venerdì 2 novembre 2012

Pino Rauti, l'ultimo grande del Novecento, è morto

Pino Rauti è morto stamattina, 2 novembre, giorno dei morti, all’età di quasi 86 anni. Era nato il 19 novembre 1926. Credo che l’aver “scelto” il giorno dei morti per morire sia stata l’unica data puntuale della sua vita. Le altre, le tante, le molte altre, lo hanno visto paradossalmente in anticipo e in ritardo, non alcune volte in anticipo e altre in ritardo, ma in anticipo e in ritardo insieme. Basti pensare alla sua scelta di arruolarsi giovanissimo, a diciassette anni, nella Repubblica Sociale, aderendo ad un fascismo che per certi aspetti lo vedeva precocemente suo e allo stesso tempo in ritardo rispetto al regime ormai finito il 25 luglio 1943.
Sentii per la prima volta il suo nome, come di un mito, quando avevo quattordici anni e frequentavo a Maglie il Ginnasio “Capece”. Fu uno studente più grande a parlarmi di lui, un liceale del terzo anno, uno di quelli che organizzano scioperi e manifestazioni; e quel giorno si doveva manifestare per gli attentati terroristici in Alto Adige. Era l’autunno del 1958. Allora le frange studentesche più sensibili e organizzate erano di destra. Sulla posta interna di partito si stampigliava buste la scritta “I confini della patria non si discutono, si difendono”. Tutti in corteo dietro la bandiera al Monumento dei Caduti.
Il nome di Rauti è stato legato allo stragismo di destra. Da Piazza Fontana a Milano 1969 a Piazza della Loggia a Brescia 1974. Ne è uscito sempre pulito. Ma non ha escluso, con l’onestà che lo caratterizzava, che elementi della destra missina ed extra potessero essere stati strumentalizzati dagli strateghi del terrorismo politico, nazionale ed internazionale, che non erano certo del Msi.
Il suo percorso politico lo esponeva a sospetti ed accuse. Era stato tra i fondatori del Msi nel 1946. Fondatore dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria) tra gli anni Quaranta e Cinquanta, nel 1951 fu arrestato e processato insieme a molti altri, fra cui il filosofo Julius Evola. Fu assolto, ma voltò pagina, privilegiando da quel momento la riflessione e lo studio, pur senza trascurare la militanza politica sempre da posizioni radicali. Nel 1954 fondò “Ordine Nuovo”, un movimento politico e una rivista. Nel 1956, con la segreteria Michelini, uscì col suo gruppo dal Msi. Prese le distanze da “Ordine Nuovo” quando si accorse che il movimento era usato da elementi non controllabili, come il gruppo padovano di Freda e Ventura. Tornò in carcere accusato della strage di Piazza Fontana, poi assolto e scarcerato. Nel 1969, col ritorno alla segreteria di Almirante, rientrò nel partito, di cui fu deputato per vent’anni, dal 1972 al 1992. Parallelamente scrisse e pubblicò opere storiografiche importanti, fra cui “Le idee che mossero il mondo” e la “Storia del fascismo” in collaborazione con Rutilio Sermonti.
Nei primi anni Settanta non condivise la politica di apertura di Almirante alla grande destra; non poteva sopportare – lo scrisse – che certi elementi della destra monarchica e conservatrice, salottiera e massonica, storcessero le labbra davanti ai ritratti fascisti delle sedi missine. Si mise a capo del gruppo degli intellettuali più moderni e spregiudicati del partito, per lo più giovani, tra cui Marco Tarchi, e organizzò la sua corrente intorno alle riviste “Civiltà” e “Presenza”. La prima più teorica e legata al fascismo pagano, filogermanico ed evoliano, la seconda più funzionale all’attualità politica e alle sue problematiche. Verso la metà degli anni Settanta, in risposta alla crisi del partito che avrebbe portato alla scissione di Democrazia Nazionale, incominciò ad elaborare una linea che dalle proposte di “Linea Futura”, “Spazio Nuovo” e “Andare Oltre”, documenti programmatici e strategici di grande intuizione politica, lo portò alla segreteria politica del partito nel 1990.
La sua era la tipica linea dell’intellettuale prestato alla politica, del rivoluzionario e magari del militare se ce ne fossero state le circostanze. Il suo modello era in verità più Trotzki che Gramsci. Era convinto che il Msi dovesse essere un partito di solide radici ideologiche, con un forte ancoraggio al passato ma di pensiero e di azione nel presente. Perciò indusse i suoi a tagliare col nostalgismo, spinse i giovani a invadere campi fino a quel momento appannaggio delle sinistre per mettersi in concorrenza con esse. Furono quelli gli anni in cui i giovani del Msi ebbero nel quindicinale “Linea” lo spazio delle loro idee, incominciarono ad occuparsi di ambiente, di cultura popolare, di tradizioni, di fumetti, di satira politica, di musica leggera e di canzonette, di letteratura fantastica, facendo scoprire autori come Tolkien. La qual cosa sconcertò per certi aspetti il vecchio ambiente missino. Nelle Amministrative del 1991 se ne videro i risultati, mai così bassi nelle percentuali. I frutti del nuovo non erano ancora maturati; gli anziani erano quasi indignati di un futuro dal quale si sentivano esclusi. Nell’estate di quell’anno il Comitato Centrale credette che l’esperimento “di sinistra” di Rauti fosse fallito e riprese la vecchia strada del conservatorismo moderato, destituendolo da segretario nazionale, in favore di Gianfranco Fini.
A Fiuggi, nel 1994 non accettò la fine del partito e la nascita di Alleanza Nazionale. Fondò il Msi-Fiamma Tricolore e fu eletto Deputato al Parlamento Europeo. Ma il partito, tra cambiamenti e convulsioni interne, finì per essere una testimonianza sempre più anacronistica e ingestibile, mentre sorgevano altri gruppi come “Forza Nuova”, “la Destra” di Storace, e “Casa Pound” più radicati nella realtà odierna. L’età incalzante e la parentela con Gianni Alemanno, marito della figlia Isabella, ministro e poi sindaco di Roma per An, gli hanno fatto vivere gli ultimi anni nel ruolo del vecchio saggio, ritirato, ma capace sempre di letture critiche puntuali e profonde dell’attualità politica e di intuizioni importanti.
Felice il suo giudizio sul fascismo. «Il fascismo non è più ripetibile. E’ solo un giacimento della memoria al quale penso che si possa attingere».
La mia esperienza rautiana risale al 1974, quando divenni suo collaboratore alle riviste “Civiltà” e “Presenza”, con saggi, recensioni e traduzioni. Peraltro gli unici soldi avuti dalla mia attività pubblicistica me li ha dati lui. Finì nel 1976, due anni dopo, quando per ragioni professionali e per scelta di vita pensai di dedicarmi alla scuola e allo studio, fuori e lontano dal partito. Nel 1976 mi chiese di valutare la possibilità di creare a Lecce e nel Salento la corrente di “Linea Futura”. Gli risposi che non avevo interesse politico attivo, ma che avrei contattato alcuni elementi. Poi altri, fra cui Mario De Cristofaro a Lecce, Ennio Licci a Ruffano, Roberto Tundo a Melissano risposero all’appello. Quando seppe qualche anno dopo che avevo fondato un periodico locale mi fece sapere con garbo ed ironia che non avevo fatto una gran bella scelta, lasciando la nazione per il villaggio. In verità non ho mai lasciato la nazione e qualche anno fa tornai a scrivere per l’ultima sua “Linea” qualche articolo di politica.
Rauti resta uno dei più grandi pensatori ed operatori politici di destra del secondo Novecento, un maestro per tante generazioni. Se oggi esiste una destra giovane e moderna, capace di fare l’analisi critica di un fatto, di saper intercettare i problemi del paese, della gente, di ragionare in prospettiva, lo si deve a lui; a quell’operazione che lui iniziò proprio negli anni Settanta. Ma va detto anche che il suo modo di intendere la politica, come mito e come realtà, come un universo di valori da coltivare e una moltitudine di problemi da risolvere, oggi ha perso entrambi i corni. Nessuno ha più la cultura e la sensibilità di avere un mito e di coltivarlo pur nella pressione quotidiana di molteplici problemi, mentre la realtà fa registrare ogni giorno di più una degenerazione della politica. Quei giovani che, nell’ultimo decennio, si sono invaghiti dello yuppismo berlusconista e finiano, sono vuoti e snervati, privi di capacità e sensibilità politica.
Un grido, perciò, secondo tradizione, può giungere in questo momento a Rauti solo da chi in lui e con lui ha creduto e crede nella politica, sul campo o sui libri, come impegno nobile. Da quei giovani, oggi prossimi all’anzianità anagrafica, parta allora il saluto che gli si deve, in un ultimo ritrovarsi idealmente insieme: Onore a Pino Rauti!

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