giovedì 29 novembre 2012

Primarie, se è spettacolo diventa solo un diversivo



Qualcuno a destra, col solito linguaggio da osteria, volgare e sanguigno, tipico di certi settori di quella parte politica, ha definito le primarie una minchiata, un affare di mentula; insomma, una cazzata. Estetica a parte, non gli si può dare tutti i torti. Ormai in Italia, patria della creatività, si imitano, ma direi si scimmiottano, tutte le cose americane. Retaggio della liberazione, probabilmente; o riconoscenza. Se quei giovanottoni, tra cui anche italiani figli di nostri emigranti, con quei grossi elmi rotondoni in testa e le tasche piene di cioccolata per tenere buono lo stomaco, di gomme da masticare e sigarette, per tenere buona la bocca, tra il ‘44 e il ’45, ci liberarono dai nemici interni, i fascisti, e da quelli esterni, i tedeschi, vuol dire che gli americani hanno sempre qualcosa da insegnarci. E così, imitazione dopo imitazione, si è arrivati al park primary, come “La Sette” di qualche sera fa intitolava una sua puntata di Luca Telese e Nicola Porro. Proprio mentre – guarda caso – la Corte di Giustizia europea, su appello del governo italiano, ossia del paese legale, riconosceva a tutte le lingue europee pari dignità e rispetto. Ma in Italia c’è il paese reale in agguato, che preferirebbe ingleseggiare perfino sul water se potesse comandare anche alle sotto-emittenti.
La scelta dei candidati attraverso un percorso “primario” è un rispettabilissimo sistema di selezione e di esemplificazione elettorale, che può andar bene in un paese e male in un altro; bene oggi e male domani; bene per un partito, male per un altro. Al centrosinistra italiano va dato il merito o il demerito di averlo introdotto in Italia. Dicono che sia stato Parisi, ma il più convinto è stato Veltroni, che per essere un americano doc ha il solo difetto di essere tifoso dell’italianissima Juventus e non di una americanissima squadra di basket e di base-ball americana.
Così in Italia le primarie sembrano ormai la soluzione della crisi politica. Habemus pontificem! E’ quanto vuol far passare un sistema informativo che mette tutto nella tramoggia dello spettacolo televisivo o più genericamente mediatico.
Il confronto tra Bersani e Renzi su Rai Uno la sera di mercoledì, 28 novembre, ha dimostrato come in Italia tutto scade nella insulsaggine della copiatura: la giacca sbagliata di Bersani, la poca cipria di Renzi; il realismo di Bersani, l’obamismo di Renzi e via di seguito. In realtà i due, chiamiamoli contendenti, non avevano assolutamente nulla da contrapporre. Uno, Bersani, sembrava un professore compassato; l’altro, un alunno, assai rispettoso, quasi preoccupato di non mancare di rispetto. E difatti Renzi attaccava sempre allo stesso modo: sono d’accordo al cinquanta… al cinquantacinque… al sessanta per cento col Segretario; e così via. Uno spettacolo al bromuro.
Si dirà: appartengono allo stesso partito, perché sostenere cose diverse? Già, ma perché allora mettere su il Barnum delle primarie? E’ di tutta evidenza che si è trattato di una grande promozione di immagine, un tentativo di recuperare alla politica e in particolare al centrosinistra una qualche credibilità. Sempre meglio della confusione annichilante che regna nel centrodestra! Ma sempre di un palliativo si tratta.
Si sarebbe però superficiali e prevenuti se non si riconoscesse che qualcosa di tipicamente italiano nelle primarie nostrane c’è. Altro che! C’è, per esempio, che si tenta di cambiare le regole in corso d’opera, come vorrebbe Renzi. C’è che può andare chiunque a votare e magari tre-quattro volte, spostandosi da un seggio all’altro, facendo lievitare il numero dei votanti. C’è che dirigenti locali del Pd, per non fare una brutta figura, invitano anche amici di destra a votare. C’è che ora si dice che sono andati quattro milioni di cittadini ed ora soltanto tre, come se un milione di persone fosse illusione ottica in un deserto. C’è che entra nella casse dei partiti un bel po’ di soldi, come se non bastassero già quelli che prendono dal raggirato sovvenzionamento pubblico. C’è che le primarie alla fine diventano un gran casino, uno spettacolo distraente, un diversivo, un’operazione non credibile se non per approssimazione del dibattito vero tra le forze in campo.  
A volte per significare qualcosa, bisogna dirla proprio tutta. Carlo Marx, che se non avesse avuto altro merito ha avuto quello di aver aperto gli occhi alla gente, girando un po’ intorno alla kantiana distinzione tra fenomeno e noumeno, distingueva struttura e sovrastruttura. Lo spettacolo delle primarie è una sovrastruttura che tende a distrarre la gente dalla struttura, che è la crisi politica, economica e sociale che stiamo vivendo.
Un anziano amico mi raccontava che in guerra, quando si soffriva il freddo o il caldo e la fame, durante le marce di spostamento nel deserto africano, il comandante intimava ai soldati di cantare, di cantare, di cantare. Serviva a non pensare.
Non è del tutto inutile fare le primarie, men che meno dannoso. E difatti anche nel centrodestra c’è chi vuole farle, restituendo la mentula alle sue specifiche occupazioni.

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