Le Province da 86 sono state
ridotte a 51. Un risparmio che diventerà più consistente, dicono gli esperti,
quando saranno aboliti tutti quegli uffici che dipendono dalle province, tipo
prefetture, questure, sovrintendenze e simili. Allora il risparmio sarà
notevole. Bene. Anzi benissimo! Ma quanti altri posti di lavoro si perderanno?
Tutto il personale che oggi dipende dalle province finirà per uscire man mano
pensionandosi, ma quei posti di lavoro si perderanno per sempre. E’ il classico
ritornello, che ormai da un anno si sente in Italia, sul dilemma “risparmio o
crescita”, dato che l’uno esclude l’altro. La Fornero ha dato degli
schizzinosi ai giovani laureati senza posto di lavoro. Ci può stare. Lo direbbe
e lo dice ogni buon professore o genitore. Ma qui non si tratta più di prendere
il lavoro che si trova pur che sia, qui si tratta che tra non molto non ci sarà
lavoro di nessun genere, neppure a fare gli spazzini, gli scaricatori di porto,
i buttafuori, gli spazzacamini, le pulizie domestiche, i lavavetri, senza voler
offendere queste categorie di lavoratori. La prospettiva è un Lumpenproletariat quale si è visto nei
secoli passati e che sembrava essere definitivamente scomparso dalle contrade
urbane dell’Occidente. Sottoproletariato è la versione italiana, ma più
esattamente è un proletariato straccione, cencioso, poiché Lumpen in tedesco significa straccio, cencio.
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Monti, il capo della banda dei
tecnici, ossia dei migliori, come gli stessi si considerano, ha detto a
proposito della legge elettorale: il governo potrebbe pure intervenire con un
decreto legge, ma è meglio che se la vedano i politici. In dialetto salentino
dicesi fiancunàta, letteralmente
“colpo al fianco”, una minaccia larvata, un’anticipazione di un colpo diretto,
al petto. Non è che sbagli Monti a minacciare, di fronte alla convulsa
negligenza dei politici, ma se il suo governo si mette a fare la legge
elettorale, che poi deve essere approvata dal parlamento, sia pure con un voto
di fiducia, è lecito dubitare sulla buona riuscita. Il dramma di questo paese è
che si ha bisogno di qualcosa, ossia della politica, che al momento però
rappresenta il male dal quale si deve essere salvati. E’ come aver bisogno di
un medico chirurgo che al momento però è un macellaio e per fermare costui si
chiama chi fino a qualche tempo prima faceva il garzone nella sua bottega. La
classe politica si serviva dei tecnici, i quali non si capisce se non erano
bravi a dare consigli e suggerimenti o se non erano ascoltati. Oggi sono al
potere e se la classe politica non vuole finire davvero nella tragedia dovrebbe
dare qualche segnale di ravvedimento. Incominci con una bella legge elettorale,
a prescindere se al momento va in favore di questa o quella parte politica; l’importante
è che sia buona in sé. Il primato della politica, per il quale nonostante tutto
tifiamo, lo si stabilisce con qualche buon provvedimento, non con le
chiacchiere.
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Ci salveranno i gay? Il
neopresidente della Sicilia Rosario Crocetta ha affidato al cantautore Franco
Battiato l’assessorato al turismo e allo spettacolo. Questi ha accettato
smarcandosi dalla politica e dicendo che si sarebbe impegnato a fare qualcosa
di buono per la sua terra. Il sospetto, che è sempre del Maligno, che se
l’avesse chiamato una giunta di centrodestra non avrebbe accettato, ce
l’abbiamo. Battiato, che parla a gettoni come le colonnine dei parcheggi a
pagamento registrano la scadenza dell’orario, ospite di Lilli Gruber (La7,
martedì, 6 novembre) ha detto che alle primarie del Pd voterà Bersani e che
avrebbe voluto che in America vincesse Obama. E meno male che non c’entra con
la politica! Ma, andiamo oltre. E’ un gesto, quello di Crocetta, che non può
non essere apprezzato. Battiato è fondamentalmente un uomo di arte e di
cultura, ha le sue idee politiche, possiede sensibilità e buone capacità
espresse sul campo in tanti anni di carriera. Dovrebbe riuscire a far bene,
anzi benissimo. Dei suoi auspicabili successi un qualche merito lo avrà pure
Crocetta, che è un gay dichiarato. Un’altra grande regione, la Puglia , è da anni governata
da un altro gay dichiarato, Nichi Vendola. A tutt’oggi, a parte l’incidente
giudiziario dal quale è uscito indenne ma non inviolato (la Procura aveva chiesto
venti mesi di carcere), ha ben governato la regione. Quando l’opposizione tace
vuol dire che c’è poco da dire. Dunque, due grandi regioni governate da due gay
dichiarati sono un bel test per non avere nessuna riserva nei loro confronti.
Non sappiamo se ce ne sono altri in giro per le poltrone della politica, se ci
sono se lo tengono per sé; ma il fatto che questi lo dicano è apprezzabile ben
più del tacerlo. Viene di pensare a Piero Marrazzo, l’insospettabile
governatore della Regione Lazio. Forse è proprio il caso di mettere alla prova
della pubblica amministrazione coloro che sono stati da sempre esclusi per
delle ragioni che gli stessi oggi esibiscono.
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Ernesto Galli Della Loggia (I tecnici, i notabili e il vuoto politico,
Corsera del 9 novembre) discetta sui tecnici e sui notabili e conclude che la
differenza è tutta qui: il tecnico finisce il suo mandato e se ne torna alle
sue cose abituali, il notabile di tornarsene non ne vuole sapere e fa di tutto
per prolungare la sua permanenza in politica. Monti – dice lui – è un tecnico e
non un notabile. Io, avrei aspettato un po’ prima di dirlo. Ma, in Italia, si sa: si coltiva lo sport
dell’inchino, pericoloso direi dopo aver visto quello della Costa Concordia
all’Isola del Giglio. Voglio dire che se poi Monti dovesse prenderci gusto a stare
al potere, Galli Della Loggia avrebbe preso uno scoglio. A mio avviso la
differenza sta invece nel comportarsi di Monti da impolitico. Quanto lo faccia
per calcolo o per indole, non si può dire. L’ultima l’ha detta a proposito dei
politici e della verità. Non è impossibile – ha detto – per i politici dire la
verità. Certo che non lo è, ma per lui! Che è stato nominato e non eletto e che
probabilmente potrebbe essere rinominato; ma per un politico, che deve fare i
conti con l’elettorato la verità è come chi buttandosi in mare per farsi una
nuotata riposante si lega una grossa pietra al collo. Si può essere più o meno
convinti sostenitori della bontà del metodo democratico di governare; ma, di
fronte all’esperienza di Monti, l’antidemocratico ha ragione di lisciarsi
l’asso.
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Or è un anno dall’inizio del
governo Monti. Quel che si potrebbe dire ora lo si è detto nel corso dell’anno,
passo dopo passo, senza neppure aspettare l’esito, tanto era ovvio. Alcune cose
sono state fatte per l’emergenza in corso, in regime pseudodemocratico. Il
Parlamento ha avuto la funzione della foglia di fico. Altre cose il governo non
è riuscito a farle perché chiaramente non praticabili, come l’ultima
dell’aumento delle ore degli insegnanti da diciotto a ventiquattro la settimana.
Una cosa da dilettanti allo sbaraglio. Poi il Ministro Profumo ha trovato la
pezza a colore della mancanza di copertura finanziaria, della serie che anche i
tecnici dicono le bugie. Altre cose sono state fatte male, come la riforma
delle pensioni che ha lasciato irrisolto il problema degli esodati. Nel
complesso l’Italia ha due volti, quello dei conti a posto, lodata dall’Europa,
e quella di un paese che si sta impoverendo pericolosamente, con la deriva
politica dei Grillo e dello sfaldamento delle coalizioni e dei partiti, con
un’economia sempre più asfittica, con le fabbriche che chiudono, con la
disoccupazione che avanza, con una pressione fiscale degna dei peggiori regimi
assolutistici. No, non è un buon compleanno né per l’Italia né per il suo governo,
né per gli italiani, né per chi spera di poter raddrizzare la politica. E’ un
mal compleanno, purtroppo, per tutti.
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