domenica 25 novembre 2012

Monti, la brocca e il vino del nonno



Un giorno la mamma disse a Mario: Mariuccio mio, porta questa brocca di vino al nonno; e attento a non romperla, ha più di centocinquant’anni, è ricordo del papà… del papà… del tuo papà…aspetta, beh non mi ricordo più. E gli porse una bella brocca di creta, riccamente adornata di motivi bacchici, tralci di viti e grappoli d’uva, con la data 17 marzo 1861 sulla pancia. Mario fece pochi passi quando si accorse che era inseguito da un gruppo di ragazzacci. Fece per alzare il passo, ma il vino nella brocca ondeggiava e traboccava. Quelli intanto si avvicinavano. C’era un solo modo per sottrarsi a quei malvagi, mettersi a correre. Ma come fare? Più correva e più vino cadeva dalla brocca. Più rallentava e più gli inseguitori gli stavano sopra con tutta l’aria di volersi prendere brocca e vino. Allora Mario prese una decisione: o la brocca o il vino. Si ricordò della raccomandazione della mamma. Attento alla brocca! Aveva un buon piede e libero dall’impaccio del vino li avrebbe seminati. In un attimo versò per terra il vino rimasto e agguantata stretta stretta la brocca per il manico si mise a correre a perdifiato. Così tornò a casa trionfante, con la brocca sana e salva. Gliel’hai portato il vino al nonno? Gli chiese la mamma quando lo vide tutto trafelato, ma soddisfatto. Il vino al nonno no – ma la brocca a te sì, eccola e la alzò nemmeno fosse la Coppa Rimet nelle mani di Zoff.
Questo mi viene di pensare tutte le volte che qualcuno, dall’Alpi alle Piramidi dell’universo politico italiano, loda Monti per aver salvato l’Italia. E gli italiani? Tutti giù, prostrati per terra.
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In un libretto pubblicato nel settembre scorso da Luciano Canfora, “E’ l’Europa che ce lo chiede!” Falso! (Laterza), si dimostra come la sospensione della democrazia in Italia è qualcosa di assai più grave e di assai meno italiana di quanto si pensi. Al netto delle porcate di Berlusconi e delle miserie di Fini, che non sono state cose da niente, il governo politico di centrodestra ha dovuto fare un passo indietro e cedere il potere al governo tecnico per cause legate alla metamorfosi politica che stanno subendo gli stati nazionali europei. Scrive Canfora. “Nel caso dell’Italia, della Spagna e della Grecia, si è visto il diktat della Banca Centrale Europea (forte dei vincoli sopranazionali costituiti dalla ‘gabbia d’acciaio’ dei parametri di Maastricht) abbattere governi, farne nascere di nuovi, ordinare la nascita di coalizioni, vietare referendum in paesi apparentemente sovrani. «Una forza direttrice a sé stante», ma di quale entità!” (pag. 25). E più oltre: “la «forza direttrice a sé stante» si è ‘delocalizzata’ fuori dei confini statali divenendo perciò stesso inattingibile, protetta e totalitaria nelle sue direttive e decisioni; tale «forza direttrice» è nel potere bancario (BCE e FMI in primo luogo), che preferisce collocare d’autorità, al vertice degli Stati nazionali subalterni, direttamente suoi funzionari, saltando il fastidioso problema della conquista del consenso e del cimento ‘elettorale’” (pag. 26). A leggere queste cose mi sento per un verso confortato, per averle io stesso più volte pensate e dette nel corso dell’anno, per un altro sono spaventato, perché quel naturale margine di dubbio che io esagerassi o che mi sbagliassi si è assai ridotto.
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L’analisi di Canfora ridimensiona i superlodati meriti di Monti. Qualsiasi politico avrebbe potuto fare come lui o meglio di lui se avesse goduto delle sue stesse condizioni, di ministri yes-man, e di un Parlamento blindato sulle sue decisioni. Ma più si esalta il merito di Monti e più si nasconde la realtà, che è quella così bene spiegata da Canfora e che noi con linguaggio giornalistico, più adeguato al destinatario di un blog, abbiamo risolto diversamente definendo Monti un Quisling. Ma un politico non avrebbe mai preso ordini da quella che Canfora chiama «forza direttrice delocalizzata e inattingibile», perché contrari alle popolazioni. Berlusconi, infatti, tergiversava, prometteva ma non si decideva ad eseguire gli ordini di quella «forza». Di lì i sorrisetti stupidi di Sarkozy e della Merkel, in Italia accolti dagli antiberlusconiani viscerali come motivi per liberarsi di Berlusconi. La verità è che noi italiani, incastigati partigiani, pur di danneggiare l’avversario siamo capaci di buttarci nel fuoco. Stiamo precipitando verso il baratro davvero e non ce ne stiamo accorgendo. La fine delle ideologie, la fine dello Stato sociale, l’impoverimento progressivo, l’aumento della disoccupazione, giovanile in particolare, il diffondersi della fame e del disagio portano inevitabilmente verso disastri civili che non è difficile immaginare. Lo stesso Giovanni Sartori, a conclusione del suo fondo Quando le società possono esplodere sul “Corriere della Sera” di martedì, 20 novembre, ha scritto che “Nel caso della privazione relativa […] chi è minacciato dalla fame non è rassegnato, non resta passivo: si rende conto di quel che sta succedendo e reagisce”; e ha fatto l’esempio della Grecia. “Ma anche la situazione italiana è grave” ha aggiunto. Il vecchio politologo ha ragione. Monti, fino a qualche tempo fa, si vantava che in Italia la gente accettava i sacrifici senza reagire e che il consenso che avevano lui e il suo governo era maggiore di quello dei partiti. Beh, dopo l’infuriare del morbo Grillo e il susseguirsi delle proteste di piazza degli studenti, ferocemente stroncate dalla polizia della ministra tecnica Cancellieri, ha ben poco di cui vantarsi. Posto che prima lo avesse!
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Non molto diversamente da Luciano Canfora, Piero Ostellino, il quale si serve dei trucchi usati dai filosofi che in regime di Controriforma, per salvarsi dalle accuse di eresia, mascheravano il loro pensiero tra simulatio e dissimulatio o semplicemente facendo finta di riferire da altri. Ne L’Italia «virtuale» e quella che manifesta (“Corriere della Sera” del 24 novembre) scrive: “La più grande operazione di marketing della storia a favore di un governo si è trasformata in regime. Eterogenesi dei fini non prevedibile, dice qualche anima candida. No, dicono altri: calcolo della finanza dei Paesi «amici» (Usa e Germania); che ha buttato sul mercato miliardi di euro di nostri titoli pubblici per delegittimare i governi politici, spingere l’Italia sull’orlo della bancarotta e farla finire nelle mani di un governo ubbidiente. Chi giudica la situazione sui fatti e ne denuncia la pericolosità passa per nemico della Patria. Il capo del governo, poveretto, ha un solo difetto: fa diligentemente «i compiti a casa» che gli sono assegnati dalla potenza egemone e che lo applaude, interessatamente: la Germania prospera, mentre noi siamo piombati in depressione e non si sa se e quando ne usciremo”. Ostellino non è un’anima candida. La sua lettura delle cose è perciò la stessa di Canfora, pur da una posizione diametralmente opposta. Quando si dice che la realtà non è figurazione!
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Monti sì Monti no è come il m’ama o non m’ama della proverbiale margherita. Un dubbio che sta caratterizzando questa fase della campagna elettorale già iniziata. Per un verso il centrodestra, vagamente inteso, da Montezemolo all’ex ministro degli esteri di Berlusconi Frattini, spinge Monti a candidarsi per ipotizzare un governo Monti politico; per un altro il centrosinistra, da Bersani ai moderati dell’area, ammonisce Monti a non scendere in campo. I politici, ancora una volta, caso mai qualcuno se ne dimenticasse, dimostrano scarsa lungimiranza, molta tattica e zero strategia, soprattutto quelli del centrodestra. Non hanno capito – benché c’è chi glielo spieghi quotidianamente – che Monti politico sarebbe ben poca cosa, sarebbe uno dei tanti, sarebbe un Sansone senza capelli e quindi senza la sua forza biblica. Monti dovrebbe semplicemente mettersi da parte, lasciare il campo alla politica, ad un governo sperabilmente tanto solido da poter respingere senza danni gli attacchi furiosi delle opposizioni. Le cose per il governo politico andranno male? Beh, allora sarà il caso di un suo ritorno. Insomma Monti, riserva della politica, è come Cincinnato: una risorsa; Monti, titolare della politica dal primo minuto, è uno spreco. Napolitano, richiesto sull’argomento, ha dato da Parigi, dov’era in visita di Stato, risposte sensate. Ha detto: Monti non può candidarsi perché è Senatore a vita; quanto a guidare una lista finirebbe per diventare un politico tra i tanti politici e dopo le elezioni concorrerebbe alla formazione di un governo. Intendiamoci, cose ovvie; ma di questi tempi perfino l’ovvio diventa intelligente, della serie beati monocoli in terra caecorum.
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Dice Grillo che lui è incandidabile perché delinquente. Una grillata! Ma sul fatto che non intende candidarsi sembra sia sincero e direi coerente. E’ uno che rifiuta i luoghi, i mezzi e ovviamente i fini dei politici. Il suo luogo privilegiato è il palcoscenico, meglio se se lo può creare in piazza a mo’ dei giullari e dei saltimbanchi medievali. Allora, perché il Movimento delle Cinque Stelle? Io un’idea me la sono fatta, ma – dico la verità – più che frutto di analisi attenta e seria è un desiderio; vorrei tanto che Grillo alla fine volesse solo una cosa: dimostrare quanto son fessi gli italiani. E dopo che se n’è messi alcuni milioni dietro, come il famoso pifferaio, si creperà di risate quando farà l’ultima grillata: cari signori, il potere politico in Italia è fatto di ladri, corrotti e delinquenti; ma il popolo è fatto di autentici coglioni e la prova provata siete voi che mi siete venuti dietro in tanti, dietro a uno che non vi ha mai parlato di programmi né di problemi né di prospettive né di mete da raggiungere. Ora, ditemi voi dove dobbiamo andare. E dalla gente ammassata un coro: dove ci hai sempre detto, Grillo: vaffanculooo!    

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