domenica 18 novembre 2012

Monti e le "immontizie" di un anno



Chiamo immontizie quelle soluzioni politiche che non hanno una legittimazione popolare; quei provvedimenti adottati non per risolvere i problemi del popolo, ma per obbedire ad imposizioni straniere, alle quali è stata ceduta una parte della sovranità nazionale senza mai aver consultato il popolo se fosse o meno d’accordo; quegli atteggiamenti autoreferenziali di superiorità intellettuale da parte di chi si arroga il diritto di prescindere dalle regole scritte nella Costituzione o di aggirarle; quelle leggi approvate, ovvero estorte al Parlamento, con voti di fiducia; quelle adesioni vassallesche di politici e opinionisti proni ad inchini nei confronti del signore di turno.
E così le chiamo non perché la parola sia foneticamente allusiva di immondizie, a cui si penserebbe di primo acchito, né perché io tali le consideri, ma in esplicito riferimento onomastico a Mario Monti, nominato nel giro di pochissime ore Senatore a vita e poi Presidente del Consiglio, senza mai aver ricevuto in vita sua un voto, dico uno, da un elettore. Monti è l’immontizia per antonomasia, avendo egli suggerito il neologismo; immontizie i suoi ministri. Per indicarlo è stato necessario ricorrere ad un metaplasmo, appunto una figura retorica che consiste nell’alterazione di un suono all’interno di una parola per poterne esprimere origine e complessità semantica.
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Se oggi, che è oggi – l’oggi è sempre dei laudatores temporis acti – non c’è commentatore politico che non ammetta due cose fondamentali: l’anomalia Monti che ha interrotto il normale svolgersi della vita democratica del Paese e il sostanziale peggioramento della situazione, che cosa diranno domani gli analisti e gli storici, quando saranno dispensati dal politicamente corretto e da ogni più o meno convinta laudatio per l’artefice dell’impresa Monti, ossia il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano? Si legge sul “Corriere della Sera” di giovedì, 15 novembre: “Senza voler sottovalutare le discontinuità introdotte dal governo dei tecnici è però evidente a tutti che il Paese non è guarito dalle sue malattie. Il debito pubblico è arrivato a quota 1.995, a soli cinque miliardi dalla soglia psicologica dei 2 mila miliardi. Lo spread, che testimonia il giudizio dei mercati, continua a veleggiare attorno a quota 360. La disoccupazione ha fatto segnare il record e purtroppo la tendenza è tutt’altro che invertita. Il sistema delle imprese è in grave sofferenza, perché se è vero che chi ha trovato la via dell’export sta ottenendo risultati positivi, il mercato interno è quasi totalmente fermo. Le nostre città stanno lentamente cambiando volto e i segni della depressione dell’economia cominciano ad essere visibili nelle zone industriali e nelle vie dei centri storici” (Dario Di Vico, Una impasse da evitare. Il logorio dei tecnici). Lasciamo stare il refrain: “Ricordare tutto ciò non è un esercizio polemico, vuole essere solo un richiamo a non interrompere l’azione di governo e a non archiviare frettolosamente l’agenda Monti”. Ognuno, di fronte alla casa che brucia, può reagire come vuole, perfino che a casa bruciata si metta fuoco, come recita un modo di dire meridionale. E’ sufficiente leggere nei suoi crudi termini una realtà che definire preoccupante incomincia ad essere un eufemismo.
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Dai benpensanti si continua a denunciare come pericolosi i populismi che qua e là nascono e si affermano in Italia. Ma quando nascono i populismi? Quando il popolo si trova nelle condizioni di affidarsi a chi per lo meno lo prende in considerazione e ne interpreta bisogni e propositi di lotta. Quanto è accaduto nella giornata di mercoledì, 14 novembre in diverse città italiane, con violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, deve far riflettere i benpensanti. La ministra Cancellieri ha detto che lei sta coi poliziotti. E con chi potrebbe stare una ministra che non ha mai avuto rapporti con la gente, ma è nata e cresciuta nella serra delle istituzioni? La Cancellieri ha espresso una grossa immontizia. Ci sono populismi e populismi. Finché si ha a che fare con quello di Beppe Grillo, che fa ridere e tutto sommato acquieta con speranze di vaghe soluzioni, i benpensanti possono anche avere margini di sicurezza, ma se dovesse sorgere un populismo un po’ meno da burla, allora saranno guai seri. E’ già accaduto tante volte nella storia e non si capisce come tanta gente, pur colta e attrezzata, si ostini a pensare che non possa più accadere.   
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Stupisce come in Italia si passi sopra fatti e personaggi armati di spatola e stucco per coprire tutto con una spalmata omologante, invece di usare il bisturi, le pinze, il rampino ed ogni strumento di precisione e di selezione critica. Su Monti e sulla famosa sua agenda politici e analisti politici scivolano e fanno piroette come su lastra ghiacciata. Quel che ha fatto Monti in un anno, dicono, è un tesoro che non va vanificato; l’agenda Monti va continuata, aggiungono. Si potrebbe pure essere d’accordo; ma questi signori dovrebbero spiegare che cosa è stato Monti e che cosa è la sua agenda. Incominciamo col dire che l’agenda Monti senza Monti è una frittata senza uova. Almeno questo bisognerebbe dirlo. Monti ha fatto quello che ha fatto, di buono o di cattivo, di bello o di brutto – ognuno la pensi come vuole – perché ha agito in una sostanziale “dittatura”, coperto dal Presidente della Repubblica e da un Parlamento, che, pur tra bofonchi e mal di pancia, gli ha dato la fiducia. A quanti altri si potrebbe concedere la stessa cosa? Io credo a pochissimi, per non dire a nessuno. La seconda cosa che bisognerebbe chiarire e che alla prima è connaturata è che senza le condizioni in cui ha operato Monti, il deus ex machina, l’uomo della provvidenza – chiamiamolo come vogliamo –  avrebbe fatto pipe e cannucce. Dunque, si dica chiaro e tondo che qui si vuole perpetuare non Monti, in quanto Monti, ma Monti in quanto mono-tecnocrate, che opera in regime di assolutismo. Si dica che in Italia si vuole continuare la sospensione della democrazia e della politica. Perché aver paura di dire le cose come stanno? Terza cosa che bisognerebbe dire, che è poi la più importante. Con Monti si vuole continuare ad adorare l’Europa o l’eurozona, come meglio viene specificata, esattamente come in India si adorano le vacche. Il Paese, la gente, i giovani stanno ai piedi di Cristo, ma l’Europa viene prima di tutto, perché è sacra. In India muoiono di fame ma le vacche non le toccano, perché sacre. Chi queste cose non le dice e si tratta di politici impegnati e critici militanti è un traditore della sua funzione sociale.
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Ora è uscito finalmente allo scoperto il cosiddetto “Partito di Monti”, fatto da Montezemolo e da frange di sindacalisti cattolici. Che farà questo partito? Monti non si sbilancia a riconoscerlo, ma è sufficiente perché si stabiliscano gerarchie e rapporti. Monti, uomo di Napolitano e dell’Europa, è una cosa; Monti, capo di un partitello di quattro gatti è un’altra. Un partito di Monti è una contraddizione, non può esistere, sarebbe la negazione di Monti per quello che è stato finora. Se Monti è stato il tutto o quasi, come potrebbe essere una parte? In questa ressa di montiani più montiani di Monti, hanno buon gioco gli urlatori alla Grillo, gli impresari di pulizie alla Renzi, i secondini alla Di Pietro, gli affabulatori alla Vendola, gli eterni comunisti alla Diliberto e alla Rizzo. E meno male che sono scomparsi i Moretti e i girotondini. Diogene, accendi la tua lanterna!     

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