Chiamo immontizie quelle
soluzioni politiche che non hanno una legittimazione popolare; quei
provvedimenti adottati non per risolvere i problemi del popolo, ma per obbedire
ad imposizioni straniere, alle quali è stata ceduta una parte della sovranità
nazionale senza mai aver consultato il popolo se fosse o meno d’accordo; quegli
atteggiamenti autoreferenziali di superiorità intellettuale da parte di chi si
arroga il diritto di prescindere dalle regole scritte nella Costituzione o di
aggirarle; quelle leggi approvate, ovvero estorte al Parlamento, con voti di
fiducia; quelle adesioni vassallesche di politici e opinionisti proni ad
inchini nei confronti del signore di turno.
E così le chiamo non perché la
parola sia foneticamente allusiva di immondizie, a cui si penserebbe di primo
acchito, né perché io tali le consideri, ma in esplicito riferimento onomastico
a Mario Monti, nominato nel giro di pochissime ore Senatore a vita e poi
Presidente del Consiglio, senza mai aver ricevuto in vita sua un voto, dico
uno, da un elettore. Monti è l’immontizia per antonomasia, avendo egli suggerito
il neologismo; immontizie i suoi ministri. Per indicarlo è stato necessario
ricorrere ad un metaplasmo, appunto una figura retorica che consiste
nell’alterazione di un suono all’interno di una parola per poterne esprimere origine
e complessità semantica.
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Se oggi, che è oggi – l’oggi è
sempre dei laudatores temporis acti –
non c’è commentatore politico che non ammetta due cose fondamentali: l’anomalia
Monti che ha interrotto il normale svolgersi della vita democratica del Paese e
il sostanziale peggioramento della situazione, che cosa diranno domani gli
analisti e gli storici, quando saranno dispensati dal politicamente corretto e
da ogni più o meno convinta laudatio per
l’artefice dell’impresa Monti, ossia il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano? Si legge sul “Corriere della Sera” di giovedì, 15 novembre: “Senza
voler sottovalutare le discontinuità introdotte dal governo dei tecnici è però
evidente a tutti che il Paese non è guarito dalle sue malattie. Il debito
pubblico è arrivato a quota 1.995,
a soli cinque miliardi dalla soglia psicologica dei 2
mila miliardi. Lo spread, che
testimonia il giudizio dei mercati, continua a veleggiare attorno a quota 360.
La disoccupazione ha fatto segnare il record e purtroppo la tendenza è
tutt’altro che invertita. Il sistema delle imprese è in grave sofferenza,
perché se è vero che chi ha trovato la via dell’export sta ottenendo risultati
positivi, il mercato interno è quasi totalmente fermo. Le nostre città stanno
lentamente cambiando volto e i segni della depressione dell’economia cominciano
ad essere visibili nelle zone industriali e nelle vie dei centri storici”
(Dario Di Vico, Una impasse da evitare. Il
logorio dei tecnici). Lasciamo stare il refrain:
“Ricordare tutto ciò non è un esercizio polemico, vuole essere solo un richiamo
a non interrompere l’azione di governo e a non archiviare frettolosamente
l’agenda Monti”. Ognuno, di fronte alla casa che brucia, può reagire come
vuole, perfino che a casa bruciata si metta fuoco, come recita un modo di dire
meridionale. E’ sufficiente leggere nei suoi crudi termini una realtà che
definire preoccupante incomincia ad essere un eufemismo.
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Dai benpensanti si continua a
denunciare come pericolosi i populismi che qua e là nascono e si affermano in
Italia. Ma quando nascono i populismi? Quando il popolo si trova nelle
condizioni di affidarsi a chi per lo meno lo prende in considerazione e ne
interpreta bisogni e propositi di lotta. Quanto è accaduto nella giornata di
mercoledì, 14 novembre in diverse città italiane, con violenti scontri tra
manifestanti e forze dell’ordine, deve far riflettere i benpensanti. La ministra
Cancellieri ha detto che lei sta coi poliziotti. E con chi potrebbe stare una
ministra che non ha mai avuto rapporti con la gente, ma è nata e cresciuta
nella serra delle istituzioni? La Cancellieri ha espresso una grossa immontizia.
Ci sono populismi e populismi. Finché si ha a che fare con quello di Beppe
Grillo, che fa ridere e tutto sommato acquieta con speranze di vaghe soluzioni,
i benpensanti possono anche avere margini di sicurezza, ma se dovesse sorgere
un populismo un po’ meno da burla, allora saranno guai seri. E’ già accaduto tante
volte nella storia e non si capisce come tanta gente, pur colta e attrezzata,
si ostini a pensare che non possa più accadere.
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Stupisce come in Italia si passi
sopra fatti e personaggi armati di spatola e stucco per coprire tutto con una
spalmata omologante, invece di usare il bisturi, le pinze, il rampino ed ogni
strumento di precisione e di selezione critica. Su Monti e sulla famosa sua
agenda politici e analisti politici scivolano e fanno piroette come su lastra
ghiacciata. Quel che ha fatto Monti in un anno, dicono, è un tesoro che non va vanificato;
l’agenda Monti va continuata, aggiungono. Si potrebbe pure essere d’accordo; ma
questi signori dovrebbero spiegare che cosa è stato Monti e che cosa è la sua
agenda. Incominciamo col dire che l’agenda Monti senza Monti è una frittata
senza uova. Almeno questo bisognerebbe dirlo. Monti ha fatto quello che ha
fatto, di buono o di cattivo, di bello o di brutto – ognuno la pensi come vuole
– perché ha agito in una sostanziale “dittatura”, coperto dal Presidente della
Repubblica e da un Parlamento, che, pur tra bofonchi e mal di pancia, gli ha
dato la fiducia. A quanti altri si potrebbe concedere la stessa cosa? Io credo
a pochissimi, per non dire a nessuno. La seconda cosa che bisognerebbe chiarire
e che alla prima è connaturata è che senza le condizioni in cui ha operato
Monti, il deus ex machina, l’uomo
della provvidenza – chiamiamolo come vogliamo –
avrebbe fatto pipe e cannucce. Dunque, si dica chiaro e tondo che qui si
vuole perpetuare non Monti, in quanto Monti, ma Monti in quanto mono-tecnocrate,
che opera in regime di assolutismo. Si dica che in Italia si vuole continuare
la sospensione della democrazia e della politica. Perché aver paura di dire le
cose come stanno? Terza cosa che bisognerebbe dire, che è poi la più
importante. Con Monti si vuole continuare ad adorare l’Europa o l’eurozona,
come meglio viene specificata, esattamente come in India si adorano le vacche. Il
Paese, la gente, i giovani stanno ai piedi di Cristo, ma l’Europa viene prima di
tutto, perché è sacra. In India muoiono di fame ma le vacche non le toccano,
perché sacre. Chi queste cose non le dice e si tratta di politici impegnati e
critici militanti è un traditore della sua funzione sociale.
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Ora è uscito finalmente allo scoperto
il cosiddetto “Partito di Monti”, fatto da Montezemolo e da frange di
sindacalisti cattolici. Che farà questo partito? Monti non si sbilancia a
riconoscerlo, ma è sufficiente perché si stabiliscano gerarchie e rapporti.
Monti, uomo di Napolitano e dell’Europa, è una cosa; Monti, capo di un
partitello di quattro gatti è un’altra. Un partito di Monti è una
contraddizione, non può esistere, sarebbe la negazione di Monti per quello che
è stato finora. Se Monti è stato il tutto o quasi, come potrebbe essere una
parte? In questa ressa di montiani più montiani di Monti, hanno buon gioco gli
urlatori alla Grillo, gli impresari di pulizie alla Renzi, i secondini alla Di
Pietro, gli affabulatori alla Vendola, gli eterni comunisti alla Diliberto e
alla Rizzo. E meno male che sono scomparsi i Moretti e i girotondini. Diogene,
accendi la tua lanterna!
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