mercoledì 9 dicembre 2020

La fine ingloriosa dei Cinque Stelle


Ha detto recentemente Roberto Fico, Presidente della Camera dei Deputati, terza carica istituzionale – mica niente! – che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, voluto dai Cinque Stelle già nel 2018 col governo gialloverde e confermato nel 2019 col governo giallorosso, andava salvato. A chi si rivolgeva? Ai 5 (dico cinque) suoi compagni di movimento che non volevano votare la riforma del Mes voluta dal governo. Quale il senso dell’intervento di Fico? È semplice: non si vota sulla bontà del provvedimento, magari su quella si avrebbe anche ragione di votare contro, ma sulla difesa del governo. Sul Mes non c’è stato esponente grillino, da Conte a Di Maio, fino all’ultimo militante, che non lo abbia escluso in maniera totale. Ora i contrari sono rimasti in cinque. Dunque i grillini sono bugiardi, esattamente come bugiardi erano i loro predecessori di tanti altri partiti.

Chi sa di politica, sa che questo comportamento è normale. Non lo era per i Cinque Stelle fino al loro ingresso nelle stanze del potere. È accaduto tante volte che nel corso della prima repubblica democristiani, comunisti, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali e perfino missini (sottobanco questi) hanno votato non per il merito ma per l’opportunità di far cadere o non far cadere un governo. Erano e sono le dinamiche della vita parlamentare, contro cui Beppe Grillo e i suoi adepti per anni si sono scatenati contro. Senza riguardi per nessuno i grillini hanno sparato a zero come i cannoni di Bava Beccaris sui politici dei precedenti venti anni, insultandoli, dileggiandoli, ingiuriandoli, come in genere si fa nei trivi di paese fra comari acide.

Si dice – giustamente – che ogni classe politica, la più fortemente determinata a fare diversamente da chi l’ha preceduta, prima o poi degeneri. Ma i Cinque Stelle hanno una storia brevissima, appena dieci anni, e appena due di governo. Questi non sono degenerati, non ne hanno avuto il tempo per diventarlo. Questi erano già degenerati.

Viene di chiedersi: ci voleva l’esercito di Franceschiello dei Cinque Stelle, incompetenti buffi velleitari, autopromossisi forza rivoluzionaria, per continuare a tenere in vita quello che si voleva annientare? Qui non si tratta di giudicare un provvedimento, in questo caso il Mes, sul quale si possono esprimere le più varie posizioni, ma di capire un comportamento politico, condannato quale esiziale sistema della democrazia e della partecipazione del popolo al potere. Fico, che, absit iniuria verbis, sembra un massaro uscito da una masseria pugliese di fine Ottocento, avrebbe potuto spiegare la bontà del provvedimento, fingendo, arrampicandosi sugli specchi. Se ciò avesse fatto avrebbe tutt’al più commesso un errore di valutazione. Ma un errore non è grave quanto lo è invece un modo di fare, una filosofia politica. Non si dice sì a qualcosa che si ritiene sbagliato per non far cadere il governo, ma se e quando si è convinti della sua bontà.

Un caso singolo? Nient’affatto. I Cinque Stelle oggi sono divisi e confusi. Sanno che il popolo che li ha votati solo in piccolissima parte li condivide. Lo provano gli esiti elettorali degli ultimi due anni e i sondaggi. Gli elettori grillini s’aspettavano che i loro rappresentanti facessero più o meno quanto essi avevano promesso in campagna elettorale. Un po’ perché gli elettori non conoscono gli “obblighi” cui sono sottoposti i rappresentanti nel momento in cui scendono dai loro pulpiti e si siedono sugli scranni parlamentari, e un po’ perché sono a volte fanaticamente convinti che cambiare certi metodi si può e si deve a prescindere. Nel momento in cui gli elettori si accorgono che tanto non accade e si dice apertamente da parte dei loro rappresentanti perché non accade, allora non si può che prendere atto della delusione e del fallimento.

I Cinque Stelle su che cosa poggiano i loro comportamenti, le loro pretese di essere migliori di chi li ha preceduti? Su una migliore cultura? Su una più fondata esperienza? Sulle loro credenziali etiche? – Onestà! Onestà! – Su che cosa, se poi si perdono nelle miserie di un voto su un provvedimento, sbagliato, per non far cadere un governo altrettanto sbagliato?

Non è la prima volta nella storia che quel pubblico che ha portato agli altari un uomo o un gruppo di uomini poi si rivolti contro quando si accorge di essere stato tradito. I Cinque Stelle fanno pensare a Masaniello, il pescivendolo napoletano assurto a capopolo per fondate ragioni e fondati comportamenti; ma finì non molto dopo per essere ucciso dai suoi stessi, i quali infilzarono la sua testa su una picca e girarono la città. Non siamo a quei tempi, ma la fine ingloriosa e indecorosa dei Cinque Stelle aspetta solo di essere ratificata dal voto popolare. È la nuova picca. E forse anche per questo essi non vogliono che si voti nell’imminente.

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