sabato 28 novembre 2020

Maradona lo comandava il diavolo

In nessuna lingua del mondo come in quella popolare trovi a volte le risposte più giuste e puntuali di fronte ad un fenomeno inspiegabile, naturale ma che naturale non sembra. Ce n’è una nel nostro dialetto che ora, nel caso di Maradona, calza a puntino. Lu cumannava u tiàulu (lo comandava il diavolo). In italiano non rende la stessa idea. Tutto quello che realizzava in campo e fuori era opera del diavolo, che di lui si serviva per entusiasmare e per irritare, per esaltare e per condannare, per innalzare al cielo e per sprofondare negli abissi. Era l’avatar del maligno. Chi ha detto che il diavolo suggerisce solo il male? Fa una cosa e l’altra, il male e il bene, con lo stesso spirito beffardo.

Con Maradona riusciva magnificamente. Quando il calciatore semina come coriandoli sei avversari in un percorso di cinquanta metri e finisce quasi per entrare in rete col pallone dopo aver beffato perfino il portiere è il diavolo in lui. Lo abbiamo visto tutti nella famosa finale tra Argentina e Inghilterra in Messico. Così come quando con la mano segna il gol che farà infuriare gli inglesi per la vita è ancora il diavolo che lo comanda, un diavolo argentino, che si prende la rivincita per la sconfitta militare delle Malvinas.

Lo ricordiamo ancora noi juventini quando in una punizione dal limite, a pochi metri di distanza dalla porta, con la barriera da superare in una famosa partita che vale lo scudetto, beffa il povero Zoff con una micidiale strafottente falciata al pallone fermo.

Ce ne sono tante di simili diavolerie sul campo operate dal diavolo tramite Maradona che è inutile star qui ad elencarle tutte; e, poi, le opere buone del diavolo sono belle se le vedi e dunque corriamo tutti a vedercele ogni tanto. 

Ma il diavolo non è lui se non fa anche il male; e il male lo fa in un modo altrettanto beffardo. Il Maradona degli ultimissimi tempi era una caricatura, qualcosa di grottesco, malfermo su quelle stesse gambe di tante incredibili imprese. Con Maradona si scapriccia e col male che gli fa fare a se stesso riesce perfino ad eguagliare il bene che gli aveva consentito, abbrutendolo in tutti i modi possibili: con la droga, con le donne, con l’alcool, con la malavita, con l’esaltazione di tutti i regimi populistici dell’America latina. Maradona andava con chiunque avesse il potere, specialmente quello diretto, violento, totalitario come in genere quello dei dittatori. A suo modo anche la camorra è un potere diretto e totalitario; e per questo entusiasmava quell’uomo, abituato a convivere col diavolo che aveva in corpo. Trascorrere una nottata in compagnia di potenti camorristi, fra belle donne e fiumi di cocaina, per lui, per il suo demone, valeva una partita di pallone vinta su poveri avversari annichiliti dalle sue imprese diaboliche, a volte su avversari degni del massimo rispetto, bravissimi ma umani. Oggi il termine populismo coi suoi derivati è di moda, è facile usarlo anche per Maradona. Ma così è. Egli è stato l’incarnazione del populismo più bello e chiassoso, più diretto e aggressivo.

Non si potrà mai stabilire se come calciatore è stato lui il più grande di tutti perché ogni confronto non regge, perché gli altri, pur immensi, non “godevano” dell’ispirazione e dell’aiuto del diavolo. Pelè resta per ora insuperato, ma Pelè non ha mai fatto, né in campo né fuori, cosa che possa minimamente far pensare al soprannaturale, all’incredibile. Sicuramente altri ne verranno – è il bello della storia – non tantissimi, ma capaci di far pensare che qualcosa di diabolico si nasconda nei loro piedi, nella loro testa o nelle loro…mani. Allora forse si potrà tentare un paragone. Inutile, peraltro, perché il diavolo, comunque si vesta, è sempre simile a se stesso e come Paganini non si ripete. Per ora a Maradona auguriamo pace e riposo, umanamente intesi.

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