domenica 2 dicembre 2012

Caso Sallusti: se l'obiettivo è l'intoccabilità!



C’è un particolare, assai grave, nel caso Sallusti, il direttore de “il Giornale” che vuole, fortissimamente vuole andare in galera dopo la condanna a quattordici mesi di carcere per diffamazione nei confronti di un giudice, accusato di aver indotto una minorenne ad abortire. Il fatto risale a qualche anno fa, quando Sallusti era direttore di “Libero”. Sallusti non fu l’autore dell’articolo diffamatorio, ma non avendo esercitato il controllo di legge, ne è responsabile al pari del giornalista autore. Il quale, però, non aveva firmato l’articolo col suo nome, ma con lo pseudonimo di Dreyfus, perché non poteva farlo essendo stato radiato dall’Ordine per aver collaborato coi servizi segreti fornendo notizie false per denaro e per essere stato coinvolto nell’affare del sequestro di Abu Omar. Una storiaccia! Nota ed arcinota. L’autore era stato Renato Farina, poi deputato PdL.
Il direttore Sallusti è doppiamente colpevole, verso l’Ordine, cui appartiene, e verso la giustizia ordinaria. Nel suo operato non c’è nulla che possa configurarsi come reato d’opinione, salvo che per aver dato a Farina l’opportunità di continuare a fare il giornalista, coperto da pseudonimo. Sallusti, infatti, si difende asserendo che per lui non si può mai negare a nessuno il diritto di pensiero e di espressione, con ciò violando però il codice penale ed anche il professionale. Se si assumesse Sallusti come esempio, si dovrebbe concludere che chiunque, pur condannato, può fare esattamente le stesse cose che faceva prima della condanna e per le quali è stato condannato. Una situazione da giungla, prepolitica e precontratto sociale: faccio quel che voglio e non quel che devo. Per un direttore di giornale, che opera in una istituzione faro, come è la pubblica informazione, è cosa estremamente grave.
Per l’omesso controllo e dunque per la diffamazione, Sallusti ammette che la notizia data dal Farina-Dreyfys non era propriamente …farina del suo sacco, che era falsa, ma rivendicava l’attenuante che era stata ripresa da “La Stampa” di Torino. Ora, è risaputo che una notizia falsa non diventa vera perché è stata precedentemente pubblicata da un grande e diffuso giornale. Una notizia falsa è falsa, punto e basta. Queste cose Sallusti le sa molto bene. E aggiunge che sì la notizia era falsa, ma non del tutto avulsa dalle competenze del giudice, il quale avrebbe potuto pure decidere per l’aborto della minorenne. Dunque, notizia non vera ma verosimile. Sarebbe questa l’attenuante? Ma, allora, doveva smentire e giustificarsi chiarendo la circostanza.
Se non che di smentita, nemmeno a parlarne. Sallusti si nasconde dietro una scusa incredibile. Dice: nessuno mi ha chiesto di farlo; e l’Ansa, che aveva pubblicato la richiesta di smentita, non era stata letta da Sallusti perché il suo giornale non era abbonato a quella agenzia. Sicché, la notizia falsa, apparsa su “La Stampa”, diventa vera o comunque credibile, sì da impiantare un’accusa al giudice, perché Sallusti l’ha letta; la notizia vera della richiesta della smentita è inesistente, perché mai giunta in redazione e Sallusti non l’ha letta. Siamo ad un livello che è difficile dire se infantile o criminale o semplicemente di quelle vignette di una volta con la battuta “alla maniera di cretinetti”: esiste perché vedo, non esiste perché non vedo. Dal dovere di smentire un falso, a prescindere dalla richiesta, direttamente o indirettamente rivolta, Sallusti non è neppure lontanamente toccato.  
Per condannare Sallusti al carcere la giustizia lo ha ritenuto “soggetto socialmente pericoloso”, sentenza passata in giudicato. E qui è nato il suo caso.
Sallusti ha rifiutato una pena sostitutiva, ha chiesto di andare in carcere, ha impugnato il caso per fare una battaglia per la libertà di stampa. Un giornalista, nell’esercizio delle sue funzioni, non deve essere mai incarcerato, neppure quando – come nel suo caso – è colpevole di diffamazione, recidivo e particolarmente refrattario a riconoscere l’errore compiuto, scuse e scusette a parte. Tutti i direttori di giornale – dice – sono querelati ogni anno decine e decine di volte, compresi i grandi direttori dei grandi quotidiani.  
Su questa vicenda la stampa in un primo momento ha preso posizione in favore di Sallusti ed ha invocato una legge più moderna e in linea con la normativa europea, che non prevede il carcere ma multe e risarcimenti. Il Parlamento, a scrutinio segreto, nel corso di approvazione dell’invocata legge, invece ha ribadito il carcere, trasferendolo dal direttore al redattore, piuttosto che escluderlo del tutto senza se e senza ma, ed ha quantificato le multe in maniera intimidatoria. Invece di mitigare la legge il Parlamento insomma vorrebbe addirittura aggravarla. Quale giornalista, coi tempi che corrono rischia una multa di cinquantamila euro per un errore, che si può anche civilmente ammettere? Meglio la galera!
Ma Sallusti non la smette. Condannato agli arresti domiciliari, non ci sta. Dice che un soggetto “socialmente pericoloso”, come è stato considerato lui, deve stare in galera, se non lo si manda vuol dire che non è quel “soggetto pericoloso” che si vuol far credere. E’ evidente che vuole che la questione si radicalizzi, che tutti ne parlino, che si faccia un gran casino perché in questo modo la parte politica che rappresenta ne tragga vantaggio. E’ fondamentalmente per questo che la stampa, dopo essersi schierata con lui per evitargli il carcere, ora che la questione è strumentalizzata è più indifferente. Così Sallusti, piuttosto che starsene a casa, ha convocato le televisioni e si è fatto riprendere mentre lascia i domiciliari, la casa della sua compagna, la Santanchè, facendosi arrestare nella sede de “il Giornale”. Anche questa scelta è abilmente diretta. Quando mai si è visto violare la sede “sacra” di un giornale da parte dei carabinieri? Ai giudici ha detto: il mio è stato un gesto dimostrativo, non lo faccio più!
Forse non farà lo stesso gesto, ma sicuramente ne farà altri. Perché Sallusti è convinto di essere trattato come il Calimero di un noto spot televisivo di qualche anno fa. Perché lui non accetta la condanna, vuole continuare a dirigere “il Giornale”. Perché ritiene che non c’è diffamazione che tenga quando c’è di mezzo l’informazione.
Ormai in Italia non si lotta per il diritto di tutti, ma per l’abuso e il privilegio. Se c’è la casta dei politici, quella dei magistrati, quella dei medici e dei farmacisti, perché non ci deve essere quella dei giornalisti? Rispondo: perché se pure ci fosse, i giornalisti dovrebbero rifiutarla, perché i giornalisti sono preposti all’informazione e alla denuncia, non alla compartecipazione dei privilegi. I giornalisti esistono per combattere qualsiasi principio di intoccabilità.

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