sabato 5 dicembre 2020

Saremmo alle comiche se non ci fosse da piangere

Siamo in una situazione davvero incredibile. Da anni si susseguono cose incredibili in questo “incredibile” paese. Da incredibilità ad incredibilità siamo giunti a non credere più in niente. Il governo giallorosso di Conte non cade nonostante non si tenga in piedi. Per un verso chi più lo attacca all’interno e dall’esterno, per un altro chi più gli attacca paletti per tenerlo ritto, come si fa ad una pianta tormentata da venti contrari. L’ultimo e il più convincente sostegno è che non può cadere perché se cadesse non ci sarebbe una soluzione parlamentare ma non si potrebbe neppure votare, stante la furia della pandemia.

Ci sarebbe da obiettare su entrambe le cose. Sulla possibilità di alternative parlamentari, si osserva che valgono quando convengono per certe forze politiche dell’establishment e non valgono per altre. Il principio dovrebbe essere lo stesso: se in Parlamento c’è una maggioranza, balorda e sgangherata quanto vogliamo, va sperimentata. La maggioranza gialloverde prima e quella giallorossa dopo non erano più attendibili di un’ipotetica terza, magari tricolore. Ne abbiamo viste di tutti i colori in questi ultimi trent’anni. Quanto all’inopportunità di votare in piena minaccia pandemica, non si può non ricordare che non è da molto che si è votato per le regionali (20-21 settembre).

Secondo Marzio Breda, che porta sul “Corriere della Sera” la voce del Quirinale, il Presidente Mattarella è preoccupato (Corsera del 04.12.2020). La causa è sempre la stessa: è l’implosione dei 5 Stelle. L’inarrestabile emorragia di voti, di credibilità e di compattezza ha portato questo partito sull’orlo della scissione. Mentre la componente più governativa si identifica sempre più col sistema geneticamente inviso e combattuto, l’altra alza la voce e minaccia iniziative traumatiche. Non vogliono il Mes ma non vogliono neppure la riforma del Mes. Minacciano di non votarla in Parlamento, col rischio di far giungere l’Italia davanti al consesso europeo senza una condivisa politica estera. Dietro questi contrasti nei 5 Stelle ci sono ben altre ragioni di identità e di posizionamento politico. Ormai questo non è più un movimento ma non è ancora un partito, mentre le fughe si susseguono senza sosta. Il Pd fa sapere che tutto questo minaccia il governo e che senza politica estera non si va da nessuna parte. Dunque le due componenti più consistenti della maggioranza sono in fibrillazione e minacciano – scientemente e incoscientemente – di farlo cadere.

Dall’esterno, dalle opposizioni – ça va sans dire – il governo è attaccato perché cerca di tenere insieme le forze di maggioranza con provvedimenti sui quali esse sono d’accordo, vedi la riforma dei decreti sicurezza. Salvini e Meloni trovano davvero incomprensibile come in tante difficoltà in cui si dibatte il paese, il governo non trovi niente di meglio che aprire i porti ai migranti. L’unica politica “estera” di questo governo credibile è quella contro l’unico “estero” possibile in Italia, quello delle opposizioni. Più si dà addosso a Lega e Fratelli d’Italia e più 5 Stelle e Pd trovano motivi per mettere da parte i contrasti propri e intendersi sulle cose che poi non riescono a fare di comune accordo. Ma si deve anche riconoscere che le manifestazioni inscenate in Parlamento con cartelloni “Conte dimettiti” evocano situazioni assai più gravi e dunque tendono a far apparire la situazione non più sostenibile.

Il governo probabilmente non cadrà. A convincerci di tanto è l’inconsueta fermezza di Giuseppe Conte sulle misure precauzionali anti Covid. Nonostante le varie lamentele da più parti sulle chiusure e sulle aperture, su questo o quel colore di questa o quella regione, egli ha proseguito imperterrito, anche se sempre più chiaro appare che certi provvedimenti nei confronti delle regioni a governo di centrodestra (Lombardia e Veneto) siano più duri rispetto a quelli a governo di centrosinistra (Campania e Puglia). Ma qui non si può non osservare come il medico – in questo caso il governo – finisce per essere più bravo ed efficace proprio nei confronti di chi cerca di colpire di più con provvedimenti duri ma terapeuticamente migliori. Ci sono i risvolti economici, è vero, ma ormai di questa epidemia sappiamo che va affrontata prima di tutto per la sua minacciosità fisica. Il noto detto “finché c’è vita c’è speranza” calza a pennello in questa congiuntura.

Ma se il governo non cade non può evitare di dimostrarsi sempre meno adeguato. Non tanto e non solo per la figura di Conte, sul quale la storia avrà più materiali probatori per giudicarlo, quanto per la mancanza di governance, per la mediocrità della maggior parte dei suoi ministri e vice.  

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