sabato 15 novembre 2025

Ricchi, poveri e il mantello di San Martino

La Legge di Bilancio 2026, di cui si dibatte in questi giorni, ha creato un confronto di idee e proposte non solo tra governo e opposizioni ma anche all’interno del governo stesso. Le esigue risorse disponibili, che rendono estremamente povera la Finanziaria di quest’anno, manovra di 18 mld di Euro, hanno fatto gridare ad un certo punto le opposizioni, le quali hanno invocato una patrimoniale per i redditi più alti e altissimi e hanno accusato il governo di aver favorito i ceti più abbienti. Infelice la risposta di vari esponenti della maggioranza governativa, che hanno ammesso di aver favorito i ceti medi, ma che non può considerarsi ricco uno che ha un reddito di due-tre mila euro al mese. Come si saranno sentiti i circa sei milioni di poveri assoluti che stanno in Italia, lascio immaginare. Io credo che perfino per un terzo di quel reddito sarebbero disposti a farsi a piedi per intero la via francigena, andata e ritorno. Obiettivamente la situazione finanziaria italiana è preoccupante. Gli extraprofitti delle banche e una patrimoniale avrebbero potuto rimpinguare le casse dello Stato e consentire una più equa spartizione delle risorse. Ma il governo non solo non ha fatto ricorso a simili strumenti, lo ha fatto solo in parte per gli extraprofitti bancari, ma si è perfino vantato di non aver fatto ricorso alla patrimoniale. Tajani, capo della componente moderata della coalizione governativa, se n’è perfino gloriato: mai patrimoniale finché ci siamo noi al governo. In sostanza anche i partner governativi, FdI e Lega, si sono detti d’accordo, contravvenendo a loro precedenti posizioni. Soprattutto FdI, erede del Msi, la cosiddetta destra sociale, avrebbe dovuto pensarla diversamente. Non è stato detto sempre da quelle parti che la proprietà deve avere una funzione sociale? Che essa deve andare in soccorso dei ceti in difficoltà? Che la destra economica deve concedere qualcosa ai ceti meno abbienti? Non era mai successo prima che importanti esponenti del governo dichiarassero apertamente di aver favorito una classe piuttosto che un’altra, ma sempre si era cercato di avvalorare una politica di equa distribuzione della ricchezza, se non altro a parole. Si ha il sospetto che in Italia ci si stia convincendo che a votare vadano solo i benestanti, le categorie che possono considerarsi abbienti al punto da ricevere al momento giusto la “riconoscenza” dal governo. E che, viceversa, i poveri e i bisognosi si sono talmente scoraggiati da preferire di starsene a casa anziché andare a votare, mettendosi da soli fuorigioco. Una finanziaria insomma pensata per il cinquanta per cento della popolazione, quella che vota. Anche la Lega ha perso, strada facendo, la sua vocazione popolare, finendo per essere né carne né pesce. Il ministro leghista Giorgetti ha dimostrato di essere un buon ministro, ma solo tecnicamente, bravo a far quadrare i conti, che altri avrebbero fatto. Se così stanno le cose, basterebbe che gli attuali diseredati, che da qualche tempo non votano, riconoscessero in una parte politica chi li può veramente rappresentare e li votassero e alle prossime elezioni se ne vedrebbero delle belle. Io credo che l’astensione dal voto sia stata finora sottovalutata. Divaricare il Paese tra quelli che votano e quelli che non votano, per giungere a considerare i primi in maggioranza di centrodestra e i secondi in maggioranza di centrosinistra, e perciò i primi da privilegiare e i secondi da trascurare, è un errore, che può avere in futuro ricadute elettorali importanti. Non a caso da anni si denuncia l’astensione crescente dal voto degli elettori italiani, senza tuttavia studiare il caso per prendere gli adeguati provvedimenti. Vedremo alle prossime regionali, il 23-24 novembre, quale sarà la risposta dell’elettorato. Si voterà in tre regioni importanti anche dal punto di vista demografico, Veneto, Campania e Puglia. Gli esiti potrebbero dare elementi di valutazione significativi. Per intanto sarebbe bastato pensare ad una ricorrenza di questi giorni, che in Italia, pur senza essere festività nazionale, ha la sua importanza popolare, la festa di San Martino, per trarre auspici. Martino di Tours, cavaliere imperiale, incontrò sulla sua strada un mendicante e non avendo altro da dargli si tolse il mantello dalle spalle e con la spada lo divise in due dandogliene metà. Si può obiettare dicendo che per l’eccezionalità del gesto fu fatto santo. Oggi, invece, viviamo in un mondo in cui i cavalieri imperiali potrebbero pure fermarsi davanti al mendicante ma solo per vedere meglio se fosse in possesso di qualcos’altro da sottrargli.

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