sabato 21 novembre 2020

Donald Trump e l'incredibile America

 

A me Donald Trump non è mai piaciuto e faccio ancora oggi fatica a capire gli americani che lo elessero quattro anni fa e gli hanno dato settanta milioni di voti il 3 novembre scorso. Che, però, non gli sono bastati per essere rieletto. 

L’errore fondamentale di Trump, se di errore si può parlare, è che dopo aver diviso l’America in due parti ha parlato solo ad una, alla sua, lasciando intendere che avrebbe fatto un mazzo così all’altra. Biden, invece, ha parlato a tutti gli americani. Si potrebbe racchiudere così il carattere dominante di una campagna elettorale intensa ed aspra. 

Gli americani non li capisco per tante cose, la più incredibile delle quali è che giudici o sceriffi in alcuni Stati vengano eletti dai cittadini, come fossero dei politici. Come può un giudice essere giudice, interpretare e applicare la legge senza condizionamento alcuno se deve pensare a farsi eleggere? Ed altrettanto fare lo sceriffo? Chi deve stare al di sopra delle parti non può stare, per incominciare, incardinato nella propria. Sono delle assurdità. Come inconcepibile è una sanità pubblica che non garantisca assistenza all’intera cittadinanza. Parlo da un pulpito che non è di simpatie democratiche né tanto meno di sinistra. Ritengo che alcune situazioni non dovrebbero più essere valutate di destra o di sinistra, ma essere conquiste acquisite, dalle quali prescindere. Giudici e sceriffi non devono dipendere da un voto popolare e la sanità è un diritto universale. Specialmente se consideriamo che stiamo parlando di un grandissimo paese, il più ricco e potente del mondo, e di una consolidata liberaldemocrazia.

Di più. Trump ha sempre manifestato una sorta di infantilismo, tradito dal timbro della voce e dalla gestualità improbabile, con quelle due piccole mani che sfigurano davanti alla mole del suo corpo che senbrano muoversi come a voler proiettare delle ombre cinesi. Le sue iniziative di licenziare in tronco tanti suoi uomini, importanti figure istituzionali, e di sostituirli con altri, per un piccolo sgarbo o per un nonnulla che sgarbo o inefficienza a lui sia parso, dimostra che si comporta come un bambino capriccioso, che rompe il giocattolo che non gli piace più. Questo voglio! Questo non lo voglio! Il suo esercizio di potere non trova riscontro se non in alcuni despoti orientali di tanti e tanti secoli fa. Anche la sua ostinatezza a non voler riconoscere la sconfitta elettorale del 3 novembre rientra in questa sindrome.

Ma tutto questo rende di per sé grandi gli altri? Può farli preferire a lui, sicuramente, ma non può alterare in alcun modo il loro valore. La sua inadeguatezza, le sue stravaganze, non possono elevare i suoi competitors a dei geni, come sta accadendo ora a Joe Biden, il presidente eletto.

Incominciamo col dire che Trump è pur sempre un uomo di successo e se è arrivato dove è arrivato deve per forza avere dei talenti. E, come accade spesso agli uomini di talento, ci si mette anche in loro favore la fortuna, intesa come coincidenza di situazioni favorevoli del tutto indipendenti dai loro meriti. Se divenne presidente quattro anni fa è perché l’altra parte, quella che gli contendeva l’elezione, la democratica Hillary Clinton, secondo tanti osservatori e analisti politici, non era competitiva. La presidenza di Barack Obama aveva lasciato degli scontenti e dei guasti nella complessa e difficile società americana. Trump vinse nonostante avesse preso tre milioni di voti meno della Clinton, grazie ad un macchinoso sistema elettorale, che fra l’altro prevede il voto anticipato e quello per corrispondenza. Altra cosa difficile da capire! Così, se oggi Trump è stato battuto da un candidato di 78 anni, che, a vederlo, non mette certo di buon umore né ti fa nutrire grandi speranze, è perché si è mosso l’universo mondo delle fasce sociali deboli offese dalla presidenza Trump e dei poteri forti che di Trump non volevano più saperne. E’ stato un combinato in genere difficilmente realizzabile, che ha trovato nella circostanza il modo di realizzarsi e di infliggere al discusso presidente miliardario la sconfitta. Segno, questo, che Trump, se pur qualche cosa di positivo ha fatto in questi quattro anni, soprattutto in economia, come dicono, era per gli Stati Uniti d’America e per il mondo occidentale uno sproposito, del quale liberarsi costi quel che costi. C’è chi pensa che a fargli perdere le elezioni sia stata la pandemia da Covid 19. Probabilmente avrebbe perso lo stesso anche senza questa crisi, da lui gestita malissimo.   

Quel che lascia Trump, un paese diviso e lacerato, fa tremare le vene e i polsi al successore. Il quale, peraltro, a molti ammiccamenti buonisti è giunto di recente in funzione elettorale. Joe Biden, il “buono” che tanti neri e ispanici hanno votato, nel 1994 ebbe un ruolo importante nella stesura della legge Violent Crime Control approvata durante la presidenza Clinton quando allora era a capo della Commissione Giustizia del Senato, una legge che prevede pene pesantissime anche per reati minori, che in tutti questi anni ha mandato in galera milioni di americani per lo più neri.

Ci sono nelle promesse del democratico e cattolico Biden delle enormi incompatibilità. Una è veramente colossale. Se si auspica che si arrivi negli Usa ad una più diffusa giustizia sociale, che si metta fine o si attenui il razzismo, che si copra l’intera popolazione con la sanità, che si dia a tutti un posto di lavoro, allora è evidente che il Paese deve darsi una regolata interna, stabilire il perimetro entro cui questi obiettivi sono raggiungibili. Allora occorre chiudere i confini ai migranti, come già aveva iniziato a fare Clinton facendo costruire il muro per arginarli sul confine col Messico. Se si apre a tutti in nome dell’accoglienza o della fatalità delle migrazioni, è del tutto evidente che non si può garantire sempre tutto ad un “tutti” in continua crescita. Come nessun recipiente, per grande che sia, può accogliere tutta l’acqua di un rubinetto continuamente aperto così nessun paese al mondo può farsi invadere e nello stesso tempo dare a tutti la sistemazione voluta. Una cosa simile la può dire – si badi: dire! – solo Papa Francesco, che dice e basta, non può pensarlo e tanto meno dirlo un politico responsabile, un uomo di cultura, un cittadino con un minimo di discernimento critico.

Quanto all’altro problema che è stato ingigantito e che ha caratterizzato l’ultimo anno di presidenza Trump, ossia il razzismo, nello specifico la violenza dei poliziotti americani nei confronti della popolazione nera, è appena il caso di dire che tra i poliziotti ci sono anche molti neri e che tra le vittime ogni anno ci sono anche molti bianchi. Ma se muore un bianco per le violenze di un poliziotto non fa notizia e scalpore come fa quando a morire è un nero, perché in questo caso è razzismo, con tutto quello che consegue sul piano della propaganda. Che, come si sa, è l’anima della politica. 

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