sabato 29 novembre 2025

Un voto dopo l'altro

I risultati delle elezioni regionali, in Veneto, Campania e Puglia, hanno confermato quanto le previsioni e i sondaggi dicevano da tempo, hanno offerto la prova di quel che già si sapeva. Questo dovrebbe indurre la classe dirigente a cercare nuove forme di partecipazione popolare, dato che la consultazione elettorale è superata. Le tecniche dei sondaggisti sono tali da rendere “superflue” le vecchie urne, i cosiddetti ludi cartacei. Tuttavia il voto del 23-24 novembre non è stato inutile. Ha confermato, col suo tre a tre, una situazione di parità tra Centrodestra e Centrosinistra + Movimento 5 Stelle. Eppure nel Centrodestra si vive un’aria di sconfitta, mentre nel Centrosinistra si ostenta euforia. I politici interessati, vinti e vincitori, minimizzano ed enfatizzano, secondo costume. Gli uni e gli altri rimandano la partita decisiva al Referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati del giugno 2026, quando è possibile una resa dei conti, in prossimità delle elezioni nazionali del 2027. Il gioco comincia a farsi sempre più duro in una partita a più tempi, al termine della quale sapremo se il Paese resterà nelle mani del Centrodestra o se tornerà in quelle del Centrosinistra per i successivi cinque anni. Il sistema elettorale, a questo punto, è determinante. Il dato, però, che va sottolineato è che gli elettori, dai quali dovrebbero dipendere gli esiti, non vogliono più “eleggere”, si astengono sempre più dal loro compito istituzionale. Nelle ultime elezioni regionali sia il Centrosinistra nel Veneto che il Centrodestra in Campania e Puglia speravano, pur dando per acquisito l’esito, di non perdere in maniera disastrosa, in modo da mettere sul piano della bilancia un recupero consolatorio. Invece i risultati sono andati oltre quel che si temeva: i vincitori hanno doppiato gli sconfitti in tutte e tre le piazze elettorali. È evidente che il voto organizzato, quello di diretta provenienza partitica, regge ancora; mentre il voto d’opinione è sempre più sfuggente. Va detto che nelle elezioni locali, come sono le regionali, conta molto il fattore personale del candidato a discapito del voto d’opinione. Accade quando la fiducia nella persona prevale sull’appartenenza politica. Io sarò pure juventino – per fare un esempio calcistico – ma se mi devo esprimere su due calciatori, quale dei due è di maggior valore, non mi lascio certo distrarre dal tifo e scelgo quello che a me sembra il più bravo, perfino un interista. È importante vedere nei prossimi sondaggi come stanno le cose, in che direzione si stanno muovendo o se invece segnano il passo. Certo è che i tempi stringono e nei quasi due anni della legislatura rimasti è inevitabile pensare alla rendicontazione finale. Il governo Meloni ha fatto tutto e niente. Al momento, dei suoi punti qualificanti ci sono solo cose cominciate: premierato, autonomia differenziata, sicurezza, riforma della giustizia, Ponte sullo Stretto, abbassamento delle tasse. Ma c’è di più e peggio. Se il governo dovesse perdere il referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati, prova di indubbia valenza politica, può darsi pure che non si dimetterà, come Meloni e alleati assicurano, ma subirebbe la più bruciante e grave delle sconfitte, con conseguenze sul voto del 2027. La Meloni può vantare una indubbia affermazione in campo internazionale, non tanto per il Piano Mattei e per le varie iniziative africane, quanto per la simpatia che il mondo politico mondiale le ha riservato. I conti, inoltre, li tiene in ordine e le agenzie di rating glielo riconoscono. Ma basta a vincere il confronto con gli avversari? L’Italia in campo internazionale conta quello che conta, ossia poco o nulla. Quando si tratta, infatti, di prendere decisioni importanti, che richiedono compromissioni serie, in Europa non si va oltre Francia, Germania e Inghilterra. Ecco allora che il voto regionale di questo 2025 è un campanello d’allarme per le Politiche del 2027. Il Centrodestra potrebbe arrivare scarico all’appuntamento. Molto dipenderà, allora, anche dalla capacità del Centrosinistra di proporsi come una coalizione forte e coesa. Che non è cosa da niente, come potrebbe sembrare. Finora i centrosinistri hanno bersagliato il governo di centrodestra perfino sulle cose più banali, dimostrando solo unità d’intenti; ma, quando gli stessi si guarderanno al loro interno, potrebbero accorgersi di non essere così pronti e compatti come si erano creduti e come avrebbero voluto.

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