domenica 11 maggio 2014

Riuscirà il dittatore Renzi a salvare la Repubblica in pericolo?


La gloriosa Respublica Romana aveva una magistratura particolare per i tempi in cui versava in seri pericoli: la dittatura. Il Senato si sospendeva per il periodo necessario ad uscire dalla crisi dopo aver affidato tutto il potere ad un dittatore, il quale, a pericolo scampato, rimetteva la carica allo stesso Senato dal quale l’aveva ricevuta. Il più celebre di questi dittatori fu Cincinnato, il quale, richiamato “in servizio” preferì l’aratro alla spada; dittatore non si può essere che una volta.
Oggi in Italia viviamo qualcosa di simile, senza che nella Costituzione della Repubblica tanto fosse previsto e contemplato. Per una serie di congiunture economiche e politiche si è pensato di congelare la massima istituzione, quella del Presidente della Repubblica, che formalmente è stato rieletto a stragrande maggioranza di consensi. E, pur di fronte ad una sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato il Parlamento eletto con una legge incostituzionale, il Porcellum, si è andati avanti come se nulla fosse, fino a giungere all’affidamento del governo ad un signor “nessuno”. Matteo Renzi, infatti, è capo del governo con una investitura presidenziale che i costituzionalisti, non tutti e non in maniera esplicita, giudicano forzata o borderline. Per politically correct: bisogna capire.
Renzi, che nel volto e nella loquela ricorda qualche personaggio boccaccesco, si è circondato di comparse in gran parte femminili, le quali gli sono così devote che non oserebbero mai creargli dei problemi; della serie diversamente maschilista. Grillo a parte, che comunque non è configurabile come opposizione attendibile, non tanto nella qualità quanto nella quantità, non c’è opposizione. Quella di Forza Italia è, a volerla giudicare benevolmente, una mezza opposizione, dato che per le riforme appoggia il governo e si dice pronta ad appoggiarlo se il Paese dovesse trovarsi in ancor più serie difficoltà. Nel Pd nessuno osa più fiatare. Nessuno, neppure i rottamati, gli umiliati e offesi. Conviene a tutti che Renzi vada avanti, perché porta il pane a casa, fuor di metafora sembra che dal punto di vista elettorale funzioni.
Renzi, dunque, si trova ad esercitare il potere da solo; nella forma non lo è, ma in sostanza è così. Dice: in settanta giorni abbiamo iniziato le riforme e abbiamo dato ottanta euro a dieci milioni di italiani. Non è molto quanto è stato fatto, ma non è neanche poco, anche se la solita politica degli annunci, di cui fu maestro Berlusconi – ricordate lo spot televisivo con il timbro “fatto”? –, stia facendo capolino, pur nel rispettoso silenzio dei grandi elettori e dei media, tutti allineati e coperti. Ma prendiamo per credibile quanto dice il Capo e quanto subito dopo replica, con le stesse parole, il gineceo.
La situazione, tuttavia, non sfugge a nessuno: Renzi fa quello che vuole. Prende provvedimenti senza sentire le parti sociali; se qualche dissenso emerge nella sua stessa maggioranza pone il voto di fiducia e il suo provvedimento passa. Poi esce in televisione e con iattanza dice: la palude voleva fermarmi, ma non è riuscita. La palude sarebbe quella parte della sua stessa maggioranza che lo aveva costretto a porre il voto di fiducia.
In verità – bisogna sempre dire la verità! – sta crescendo una nuova idea di dirigenza politica a livello governativo, che va ben oltre i singoli provvedimenti. Non è tanto il decisionismo in sé quanto il decisionismo nella versione Renzi, qualcosa di più rapido, rude e veloce; tollerato e favorito. Renzi è riuscito a far passare l’idea che tutti, in presenza di una crisi così minacciosa come quella che stiamo vivendo, devono piegarsi a qualche sacrificio. Quando mai sarebbe stato possibile ridurre stipendi e pensioni di manager e magistrati? Che, scherziamo? Fosse stato non dico Berlusconi, ma chiunque altro in altro momento, sarebbe stato fatto fuori il giorno dopo, salvo che non fosse stato ricoverato in psichiatria il giorno prima. Renzi è riuscito.
Sta accadendo che anche per il reperimento di danaro per fare fronte ad alcune iniziative, come i dieci miliardi per gli ottanta euro in busta paga per dieci milioni di italiani, Renzi è riuscito a trovarli. Chi altri sarebbe riuscito? Nessuno. Ho sentito un esponente del Movimento 5 Stelle dire che quando certe proposte le facevano loro si rispondeva che non c’erano i soldi per farvi fronte; quando le ha fatte Renzi i soldi sono stati trovati.
Non ci si meraviglia. Accade tante volte anche in piccoli comuni che ad un sindaco gradito l’apparato dica sempre sì e rimuova gli ostacoli, ad un sindaco sgradito sempre no, e agli ostacoli veri ne aggiunge altri fittizi. Renzi, il “Sindaco d’Italia”, così lui ama definirsi, ha a disposizione quella burocrazia che in altra sede dice di voler combattere; ma intanto essa lo aiuta a fare quello che vuole. Per il bene del Paese, si capisce! La burocrazia è femmina. Che sia spaventata o conquistata da Renzi? Può essere una cosa e l’altra, entrambe sono condizioni femminili.
Dove si vuole arrivare con tutta questa premessa? Che se Renzi riuscirà nel suo intento, di trasformare questo Paese in qualcosa di moderno, di funzionale, di pulito, tanto sarà dovuto più che al suo genio politico a tutta una serie di circostanze. Voglio dire che è normale che riesca nel suo intento; non è normale che non riesca. Se tanto dovesse accadere, se, cioè, la sua dittatura non riuscisse a salvare la Repubblica dai barbari esterni e interni, vuol dire che non i mezzi gli sono mancati ma le capacità. Nessuno, infatti, ad eccezione di Mussolini, ha governato l’Italia in assenza di oppositori e con un’ampia convergenza di fattori favorevoli.

Ci sarebbe una terza spiegazione, disperante, come disperate erano le condizioni di quando Mussolini la enunciò: governare l’Italia non è né facile né difficile, è inutile. Speriamo che non sia sempre così. In fondo, ci vogliamo bene.

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