Sul Corsera di venerdì, 18
aprile, in prima pagina campeggia una lettera del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano al direttore del quotidiano milanese Ferruccio De Bortoli
«un anno dopo la rielezione». Su tutte e sei le colonne un titolo che riprende
in sintesi il pensiero di Napolitano: «Ho pagato un prezzo alla faziosità ma il
bilancio è positivo».
Dunque la risposta precede la
domanda, che, invece, è a pag. 2. Ci sta, se la risposta è quella del Presidente
della Repubblica. Ci sta di meno se si riconduce il fenomeno alla sua logica,
dovendo la risposta seguire e non precedere la domanda. Qui non è solo
questione d’impaginazione, ma di un combinato tra la Presidenza della
Repubblica e il maggior quotidiano nazionale per dare una risposta non alla
domanda del direttore ma a quella di una parte del Paese, che sale in maniera
sempre più rumorosa. Il direttore del Corsera si è prestato alla messa in
scena. Si consideri che la sera precedente, giovedì, 17 aprile, su La Sette , trasmissione “Otto e
Mezzo” di Lilly Gruber, c’era stato un animato confronto tra il prof. Paolo
Becchi, considerato l’ideologo non riconosciuto del Movimento 5 Stelle, e il
prof. Cacciari, noto filosofo e già sindaco di Venezia, difensore d’ufficio di
Napolitano e del nuovo corso politico impersonato da Matteo Renzi. Becchi è
peraltro autore di un recentissimo libretto edito da Marsilio, «Colpo di Stato
permanente. Cronache degli ultimi tre anni», in cui sostiene che in Italia c’è
un perdurante colpo di Stato che ha in Napolitano l’ideatore e l’esecutore.
Ma veniamo al succo: «Caro
Direttore, a distanza di un anno…». Già questo indica che l’iniziativa è
partita dal Presidente Napolitano per fare il punto dopo un anno dalla sua
rielezione alla Presidenza della Repubblica. Quale il pensiero? Napolitano è
convinto di aver operato nel giusto servendosi dei mezzi più leciti e rigorosi,
pur considerando l’eccezionalità del momento politico. Non entra nel merito di
nessun addebito specifico, ma respinge in blocco ogni critica, bollandola come
«faziosità».
Non è la prima volta che
Napolitano, più che respingere, stronca le critiche che gli vengono mosse.
L’accusa più pesante è di essere stato in questi ultimi tre anni lo stratega
unico della politica italiana. A partire dal giugno 2011, come ha dimostrato
Friedman col suo libro «Ammazziamo il gattopardo» e come rivendica Becchi, il
quale si ritiene il primo ad aver denunciato il “colpo di Stato”, Napolitano ha
di fatto surrogato ogni altra istituzione latitante, ed ha operato in assoluta
libertà d’iniziativa, attento solo a non urtare la suscettibilità di quel
potere senza volto che è ormai il “governo europeo” dell’Euro.
Con tutto il rispetto crediamo
che Napolitano non possa essere esente da accuse, in parte fondate e in parte
esagerate. Probabilmente non è contento della situazione in cui si è suo
malgrado ritrovato; ma, da autentico politico consumato, non si è sottratto a
responsabilità difficili e pesanti. Ecco, più che respingere o stroncare le
accuse, dovrebbe dare spiegazioni. Troppe nubi si sono addensate sulla sua
presidenza, parte delle quali ereditate, come la famigerata presunta trattativa
Stato-mafia.
Gli concediamo perciò le
attenuanti generiche, ossia l’aver operato in sostituzione obbligata di una
classe politica peggio che inesistente, squalificata e inerme; ma non quelle
specifiche delle singole scelte. Se gli va dato atto di essere rimasto solo a
far fronte ad una gravissima emergenza, non gli si può riconoscere anche l’esclusività
degli atti compiuti quasi fossero gli unici che poteva compiere. Atti che –
opinione diffusa, e non solo di giornalisti e polemisti, ma anche di
costituzionalisti di vaglia – sono stati per alcuni delle «forzature» e per
altri «borderline».
Napolitano in questi ultimi tre
anni è stato lasciato solo e se l’è cavata egregiamente, ma se tanto è vero –
ed è vero! – bisogna anche ammettere che l’Italia è un paese disastrato –
politicamente, economicamente, finanziariamente ed eticamente – alla mercé di
decisioni straniere, irresponsabili, ancorché filtrate e garantite dalla
massima carica dello Stato, che invece responsabile è.
Insomma se dopo l’anomalia Monti,
ci sono state quelle di Letta e soprattutto di Renzi non si può non ammettere
che la democrazia italiana è a corto di ossigeno. Come può essere normale che
uno diventi capo del governo senza essere passato da una consultazione
elettorale? Come può essere normale che uno senza credenziale alcuna, se non
quella di un continuo sproloquiare in abbondanza di minacce e ingiurie, possa
conquistare la massima carica dell’esecutivo secondo un percorso di normalità?
Si può passare al vaglio atto dopo atto ogni iniziativa di Napolitano e magari
constatare che ognuno è in sé ineccepibile sotto il profilo costituzionale, ma
l’esito ottenuto è democraticamente incomprensibile e perciò inaccettabile. E
siccome il risultato di più atti normali non può essere che normale, nel
momento in cui si constata che comprensibile quanto meno non è, vuol dire che
il percorso ha avuto dei lati oscuri, che ha avuto passaggi viziati, che è
maturato in un ambiente torbido e degenerato.
Di questa degenerazione politica
italiana Napolitano, in quanto Presidente della Repubblica, non ha colpa
specifica alcuna; ma non v’è dubbio che la gestione della degenerazione nel
tentativo di recuperare la condizione perduta è da attribuirla alle sue scelte.
Merito? Demerito? Bisognerebbe prima sapere e capire.
E’ su questo che si dovrebbe
aprire una discussione seria e profonda, senza accuse sommarie alla Becchi o
alla Travaglio, ma neppure senza incensamenti acritici che ricordano Plinio il
Giovane e il suo Panegirico di Traiano, ovvero la risposta a calco di De
Bortoli alla domanda autoapologetica di Napolitano.
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