domenica 4 novembre 2012

Monti e non più Monti



Fin dal suo apparire come capo del governo Monti fece sollazzare i comici, i quali non potettero tacere il suo parlare lento, anonimo e raschiato come un robot. L’espressione staccare la spina gli era precedente, ma con lui trovò giusto posto. Sicché, quando Berlusconi sabato, 27 ottobre, nella sua più sgangherata esibizione, ha detto che è probabile che gli staccherà la spina, si è capito subito che l’autonomia di Monti era compromessa. In quel momento ci stava quasi simpatico, Monti non Berlusconi. Dell’ex commissario europeo abbiamo detto di tutto – nulla di personale, s’intende – come chi non ha condiviso fin dall’inizio l’esperienza del governo tecnico. Quell’insistere da parte di alcuni superscreditati politici, tipo Casini e Fini, o superdemocratici, tipo Scalfari e De Bortoli, che stavamo sull’orlo dell’abisso, che l’Europa ce lo impone e via di seguito coi vari codici rossi, ci ricordava il trucco di Numa Pompilio, che inventò la ninfa Egeria e la religione di stato per fare quello che lui decideva di fare. Non c’è la controprova e dunque la piantiamo qui. Ma Monti che dipende da Berlusconi come un frullatore elettrico, a cui si può staccare la spina e…addio al frappé, francamente ci fa un po’ arrabbiare, soprattutto in difetto di una prospettiva politica nazionale.
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Monti è stato l’anti Berlusconi in tutto e per tutto. Sobrio e misurato l’uno, torrenziale con piene e straripamenti l’altro. E tuttavia in Berlusconi c’è un’innegabile costante, che non è stato difficile vedere fin dalla sua famosa discesa in campo. Il suo pensare, parlare e agire è apparso subito e via via rafforzato pro domo sua, che ha fatto sollevare subito il famigerato conflitto di interessi. Altrettanto chiaro è apparso l’accanimento giudiziario nei suoi confronti. Un vero fronte, degno di ben altra causa, ha visto intellighenzia, giornali, televisioni, spettacolo, varietà, procure della repubblica fare azioni e tendenza. Non che non ci fossero alla base di tante iniziative i motivi, ma in un paese in cui si lascia morire per decenni la gente, ora con le esalazioni chimiche a Porto Marghera, ora con le polveri di Eternit nel Monferrato, ora con quelle dell’Italsider-Ilva a Taranto, per non parlare di migliaia e migliaia di casi di inquinamento e illegalità diffusi in tutto il paese, senza che un solo pretorino avesse mai sollevato un’obiezione o avesse avviato un’indagine, è apparso come una jihad islamica la lotta contro Berlusconi. In Italia ci siamo fatta un’idea dei talebani pensando a quei signori di sopra (scrittori, giornalisti, attori, comici, magistrati) tutti impegnati usque ad mortem contro il Cavaliere, ad mortem del Cavaliere s’intende. Ciò che a momenti lo ha reso anche simpatico a chi gli è stato sempre antipatico e non per ragioni irrazionali, come il patos farebbe intendere.
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Monti è stato l’anti Berlusconi anche perché è del tutto esente da attenzioni giudiziarie. La notizia di un avviso di garanzia nei suoi confronti sarebbe come apprendere che hanno sparato alla Croce Rossa. Il buono, insomma, e il cattivo. Ora l’idea che il cattivo possa staccare la spina al buono e che questo si afflosci come un pupazzo pieno d’aria a cui è venuto meno il compressore ci fa davvero male.
In politica non si sa mai come siano andate veramente le cose. Può essere che qualche tacita concessione a Berlusconi sia stata fatta, in cambio del suo famoso “passo indietro”, se non da Monti Mario da qualche altro cocuzzolo della montagna; non so una promessa di evitargli altri fastidi giudiziari e finanziari. Ora la condanna per i diritti televisivi avrebbe fatto saltare tutto. Se no, per quale ragione prendersela con Monti, fino all’altro giorno se non proprio osannato, di sicuro stimato e rispettato?
Chiudiamo il cerchio: Berlusconi ha ancora una volta dimostrato che tutto finisce negli affari suoi personali. E questo non è tollerabile. Non lo era ieri, non lo è oggi, non lo sarà domani. Possiamo continuare a comprendere le sue ragioni, non possiamo più comprendere le sue azioni e soprattutto le sue esternazioni.
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Governo “maledetto” ha chiamato Monti il suo governo, ma dagli italiani più gradito di quello dei partiti. La solita tisana in varietà di gusto lessicale. Agli italiani che non amano uscir di testa basta e avanza il “maledetto”, senza paragoni per lenirne il dolore. Ma, ora che la sua esperienza volge al termine, è giusto pure vedere le cose non con la presa diretta del momento, condizionata dall’indignatio dell’immediato, ma con un minimo di analisi politica retrospettiva. Non più cos’è ma che cosa è stato il governo Monti. Terreno più percorribile per un analista politico, che ha bisogno anche di vedere come volge il giorno per dire se è stato soleggiato o nuvoloso. Se la luce alla fine del tunnel ancora non si vede, si vede invece per Napolitano il traguardo della scadenza naturale della legislatura: il suo traguardo. E lo ha detto con un certo compiacimento alla cerimonia dei centocinquant’anni della Corte dei Conti: il governo durerà fino alla fine. Ecco, tra il governo “maledetto” e la macchinazione che l’ha creato e sorretto, che è quella politica – dico politica – di Napolitano, ancora una volta è di gran lunga più apprezzabile questa. Non è una consolatio per chi sostiene il primato della politica, ma una constatazione, che invita a valutare la situazione sempre dal punto di vista politico. Può pensarla come vuole la mamma di Monti sulla politica e il grado di obbedienza a lei del figlio, sta di fatto che lui ha agito come il braccio meccanico di una volontà politica di un soggetto, che è in Italia, con l’energia persuasiva che è in Europa. Di fronte ad una crisi innegabile, non solo finanziaria ma politica e morale – in Italia nel corso del 2011 c’era la guerra civile tra le parti politiche e all’interno delle stesse parti – Napolitano, politico vecchio stampo, ha trovato la quadra del governo tecnico, come a dire: mo’ basta, comando io. E lo ha fatto con lucida determinazione ma anche con rassicurante rispetto delle parti. Altro è il giudizio sulle cose fatte dal governo. Altro ancora è quello sulle parti politiche che hanno gettato il Paese nello squallore di una situazione di totale disfacimento. L’Italia politica va ricostruita. Il problema semmai è come pulire il terreno da erbacce, animali ed insetti che infestano gli edifici della politica abbandonati alle loro rovine; e da tanti materiali di risulta, alcuni molto inquinanti e ingombranti.
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In Sicilia, domenica, 28 ottobre, si è votato per le Regionali. Ha vinto un certo Crocetta, comunista e gay dichiarato, sostenuto da una coalizione Pd-Udc, che ad alcuni appare assai più scandalosa della condizione di “genere” del presidente eletto con appena il 30 % dei voti, in realtà il 15 % di tutti gli elettori siciliani. Il risultato elettorale è una vera schiaffeggiata agli italiani: il 53 % non ha votato, il Movimento comico-politico detto delle Cinque Stelle, con un po’ di presunzione alberghiera, è il primo partito col suo 18 % dei voti. Intendiamoci, nessuna sorpresa. Un Paese, l’Italia, che deve convincersi di dover rinunciare alla sua sovranità, alla sua cultura, ai suoi caratteri storici, che per adeguarsi ai parametri e ai costumi europei deve cambiarsi i connotati, deve pur essere compreso se produce fenomeni come quello siciliano, peraltro diffuso in tutta Italia. Davvero può morire qualcuno senza lo strepito dei parenti, il pianto delle prefiche? Quel che preoccupa non è questo, è quel che potrebbe venir dopo. I giovani di oggi, tra i trenta e i quarant’anni, non erano nati per rimanere disoccupati e affamati, figli del benessere accumulato prima e di un’Italia, che, pur con tutti i suoi difetti, non si sognava neppure di doversi piegare ai costumi dei belgi; e dunque non hanno la mentalità dei rivendicatori. Ma i figli dei figli, quelli che cresceranno sulla disoccupazione e la fame dei padri sfortunati, se ne staranno con le mani in mano, compiacendosi delle buffonate dei Beppe Grillo? Attenzione, qualcosa accadrà!

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