domenica 30 dicembre 2012

Verso il voto: chi sale e chi scende, più Moro che De Gasperi



 
Se le parole bastassero ad esorcizzare i fatti avremmo un Mario Monti che “sale” in politica e una chiesa che “scende” in politica. Monti sale perché, nonostante le sue riserve “materne” verso la politica, più volte pubblicamente espresse, in essa ripone il suo grande sogno; che è poi il grande sogno di tutti. Giovanni Verga collocava il potere politico, nel suo progetto dei Vinti, al quarto stadio, inferiore solamente all’Uomo di lusso. Ma per quest’ultimo ne abbiamo avuto uno, Silvio Berlusconi, che basta e avanza. La chiesa, invece, “scende”. Il Cardinal Bagnasco, presidente della Cei, è intervenuto per benedire formalmente Monti; e lì è finita l’acqua santa. Non ce n’è per nessun altro. Non per Berlusconi, ovviamente; non per Bersani e figurarsi per Vendola. Gli altri sono omuncoli. Che volete che siano i Casini, i Fini, i Cordero di Montezemolo, i Di Pietro e via repertando? Ho sentito recentemente Alfredo Mantovano dire: Berlusconi non offenda. Si apprestava, l’uomo di Alleanza Cattolica, a lasciare il Pdl. Fa bene. Fanno bene tutti. Il guaio è che in Italia nessuno fa meglio: tutti bene, nessuno meglio. E il meglio è che quando finisce un’esperienza, bella o brutta che sia stata, si torni al lavoro proprio. Tu che facevi, il magistrato? Riprendi a farlo. Tu che facevi il medico, riprendi a farlo. Invece tutti fanno bene: cambiano col cambiar di luna, come arieggia il duca di Mantova nella donna è mobile. E chi fa meglio? Nessuno, ma nessuno se ne fotte. L’espressione è volgarmente fascista; ma quando ci vuole, ci vuole!
Salire o scendere, dunque, è relativismo dinamico. Certo che Monti sale, ma per lo stesso motivo per il quale la chiesa scende, perché Monti era in basso rispetto alla politica, mentre la chiesa era in alto. Ma basta coi giochi di parole, che se pure significano qualcosa, parole restano.
Quel che occorre considerare è il fatto in tutte le sue articolazioni. Gli italiani vanno al voto, per due terzi, più confusi che mai. Prendiamo il primo dei tre terzi, quello del centrodestra. Il soggetto politico che lo rappresenta è – chiedo scusa per il gioco di parole – impresentabile. Così com’è, è una sorta di armata allo sbando, con gruppi che cercano di stare assieme per sopravvivere. Una sorta di banda che si ritira alla spicciolata dopo un colpo andato a male. Con l’aggravante che non ha più un capo. Ne avrebbe potuto avere uno, perdente-perdente, ma dignitoso e speranzoso in una revanche. Era Alfano. Ma questi è stato ingurgitato da Berlusconi come Cronos della mitologia greca ingurgitava i suoi figli. Berlusconi sta lì per negoziare i suoi affari. In cambio di un suo appoggio parlamentare sotto o sopra banco, chiede di essere lasciato in pace. Tiene famiglia, e che famiglia! Bisogna capire. La Lega – lei non se ne rende conto – ma è finita; ormai vivacchia. La sua carica propulsiva è finita nelle more dei Bossi, padre e figlio, e dei tanti terroni complessati e ladruncoli di polli che a lei si erano avvicinati per proteggersi dai sospetti. Gli ex Msi/An, che storicamente rappresentavano una visione politica di mediazione tra la destra dello Stato e la sinistra della Società, hanno smarrito gli strumenti di bordo e alzano qualche straccio per farsi notare in alto mare da chi potrebbe andar loro in soccorso, fuor di metafora da un certo elettorato. Ma se tanti elettori si rivolgevano al partito neofascista – chiamiamo le cose coi loro nomi – non lo facevano per la nostalgia dei labari e dei pugnali, delle sfilate e delle folle oceaniche, ma perché trovavano le risposte alle proprie esigenze di cittadini devoti allo Stato e di lavoratori alle prese coi propri bisogni. Quell’elettorato oggi avrebbe ragione di rivolgersi più alla sinistra, che almeno c’è, che alla destra, che non c’è più. Non è l’optimum, la sinistra di Bersani & Vendola, ma non c’è altro.
L’ecumene che vorrebbe rappresentare Monti è un paesaggio norvegese tra scogli e fiordi, dove c’è di tutto, dagli ex democristiani in pensione ai berlusconiani pentiti, dai liberali agli uomini dell’economia e della finanza, dai grandi Commis d’État all’esercito di pinzocheri e beghine che da sempre fanno quello che il prete dice. Il chiesume, la vera, autentica, forza che fece vincere a De Gasperi le elezioni del 1948. Ecco, abbiamo tirato fuori  anche noi il De Gasperi, di cui tanto si parla di questi tempi a proposito e più ancora a sproposito. Monti lo scimmiotta, dice di essere un De Gasperi redivivo, ma non ha la Democrazia cristiana dietro e senza quel grande partito lui si può anche travestire da De Gasperi, al massimo per carnevale. Certo, è un’operazione, quella di Monti e dei suoi alleati, estremamente importante, tipicamente italiana. Lo è perché con essa si tenta di impedire che la dinamica politica democratica, secondo la quale ad una maggioranza politica riconoscibile che perde segua una maggioranza politica altrettanto riconoscibile di alternativa che vince, si vuole proporre una soluzione compromissoria, sincretica, tipica del trasformismo politico italiano. Una cosa che poi non lascia individuare i responsabili di un eventuale ennesimo pateracchio.
L’ultimo dei tre terzi, ossia il centrosinistra, oggi rappresentato da Bersani & Vendola, rischia ancora una volta di vedersi soffiato il successo politico, nonostante costituisca il soggetto più coerente e compatto. Nei suoi confronti si sta scatenando in forme diverse, forti da parte del centrodestra, morbide da parte dell’ecumene centrista, una campagna delegittimante, intimidatrice, erosiva. Si agita Vendola come uno spauracchio, l’elemento che potrebbe mettere in crisi l’eventuale maggioranza governativa o ricattare il governo su questioni molto sensibili, come tutta quella materia che investe i diritti degli individui, della famiglia e dell’etica. Se la chiesa è scesa in campo – scesa, comunque si voglia intendere questo verbo – lo ha fatto perché pensa che una vittoria elettorale del centrosinistra potrebbe davvero dare la spallata al vacillante edificio del complesso sistema bioetico del cattolicesimo. E che una vittoria del centrosinistra stia nell’ordine delle cose è talmente evidente che il centro evita lo scontro diretto e spera di catturare dopo le elezioni la sinistra secondo collaudate formule italiane, morotee nello specifico. Perché, a mio modestissimo avviso, non è di De Gasperi che oggi si dovrebbe parlare, piuttosto di Aldo Moro. Qualcuno sa che furono uomini, se non proprio diversissimi, adatti allo stesso ruolo in tempi diversi.

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