragazza già stesa per terra, si condanni il poliziotto che ha dato qualche
manganellata non proprio necessaria; ma condannate anche i delinquenti che si
infiltrano in manifestazioni pacifiche per saccheggiare, distruggere e
uccidere. Se lo Stato non vuole punire i delinquenti che attaccano i suoi
rappresentanti e i cittadini inermi per non passare per Stato di polizia,
allora non può uscirsene con un «vergognoso» o «indegno» se il sindacato di
polizia lancia un messaggio di legittima protesta, sicuramente sbagliata nella
forma ma efficace.
Il problema delle manifestazioni
di piazza incomincia a diventare un problema serio non solo in Italia. Lasciar
fare a degli scalmanati significa fare la fine dei regimi politici come quelli
di Tunisia, Egitto, Libia. La
Siria , per difendere lo Stato, ha scatenato una guerra
civile. La Turchia
ha usato le maniere forti per evitare il peggio. L’Ucraina si trova sull’orlo
di un’altra assai più grave e coinvolgente guerra civile in seguito ai
movimenti di piazza che qualche mese fa misero a ferro e a fuoco piazze ed
edifici di Kiev costringendo il legittimo presidente a fuggire. Sulle piazze
vanno delle minoranze, che, sebbene motivate da buoni e nobili propositi,
possono solo rappresentare una parte della popolazione. Il che non significa
che l’altra parte, la maggioranza moderata, sia d’accordo. Può essere – e il
caso dell’Ucraina lo dimostra – che non lo sia affatto e che quando ritiene di
non poterne più passi al contrattacco.
Lo Stato deve recuperare il senso
di sé e difendere senza complessi di torto o di colpa le istituzioni e la
gente. Se non lo fa, è il disordine generalizzato; è, come sta accadendo in
Italia, la rivolta di chi è stanco di andare a difendere la legge e l’ordine da
chi la legge e l’ordine li attacca impunemente. Se non si sana questa disparità
è ridicolo, non vergognoso, strillare ogni qualvolta che la parte più colpita
trovi il modo, sia come sia, di protestare.
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