Si può scherzare coi Santi? Io
credo di sì, perché i Santi sono buoni, capiscono e non sono vendicativi.
Invece non conviene scherzare coi fanti, che per stare nel motto sono i loro
seguaci, che non capiscono, sono permalosi e se possono te la fanno pagare.
Mettiamola così, allora: dai Santi mi guardo io; dai fanti mi guardi Iddio!
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo
II oggi, domenica 27 aprile 2014, sono canonizzati, santi a tutti gli effetti.
Ora bisogna chiamarli San Giovanni e San Giovanni Paolo, meglio San Gianpaolo
per economia di fiato. Il Cardinal Martini, dal luogo in cui si trova, deve
parlare con rispetto del papa polacco, nei confronti del quale, chiamato a dare
la sua testimonianza nel processo di santificazione, espresse un parere negativo. A suo dire, non
meritava di diventare santo perché nel corso del suo lungo pontificato avrebbe
fatto degli errori e non avrebbe saputo tenere rapporti e distanze con talune
personalità del secolo poco raccomandabili – il dittatore cileno Pinochet,
tanto per fare un nome –; insomma si sarebbe distinto di più come uomo di
politica e di potere che come uomo di chiesa e di santità. Ma un santo-santo,
per la causa santa, deve anche avere rapporti con Satana. E siccome la
santificazione è come una sentenza passata in giudicato, il Cardinal Martini,
se pure avesse ragione, dovrebbe tener conto della inappellabilità delle
decisioni di Santa Romana Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo.
Giovanni XXIII, il Papa buono, nonostante
il breve pontificato, 1958-1963, impresse una svolta decisiva alla Chiesa, non
solo con il Concilio Vaticano II, continuato dopo la sua morte da Paolo VI, ma
anche con una serie di gesti di chiara significanza politica. Fu il Papa che
ruppe una certa consuetudine. Si avvicinò alla gente, alla quale seppe sempre
parlare con parole di tenerezza e di poesia – celebre il discorso della carezza
e della luna – in un modo semplice, di immediata comprensione. Si definì un
“sacco vuoto” che poi lo Spirito Santo avrebbe riempito. La gente lo sentì
vicino, come mai in precedenza era accaduto ad un papa. Tanto più che il suo
predecessore, Pio XII, era stato la rappresentazione della distanza anche
quando scendeva dal soglio per incontrare la gente, come in occasione dei
bombardamenti al quartiere di San Lorenzo a Roma il 19 luglio 1943. Quando Pio
XII apriva le braccia e guardava al cielo sembrava volesse assumere la
posizione del Crocifisso o giungere da un capo all’altro del mondo in un gesto
ecumenico grandioso. Era coltissimo, parlava una dozzina di lingue. Avrà
faticato lo Spirito Santo a trovare un po’ di spazio per metterci qualcosa. Era
distante dal cuore della gente. Ma sarà santo pure lui, perché i papi seguono
la tradizione degli imperatori romani, ascendono alla gloria dei cieli come i
Cesari a quella dell’Olimpo.
Ma fu anche Giovanni XXIII un
papa politico, non meno politico di Pio XII, benché di orientamento decisamente
opposto. Dove uno si era caratterizzato per cultura e diplomazia, l’altro si caratterizzò
per il suo modo di fare alla buona nell’immediatezza del problema da risolvere,
fosse un conforto ai carcerati o un appello ai potenti della Terra per
scongiurare la guerra. A Russia – gli disse la figlia di Kruscev che andò a
fargli visita dopo la crisi di Cuba – ti chiamano il Papa contadino. Doveva
proprio piacere ad uno come Kruscev Giovanni XXIII; come doveva piacere a John
Kennedy, il presidente americano della Nuova frontiera. Questi tre uomini
ebbero la ventura di vivere e di operare per qualche situazione insieme, tutti
e tre funzionali ad un nuovo rapporto tra gli Stati e tra le classi sociali,
capaci di rompere col passato.
Giovanni Paolo II è stato il
grande papa che ha traghettato il Novecento dall’uno all’altro secolo, non solo
e non tanto in senso temporale, 1978-2005, ma anche e soprattutto in senso
politico. E’ stato l’iniziatore della serie dei papi stranieri. Lui, polacco,
ha contribuito ad abbattere il regime comunista, a mettere in crisi l’impero
sovietico, a restituire all’Europa quell’unità geopolitica che la spartizione
di Jalta nel dopoguerra aveva fortemente messo in discussione. Non solo la
riunificazione tedesca con l’abbattimento fisico e assai più simbolico del Muro
di Berlino, ma anche il recupero all’Europa di terre cristiane ed europee in un
processo che è tuttora in corso come i fatti drammatici dell’Ucraina
dimostrano.
Questi due papi, ora santi, pur
nella loro distanza ideologica, l’uno più spostato a sinistra, l’altro più
spostato a destra, per usare categorie profane, hanno reso all’umanità in
momenti diversi dei servigi straordinari. La visione della Chiesa che ha
bisogno di scelte, apparentemente opposte, ma sempre votate all’unico bene
comune, si è affermata con questi due pontefici, a riproporre quella bellissima
immagine di San Francesco e di San Domenico, celebrati nel Paradiso da Dante Alighieri. Santi diversi, ordini diversi, fanti
diversi, ma tutti utili alla chiesa e al mondo.
Spesso si dice che il Papa non fa
politica. Recentemente Francesco ha respinto l’accusa di comunismo, ma non v’è
dubbio alcuno che la politica la fanno, sanno di farla, per raggiungere
obiettivi che nel momento in cui la fanno ritengono importanti per gli uomini e
per gli stati. Forse non condividono il linguaggio comune: loro operano per il
bene senza porsi dei problemi di etichettatura; fanno quello che noi chiamiamo
politica.
Che poi per farli santi si abbia
bisogno di inventarsi dei miracoli, senza cui non ci può essere santificazione,
è un fatto che riguarda la percezione mondana, popolare, che parla un
linguaggio e capisce quel linguaggio, fuori del quale non c’è santità né
antisantità. I veri miracoli questi due papi li hanno fatti non guarendo da
malattie chi per la scienza medica doveva morire senz’altro, ma dando al mondo
la speranza di una prospettiva, aprendo sentieri nuovi, contribuendo con altri
grandi della Terra a risolvere dei problemi. I veri miracoli sono questi. E per
questi non c’è bisogno di scomodare testimoni, postulatori o avvocati del
diavolo. Basta vedere cosa hanno lasciato dietro di sé. E più il tempo si
allontana dalla loro esperienza terrena e più gli effetti dei loro “miracoli”
si accendono, perché il tempo è olio alla lampada dei grandi.
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