C’è un particolare, assai grave,
nel caso Sallusti, il direttore de “il Giornale” che vuole, fortissimamente
vuole andare in galera dopo la condanna a quattordici mesi di carcere per
diffamazione nei confronti di un giudice, accusato di aver indotto una
minorenne ad abortire. Il fatto risale a qualche anno fa, quando Sallusti era
direttore di “Libero”. Sallusti non fu l’autore dell’articolo diffamatorio, ma
non avendo esercitato il controllo di legge, ne è responsabile al pari del
giornalista autore. Il quale, però, non aveva firmato l’articolo col suo nome,
ma con lo pseudonimo di Dreyfus,
perché non poteva farlo essendo stato radiato dall’Ordine per aver collaborato
coi servizi segreti fornendo notizie false per denaro e per essere stato coinvolto
nell’affare del sequestro di Abu Omar. Una storiaccia! Nota ed arcinota. L’autore
era stato Renato Farina, poi deputato PdL.
Il direttore Sallusti è
doppiamente colpevole, verso l’Ordine, cui appartiene, e verso la giustizia
ordinaria. Nel suo operato non c’è nulla che possa configurarsi come reato
d’opinione, salvo che per aver dato a Farina l’opportunità di continuare a fare
il giornalista, coperto da pseudonimo. Sallusti, infatti, si difende asserendo
che per lui non si può mai negare a nessuno il diritto di pensiero e di
espressione, con ciò violando però il codice penale ed anche il professionale. Se
si assumesse Sallusti come esempio, si dovrebbe concludere che chiunque, pur
condannato, può fare esattamente le stesse cose che faceva prima della condanna
e per le quali è stato condannato. Una situazione da giungla, prepolitica e
precontratto sociale: faccio quel che voglio e non quel che devo. Per un
direttore di giornale, che opera in una istituzione faro, come è la pubblica
informazione, è cosa estremamente grave.
Per l’omesso controllo e dunque
per la diffamazione, Sallusti ammette che la notizia data dal Farina-Dreyfys
non era propriamente …farina del suo sacco, che era falsa, ma rivendicava l’attenuante
che era stata ripresa da “La
Stampa ” di Torino. Ora, è risaputo che una notizia falsa non
diventa vera perché è stata precedentemente pubblicata da un grande e diffuso
giornale. Una notizia falsa è falsa, punto e basta. Queste cose Sallusti le sa
molto bene. E aggiunge che sì la notizia era falsa, ma non del tutto avulsa
dalle competenze del giudice, il quale avrebbe potuto pure decidere per l’aborto
della minorenne. Dunque, notizia non vera ma verosimile. Sarebbe questa l’attenuante?
Ma, allora, doveva smentire e giustificarsi chiarendo la circostanza.
Se non che di smentita, nemmeno a
parlarne. Sallusti si nasconde dietro una scusa incredibile. Dice: nessuno mi
ha chiesto di farlo; e l’Ansa, che aveva pubblicato la richiesta di smentita,
non era stata letta da Sallusti perché il suo giornale non era abbonato a
quella agenzia. Sicché, la notizia falsa, apparsa su “La Stampa ”, diventa vera o
comunque credibile, sì da impiantare un’accusa al giudice, perché Sallusti l’ha
letta; la notizia vera della richiesta della smentita è inesistente, perché mai
giunta in redazione e Sallusti non l’ha letta. Siamo ad un livello che è
difficile dire se infantile o criminale o semplicemente di quelle vignette di
una volta con la battuta “alla maniera di cretinetti”: esiste perché vedo, non
esiste perché non vedo. Dal dovere di smentire un falso, a prescindere dalla
richiesta, direttamente o indirettamente rivolta, Sallusti non è neppure
lontanamente toccato.
Per condannare Sallusti al
carcere la giustizia lo ha ritenuto “soggetto socialmente pericoloso”, sentenza
passata in giudicato. E qui è nato il suo caso.
Sallusti ha rifiutato una pena sostitutiva,
ha chiesto di andare in carcere, ha impugnato il caso per fare una battaglia
per la libertà di stampa. Un giornalista, nell’esercizio delle sue funzioni, non
deve essere mai incarcerato, neppure quando – come nel suo caso – è colpevole
di diffamazione, recidivo e particolarmente refrattario a riconoscere l’errore
compiuto, scuse e scusette a parte. Tutti i direttori di giornale – dice – sono
querelati ogni anno decine e decine di volte, compresi i grandi direttori dei
grandi quotidiani.
Su questa vicenda la stampa in un
primo momento ha preso posizione in favore di Sallusti ed ha invocato una legge
più moderna e in linea con la normativa europea, che non prevede il carcere ma
multe e risarcimenti. Il Parlamento, a scrutinio segreto, nel corso di
approvazione dell’invocata legge, invece ha ribadito il carcere, trasferendolo
dal direttore al redattore, piuttosto che escluderlo del tutto senza se e senza
ma, ed ha quantificato le multe in maniera intimidatoria. Invece di mitigare la
legge il Parlamento insomma vorrebbe addirittura aggravarla. Quale giornalista,
coi tempi che corrono rischia una multa di cinquantamila euro per un errore,
che si può anche civilmente ammettere? Meglio la galera!
Ma Sallusti non la smette. Condannato
agli arresti domiciliari, non ci sta. Dice che un soggetto “socialmente
pericoloso”, come è stato considerato lui, deve stare in galera, se non lo si
manda vuol dire che non è quel “soggetto pericoloso” che si vuol far credere. E’
evidente che vuole che la questione si radicalizzi, che tutti ne parlino, che
si faccia un gran casino perché in questo modo la parte politica che
rappresenta ne tragga vantaggio. E’ fondamentalmente per questo che la stampa,
dopo essersi schierata con lui per evitargli il carcere, ora che la questione è
strumentalizzata è più indifferente. Così Sallusti, piuttosto che starsene a
casa, ha convocato le televisioni e si è fatto riprendere mentre lascia i
domiciliari, la casa della sua compagna, la Santanchè , facendosi
arrestare nella sede de “il Giornale”. Anche questa scelta è abilmente diretta.
Quando mai si è visto violare la sede “sacra” di un giornale da parte dei
carabinieri? Ai giudici ha detto: il mio è stato un gesto dimostrativo, non lo
faccio più!
Forse non farà lo stesso gesto,
ma sicuramente ne farà altri. Perché Sallusti è convinto di essere trattato
come il Calimero di un noto spot televisivo di qualche anno fa. Perché lui non
accetta la condanna, vuole continuare a dirigere “il Giornale”. Perché ritiene
che non c’è diffamazione che tenga quando c’è di mezzo l’informazione.
Ormai in Italia non si lotta per il diritto di tutti, ma per l’abuso e
il privilegio. Se c’è la casta dei politici, quella dei magistrati, quella dei
medici e dei farmacisti, perché non ci deve essere quella dei giornalisti? Rispondo:
perché se pure ci fosse, i giornalisti dovrebbero rifiutarla, perché i
giornalisti sono preposti all’informazione e alla denuncia, non alla
compartecipazione dei privilegi. I giornalisti esistono per combattere qualsiasi principio di intoccabilità.
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