Fin dal suo apparire come capo
del governo Monti fece sollazzare i comici, i quali non potettero tacere il suo
parlare lento, anonimo e raschiato come un robot. L’espressione staccare la
spina gli era precedente, ma con lui trovò giusto posto. Sicché, quando
Berlusconi sabato, 27 ottobre, nella sua più sgangherata esibizione, ha detto
che è probabile che gli staccherà la spina, si è capito subito che l’autonomia
di Monti era compromessa. In quel momento ci stava quasi simpatico, Monti non
Berlusconi. Dell’ex commissario europeo abbiamo detto di tutto – nulla di
personale, s’intende – come chi non ha condiviso fin dall’inizio l’esperienza
del governo tecnico. Quell’insistere da parte di alcuni superscreditati
politici, tipo Casini e Fini, o superdemocratici, tipo Scalfari e De Bortoli,
che stavamo sull’orlo dell’abisso, che l’Europa ce lo impone e via di seguito
coi vari codici rossi, ci ricordava il trucco di Numa Pompilio, che inventò la
ninfa Egeria e la religione di stato per fare quello che lui decideva di fare.
Non c’è la controprova e dunque la piantiamo qui. Ma Monti che dipende da
Berlusconi come un frullatore elettrico, a cui si può staccare la spina e…addio
al frappé, francamente ci fa un po’ arrabbiare, soprattutto in difetto di una
prospettiva politica nazionale.
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Monti è stato l’anti Berlusconi
in tutto e per tutto. Sobrio e misurato l’uno, torrenziale con piene e
straripamenti l’altro. E tuttavia in Berlusconi c’è un’innegabile costante, che
non è stato difficile vedere fin dalla sua famosa discesa in campo. Il suo
pensare, parlare e agire è apparso subito e via via rafforzato pro domo sua, che ha fatto sollevare
subito il famigerato conflitto di interessi. Altrettanto chiaro è apparso
l’accanimento giudiziario nei suoi confronti. Un vero fronte, degno di ben
altra causa, ha visto intellighenzia, giornali, televisioni, spettacolo,
varietà, procure della repubblica fare azioni e tendenza. Non che non ci
fossero alla base di tante iniziative i motivi, ma in un paese in cui si lascia
morire per decenni la gente, ora con le esalazioni chimiche a Porto Marghera,
ora con le polveri di Eternit nel Monferrato, ora con quelle
dell’Italsider-Ilva a Taranto, per non parlare di migliaia e migliaia di casi
di inquinamento e illegalità diffusi in tutto il paese, senza che un solo
pretorino avesse mai sollevato un’obiezione o avesse avviato un’indagine, è
apparso come una jihad islamica la
lotta contro Berlusconi. In Italia ci siamo fatta un’idea dei talebani pensando
a quei signori di sopra (scrittori, giornalisti, attori, comici, magistrati)
tutti impegnati usque ad mortem
contro il Cavaliere, ad mortem del
Cavaliere s’intende. Ciò che a momenti lo ha reso anche simpatico a chi gli è
stato sempre antipatico e non per ragioni irrazionali, come il patos farebbe
intendere.
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Monti è stato l’anti Berlusconi
anche perché è del tutto esente da attenzioni giudiziarie. La notizia di un
avviso di garanzia nei suoi confronti sarebbe come apprendere che hanno sparato
alla Croce Rossa. Il buono, insomma, e il cattivo. Ora l’idea che il cattivo
possa staccare la spina al buono e che questo si afflosci come un pupazzo pieno
d’aria a cui è venuto meno il compressore ci fa davvero male.
In politica non si sa mai come
siano andate veramente le cose. Può essere che qualche tacita concessione a
Berlusconi sia stata fatta, in cambio del suo famoso “passo indietro”, se non
da Monti Mario da qualche altro cocuzzolo della montagna; non so una promessa
di evitargli altri fastidi giudiziari e finanziari. Ora la condanna per i
diritti televisivi avrebbe fatto saltare tutto. Se no, per quale ragione
prendersela con Monti, fino all’altro giorno se non proprio osannato, di sicuro
stimato e rispettato?
Chiudiamo il cerchio: Berlusconi
ha ancora una volta dimostrato che tutto finisce negli affari suoi personali. E
questo non è tollerabile. Non lo era ieri, non lo è oggi, non lo sarà domani.
Possiamo continuare a comprendere le sue ragioni, non possiamo più comprendere
le sue azioni e soprattutto le sue esternazioni.
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Governo “maledetto” ha chiamato
Monti il suo governo, ma dagli italiani più gradito di quello dei partiti. La
solita tisana in varietà di gusto lessicale. Agli italiani che non amano uscir
di testa basta e avanza il “maledetto”, senza paragoni per lenirne il dolore.
Ma, ora che la sua esperienza volge al termine, è giusto pure vedere le cose
non con la presa diretta del momento, condizionata dall’indignatio dell’immediato, ma con un minimo di analisi politica
retrospettiva. Non più cos’è ma che cosa è stato il governo Monti. Terreno più
percorribile per un analista politico, che ha bisogno anche di vedere come
volge il giorno per dire se è stato soleggiato o nuvoloso. Se la luce alla fine
del tunnel ancora non si vede, si vede invece per Napolitano il traguardo della
scadenza naturale della legislatura: il suo traguardo. E lo ha detto con un
certo compiacimento alla cerimonia dei centocinquant’anni della Corte dei Conti:
il governo durerà fino alla fine. Ecco, tra il governo “maledetto” e la
macchinazione che l’ha creato e sorretto, che è quella politica – dico politica
– di Napolitano, ancora una volta è di gran lunga più apprezzabile questa. Non
è una consolatio per chi sostiene il
primato della politica, ma una constatazione, che invita a valutare la situazione
sempre dal punto di vista politico. Può pensarla come vuole la mamma di Monti
sulla politica e il grado di obbedienza a lei del figlio, sta di fatto che lui
ha agito come il braccio meccanico di una volontà politica di un soggetto, che
è in Italia, con l’energia persuasiva che è in Europa. Di fronte ad una crisi
innegabile, non solo finanziaria ma politica e morale – in Italia nel corso del
2011 c’era la guerra civile tra le parti politiche e all’interno delle stesse
parti – Napolitano, politico vecchio stampo, ha trovato la quadra del governo
tecnico, come a dire: mo’ basta, comando io. E lo ha fatto con lucida
determinazione ma anche con rassicurante rispetto delle parti. Altro è il
giudizio sulle cose fatte dal governo. Altro ancora è quello sulle parti
politiche che hanno gettato il Paese nello squallore di una situazione di
totale disfacimento. L’Italia politica va ricostruita. Il problema semmai è
come pulire il terreno da erbacce, animali ed insetti che infestano gli edifici
della politica abbandonati alle loro rovine; e da tanti materiali di risulta,
alcuni molto inquinanti e ingombranti.
***
In Sicilia, domenica, 28 ottobre,
si è votato per le Regionali. Ha vinto un certo Crocetta, comunista e gay
dichiarato, sostenuto da una coalizione Pd-Udc, che ad alcuni appare assai più
scandalosa della condizione di “genere” del presidente eletto con appena il 30
% dei voti, in realtà il 15 % di tutti gli elettori siciliani. Il risultato
elettorale è una vera schiaffeggiata agli italiani: il 53 % non ha votato, il
Movimento comico-politico detto delle Cinque Stelle, con un po’ di presunzione
alberghiera, è il primo partito col suo 18 % dei voti. Intendiamoci, nessuna
sorpresa. Un Paese, l’Italia, che deve convincersi di dover rinunciare alla sua
sovranità, alla sua cultura, ai suoi caratteri storici, che per adeguarsi ai
parametri e ai costumi europei deve cambiarsi i connotati, deve pur essere
compreso se produce fenomeni come quello siciliano, peraltro diffuso in tutta
Italia. Davvero può morire qualcuno senza lo strepito dei parenti, il pianto
delle prefiche? Quel che preoccupa non è questo, è quel che potrebbe venir
dopo. I giovani di oggi, tra i trenta e i quarant’anni, non erano nati per
rimanere disoccupati e affamati, figli del benessere accumulato prima e di
un’Italia, che, pur con tutti i suoi difetti, non si sognava neppure di doversi
piegare ai costumi dei belgi; e dunque non hanno la mentalità dei
rivendicatori. Ma i figli dei figli, quelli che cresceranno sulla
disoccupazione e la fame dei padri sfortunati, se ne staranno con le mani in
mano, compiacendosi delle buffonate dei Beppe Grillo? Attenzione, qualcosa
accadrà!
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