giovedì 20 novembre 2025

Caso Garofani. A pensar male...

Il consigliere alla difesa della Presidenza della Repubblica Francesco Saverio Garofani, già parlamentare Pd per diverse legislature, si è abbandonato, nel corso di una conversazione conviviale in un locale pubblico, ad esprimere giudizi negativi sul governo Meloni e a sperare in uno scossone che la facesse cadere alle Politiche del 2027, circostanziandolo pure. Una grande lista civica nazionale, un listone, guidata dall’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. A svelarlo è stato un articolo apparso il 18 novembre su “La Verità” di Maurizio Belpietro, il quale pubblicava le parole del consigliere Garofani e ipotizzava che dietro quelle parole ci fosse il Presidente della Repubblica. Di fronte al gravissimo episodio, il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, ha chiesto al Quirinale che smentisse le parole del suo incauto consigliere. Ma, come nella battaglia di Maclodio, “s’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo”, così da sinistra sospettano che dietro le parole di Bignami ci sia la Meloni. Questi i fatti in successione. In un mondo politico normale, in seguito al su citato articolo, il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto chiamare il suo Consigliere e chiedergli ragione delle sue gravi esternazioni ed eventualmente “licenziarlo” su due piedi ove quello avesse ammesso di aver detto le frasi attribuitegli, come poi ha fatto. Invece il Presidente Mattarella ha rassicurato il suo Consigliere – lo ha detto questi – e sull’articolo de “La Verità”, ha espresso in un comunicato: «stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica, costruito sconfinando nel ridicolo». Ora in Italia siamo cani scottati e perciò temiamo l’acqua calda, come dice un noto proverbio. Abbiamo avuto i precedenti di Scalfaro e di Napolitano contro Berlusconi. Non c’è due senza tre. A pensarla male – diceva Andreotti – si fa peccato ma il più delle volte si indovina. Ora, per cercare di evitare uno scontro istituzionale, che sarebbe gravissimo, tutti gli attori dell’ennesima commedia all’italiana si sono messi a minimizzare e a giustificarsi col “volevo dire”. Ognuno voleva dire quello che non ha detto, dicendo altro. Ma sono tutti così scarsi in Italia nella comunicazione? Gli sprovveduti non erano solo quelli di destra? Così ha fatto lo sprovveduto Garofani: «Le mie erano soltanto chiacchiere tra amici». Così il puntiglioso Bignardi: «non mi riferivo al Presidente della Repubblica ma al suo consigliere». Non così, però, Maurizio Belpietro, il quale ha ribadito la giustezza della sua posizione e ha concluso che «è ridicolo chi silenzia». Gli altri, tutti ad avere massima fiducia nel Capo dello Stato. L’incontro tra il Presidente della Repubblica Mattarella e il Presidente del Consiglio Meloni, tenuto il 19 novembre al Quirinale, sembra aver chiarito, al di là di ciò che ognuno voleva dire, che tra le due massime istituzioni c’è intesa. Se è pace o soltanto tregua lo vedremo nei prossimi mesi. Certo è che un consigliere del Presidente della Repubblica non può chiacchierare con gli amici su questioni così delicate e importanti. Garofani deve rispondere di quanto ha detto. Si può discutere sull’entità della giusta punizione, ma la questione non può finire con un nulla di fatto. Torniamo all’incidente. Delle due l’una: o le parole indiziate sono scappate involontariamente o sono state dette di proposito. Per trarre quale “utile” nel secondo caso? Complotti a parte, fatto sta che oggi gli italiani sanno da che parte sta il Quirinale, se mai ci fosse stato bisogno di un’ulteriore conferma. Non è cosa da niente. È un incoraggiamento a tutte le opposizioni e all’elettorato antimeloniano a confidare nella prossima battaglia elettorale. È una squilla, una mobilitazione generale. Essa non cade a sproposito, stante la vigilia delle elezioni in tre importanti regioni italiane, il Veneto, la Puglia e la Campania. Proprio dai risultati che usciranno da quelle urne si possono trarre gli auspici per il non lontanissimo referendum sulla riforma della magistratura, che può determinare a sua volta e nell’immediato un principio di sconquasso in vista delle Politiche del 2027. Ecco perché l’uscita apparentemente sconsiderata di Garofani, l’attacco al Presidente della Repubblica di Belpietro e l’intervento di Bignami sono da intendersi giocate di una partita già iniziata. Il tressette italiano è arrivato alle ultime carte, quando tutti sanno che cosa ha ciascuno in mano.

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