domenica 8 giugno 2014

Benedetto-Francesco, la strana diarchia


Gli ultimi due papi, Benedetto XVI e Francesco I, hanno posto alla chiesa cattolica una serie di problemi non di poco conto. Probabilmente gli storici di là da venire registreranno radicali cambiamenti nella nostra epoca, che noi avvertiamo soltanto come timori o speranze, a seconda dei punti di vista.
L’11 febbraio 2013 Benedetto XVI rinunciò al soglio pontificio e, benché qualcosa l’avesse fatta trapelare da tempo, il suo gesto colse il mondo di sorpresa; non così il Vaticano, in cui chi doveva sapere sapeva. Vedemmo tutti in televisione le gerarchie che ascoltavano la lettura delle  dimissioni papali come se stessero ascoltando un banalissimo Pater noster. Sapevano, sapevano!
Il primo problema è: Benedetto XVI rinunciò sua sponte o fu indotto o costretto? Porre la questione non significa di per sé essere favorevoli o contrari ad una di queste ipotesi. Chi è aduso a trattar di storia la questione se la deve porre, mettendo da parte le categorie politiche dell’immediato e ragionando sulla base di consuetudini millenarie e di testi non smentibili. Agostino, a cui non andava giù l’accusa al cristianesimo di essere stato causa della decadenza dell’impero romano la metteva sul generale e sosteneva che ogni forma di civitas terrena prima o poi rovina perché si discosta dal modello della Civitas Dei. Per questo la chiesa cristiana conforma la sua civitas a quella celeste: un solo Papa nella terrena perché un solo Dio nella celeste. Come Dio non può abbandonare, così neppure il Papa può. Si tratta di “verità” indiscutibili. Ma il Papa, in quanto uomo, può essere indotto o costretto a lasciare e dare l’impressione di averlo fatto spontaneamente e per il bene della Chiesa. Si dice per un verso che Benedetto XVI fosse vecchio, stanco, malato, deluso, incapace di far fronte ai tanti impegni e che perciò pensò bene di lasciare, per un altro che col suo gesto rivoluzionario ha compiuto la riforma iniziata da Paolo VI di svecchiamento della gerarchia ecclesiastica mettendo un limite di età: 75 anni ai vescovi, 80 ai cardinali, ad libitum il Papa. Paolo VI, infatti, introdusse l’ipotesi dimissioni papali nel diritto canonico.
Ma il Papa, benché pure vescovo e cardinale, è il Papa, è ciò che nessun altro è, per il quale non valgono le leggi che invece valgono per gli altri. Il Papa che lascia perché fisicamente o mentalmente incapace vuol dire che non ha una curia all’altezza della situazione per continuare la missione pastorale, che a volte anzi è riottosa e infedele. Chi insiste nell’incapacità di Benedetto XVI dichiara incapace la stessa Chiesa e per ragioni ben più gravi dell’insufficienza fisica o mentale del Papa.
Il secondo problema che si sta ponendo da qualche tempo, non si sa per ora quanto collegabile all’esercizio pontificio di Francesco I, è quale ruolo ha oggi nel Vaticano Benedetto XVI. Si sa che il Papa argentino non gode, dentro e fuori del Vaticano, degli entusiasmi coltivati ed esibiti dai mass media, per via di certi suoi comportamenti e di certe sue affermazioni. Se i progressisti ridono, i conservatori si preoccupano. «Dicono che io sia comunista – ha affermato di recente – ma io sto solo col Vangelo». Una risposta non innocente, perché non si può pensare che così dicendo non si sia reso conto di aver equiparato comunismo e Vangelo. Non a caso il comunista, marxista-leninista, ateo e materialista Dario Fo – così si pregia di qualificarsi – grida a pie’ sospinto che questo Papa è straordinario e affettuosamente lo chiama, come l’altro Francesco, lu Santu Jullare.
La scelta di campo del Papa ha aperto nella chiesa cattolica un fronte che diventa sempre più ampio. Ci si chiede: ma se il Papa rifiuta e combatte una società in cui ci sono i ricchi e ci sono i poveri, vorrebbe forse una società di soli poveri o una società di soli ricchi? La risposta è banale: il Papa dovrebbe non volere, ma prendere atto che la società è fatta di ricchi e di poveri e che i problemi degli uni e degli altri vengono affrontati in altra sede, con altri soggetti e con altri strumenti. Il Papa dovrebbe limitarsi a mitigare le sofferenze, quali esse siano e a chiunque toccassero. Invece Francesco I sembra preso da un delirio di onniscienza, mascherata da comportamenti umili e francescani. E meno male che, dopo un goffo iniziale tentativo di fare perfino l’esorcista, ha messo da parte il confronto diretto con Satana.  Di recente si è proposto come mediatore tra israeliani e palestinesi. Muore dall’esibirsi!
La Chiesa, di fronte alla deriva pauperistico-comunista, di pretto stampo sudamericano, incomincia a prendere le misure…forse! In un articolo apparso sul “Corriere della Sera” del 28 maggio scorso Vittorio Messori, rifacendosi ad uno studio di Stefano Violi, docente di diritto canonico presso le facoltà di Teologia di Bologna e di Lugano, sostiene che «Benedetto XVI non ha inteso rinunciare al munus petrinus, all’ufficio, al compito, cioè, che il Cristo stesso attribuì al capo degli apostoli e che è stato tramandato ai suoi successori. Il Papa ha inteso rinunciare solo al ministerium, cioè all’esercizio, all’amministrazione concreta di quell’ufficio» e conclude che ci sono due papi «chi dirige e insegna e chi prega e soffre, per tutti, ma anzitutto per sorreggere il confratello nell’ufficio pontificale quotidiano». Fuori dalle complicatissime questioni teologiche e giuridiche, par di capire che Benedetto XVI non abbia rinunciato ad essere papa, ma solo a fare il papa; di conseguenza il governo della Chiesa con compiti integrati è nelle mani dei due papi.  La qualcosa ci fa tornare al punto di partenza, e cioè al modello agostiniano della civitas celeste, per escludere che essa possa consistere nella diarchia Benedetto-Francesco.
Sta di fatto che sarebbe questa la tesi che una parte del mondo cattolico vorrebbe far passare. Il punto di domanda è: per quale ragione? Rassicurare i fedeli che non si riconoscono nel progressismo di Francesco I, con ciò tenendo unita la Chiesa? O avvisare Francesco I che c’è un’altra Chiesa, quella di Benedetto XVI, che in questa fase prega e soffre?

A corollario di simile poco appassionante questione c’è che la Chiesa rischia davvero con questi ultimi due papi di cadere nel disordine. Di recente, infatti, Papa Francesco non ha escluso che ci possano essere altri papi emeriti. A questo punto il Vaticano rischia davvero di trasformarsi in una sorta di Confraternita degli Emeriti, un ordine composto di papi in pensione. 

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