Nell’omelia pronunciata nel corso
della messa dalla Cappella della Domus di Santa Marta, la mattina di martedì, 4
giugno, Papa Francesco ha detto, come sempre, parole chiare e spoglie. Cosa,
questa volta? Che il Vangelo condanna il politicamente corretto, in quanto
ipocrisia e linguaggio di corruzione, teso a trarre vantaggi personali. Un
messaggio non specificamente rivolto ai politici, giacché per politicamente
corretto s’intende quel parlare in modo tale da non irritare o offendere
qualcuno e favorire l’incontro e il dialogo. Il che può accadere in ogni
settore e circostanza del vivere politico ed economico, civile e sociale. Ovvio
che i politici siano i più esposti e i più esperti in questa ars dictandi.
Non si può dare torto a Papa
Francesco. In genere è così. Il capo della chiesa cattolica non può fare
distinguo, parla sempre erga omnes.
Non esistono per lui comportamenti buoni in un luogo e cattivi in un altro;
buoni come mezzi e cattivi come fini o viceversa cattivi come mezzi e buoni
come fini. Nessun relativismo della comunicazione. Il politico, dunque, come il
prete, il commerciante come il diplomatico, il militare come il giornalista:
tutti devono “parlare con la semplicità dei bambini”.
Ma con chi ce l’aveva Papa
Francesco? Escluso che egli sia un sempliciotto, che è cosa diversa da semplice
– peraltro viene da formazione gesuitica – le sue parole sono rivolte
soprattutto al popolo dei fedeli, in cui sono compresi tutti gli uomini nelle
più varie circostanze di professione sociale. Lo spirito del parlar diretto e
semplice, senza edulcorazioni e rivestimenti truffaldini, è quello di non venir
meno all’ottavo comandamento di Dio: non pronunciare falsa testimonianza contro
il tuo prossimo. Chi non dice la verità per come la conosce commette peccato,
alla stregua dell’ammazzare e del rubare. Ma il Papa sa anche che non tutti gli
uomini e non in tutte le circostanze possono usare il linguaggio della verità
per come lui lo intende. Davvero crede che gli uomini tutti possano parlare con
la semplicità dei bambini? E’ come pensare all’età dell’oro che una volta
vagheggiavano i poeti affetti da mitologia.
Le ragioni del suo dire possono
essere diverse. Esclusa quella di fede, secondo cui non bisogna mai dire una
menzogna per non incorrere nel peccato del citato ottavo comandamento – è fin
troppo ovvio – le altre sono esse stesse politiche.
La prima è che lui vuole
rimarcare la distanza della chiesa dal mondo della politica. Sembra voglia
dire: io sono il Papa e considero il mondo della politica il regno di Satana.
Come il demonio si traveste per essere ben accetto, così voi politici vi
travestite per catturare la fiducia della gente. I politici, infatti, usano il
linguaggio dell’ipocrisia per coprire delle verità scomode o contrarie
all’interesse personale o della propria parte politica. Tradizionalmente i papi
sono stati autentici politici, non solo nel tempo del loro regno temporale ma
anche dopo; in quanto tali si sono piegati anche loro non tanto al
politicamente corretto quanto al politicamente utile. Ogni chiesa nazionale ha
contribuito e contribuisce come può alla vita politica della propria nazione.
Il Papa provvede anche politicamente alla vita dell’umanità sparsa in tutto il
mondo. Il messaggio di Francesco I è particolarmente importante nel momento in
cui in Italia la politica ha toccato livelli allarmanti di degenerazione, in
cui l’uso dell’ipocrisia non è un rimedio cui si ricorre per necessità ma una
sorta di virtù, per cui più si finge, più si edulcora, più s’inganna e più si
eccelle.
La seconda ragione è l’offerta di
un mezzo di decodificazione della comunicazione politica. I cittadini sappiano
che i politici non dicono la verità, mentono per vizio, allo scopo di catturare
la loro fiducia. Va da sé che il politicamente corretto, cioè l’ipocrisia, non
ha come contrario il linguaggio di Beppe Grillo, tanto per intenderci. Il quale
stravolge anche lui la verità, l’avvolge in
panni laceri e sudici quanto gli altri l’avvolgono in bei vestiti; anche
lui per scopi che niente hanno a che fare col bene cristianamente inteso.
Forse Papa Francesco, non fosse
altro che per completezza di “lezione”, avrebbe dovuto mettere in guardia i
cittadini anche da chi usa un linguaggio licenzioso e violento per ottenere per
diversa via quello che altri si propongono di ottenere con un linguaggio
gradevole e accattivante. Nello spazio della politica la comunicazione del Papa
diventa, che lo si voglia o meno, essa stessa politica.
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