sabato 6 dicembre 2025

Taurisano, 8 dicembre 1905: Immacolata di sangue

L’8 dicembre 1905, or sono centoventi anni, è ricordato a Taurisano come l’Immacolata di sangue, per i tragici fatti che si verificarono in quel giorno. La festività, tradizionalmente sentita e rispettata da una popolazione per lo più di contadini e agricoltori, favorì la manifestazione contro il governo, allora presieduto dal giolittiano Alessandro Fortis. Questi, l’8 novembre 1905, aveva concluso con la Spagna il trattato commerciale detto “Modus vivendi”, con cui l’Italia esportava manufatti dell’industria del Nord e importava vini a dazi di favore (40%). Ne usciva penalizzata l’agricoltura del Sud, che già malamente viveva di prodotti agricoli. La solita politica giolittiana di quegli anni, carota al Nord, bastone al Sud, che tanti incidenti provocò in tutto il Mezzogiorno, con decine di morti e feriti. L’8 settembre 1902 a Candela (Foggia) cinque morti e dieci feriti; il 5 agosto 1903 a Cassano Murge (Bari) un morto e quattro feriti; il 18 agosto 1905 a Grammichele (Catania) quattordici morti e sessantotto feriti. Tutte manifestazioni politiche represse dalla forza pubblica, più o meno con le stesse modalità. All’epoca il potere politico a Taurisano se lo contendevano i membri della famiglia ducale Lopez y Royo. Sindaco, in quella circostanza, era Filippo Lopez y Royo di tendenza democratica. Questi aveva fatto approvare dal Consiglio comunale per quel trattato commerciale una dura delibera di condanna nei confronti del governo. Parole che non potevano essere approvate dalle istituzioni governative. Vi si legge: “Il Consiglio considerato che il Modus vivendi commerciale stipulato con la Spagna, nel mentre pregiudica gravemente e solamente gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, dimostra ancora una volta la politica regionalista e partiggiana [sic] imperante nel Regno di sfruttamento delle regioni del Sud a vantaggio delle Provincie Settentrionali, per acclamazione Deplora il provvedimento subdolo e partiggiano [sic] preso dal governo proprio quando più gridava di voler fare i nostri interessi – Delibera di persistere nell’agitazione, e invitare il Deputato del Collegio ad associarsi agli altri rappresentanti del Sud finchè l’improvvido provvedimento non sarà rigettato […]”. La Sottoprefettura di Gallipoli sospese la delibera (2 dicembre) e la Prefettura di Lecce la annullò (4 dicembre). Era quanto bastava per far esplodere la situazione. La mattina dell’8 dicembre, approfittando della festività, si formò un lungo corteo che un banditore, con un tamburo di latta, annunciava per le vie del paese. Giunto nella piazza fu inscenata una simbolica manifestazione, furono sversate per terra delle botti di vino mentre i partecipanti, arrabbiati ed ebbri, gridavano frasi minacciose contro il governo, come erano stati imbeccati dai loro padroni nei giorni precedenti: per colpa del governo, ora che dobbiamo fare col nostro vino, lavarci i piedi? La mattinata, tuttavia, era trascorsa senza incidenti. I militari, arrivati per prevenire disordini, si erano accasermati, parte nel palazzo del Sindaco e parte nel Municipio, che erano attigui. Avevano ricevuto l’ordine di non uscire per evitare provocazioni. Fu inutile, verso sera, secondo le testimonianze, si radunarono nei pressi del Municipio alcune decine di persone che ripresero a vociare contro il governo e i militari. Nella folla che s’ingrossava c’erano dei ragazzi, che si misero a gridare insulti e a buttare pietre contro il portone del Municipio. Fu allora che uscirono dei militari e si misero a sparare all’impazzata ad altezza d’uomo, non sapendo da dove provenisse la sassaiola. Si vedono ancora le scheggiature dei proiettili sui muri delle case di via Roma. La folla spaventata si disperse in pochi minuti per le vie adiacenti, lasciando per terra esanime il contadino Michele Manco e alcuni feriti. Seguì il terremoto politico. Il tragico evento ebbe un’eco nazionale. Ne parlarono tutti i giornali. Il “Secolo Illustrato della Domenica” del 17 dicembre gli dedicò la copertina. Alla Camera ne discussero con toni accesi i principali politici del tempo, specialmente di sinistra, e i deputati del Collegio. La battaglia fu vinta dagli oppositori del “Modus vivendi”, che fu bocciato il 17 dicembre successivo. Lo stesso Fortis si dimise il giorno dopo per riavere l’incarico a fare un nuovo governo il 24; ma il 2 febbraio 1906 dovette dimettersi definitivamente. Anche Giolitti preferì per il momento mettersi da parte e lasciare l’iniziativa ad un governo di destra, presieduto da Sidney Sonnino. Che, a sua volta, durò qualche mese.

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