domenica 31 luglio 2016

Abbracciamo pure i musulmani in chiesa, ma...


In Francia, dopo la barbara uccisione del povero parroco, Jacques Hamel, fedeli cattolici e fedeli musulmani hanno deciso di stare insieme e partecipare in chiesa alla santa messa. Solo per domenica 31 luglio? E come pregheranno insieme, date liturgie completamente differenti?
Subito c’è stata l’emulazione dei cattolici e dei musulmani italiani. Speriamo bene. Quando altro non c’è da fare, è giusto perfino tentare il paradossale. Il cardinale Bagnasco si è detto contento. Nessuno vuole la guerra e nessuno ha da guadagnare dal radicalizzarsi di uno scontro che purtroppo è in atto.
L’evento, però, non deve farci andar troppo lontano con la fantasia e deve farci tenere i piedi per terra. Lo scontro religioso – non so come diversamente chiamarlo – non riguarda tanti buoni islamici che si trovano in Europa nelle più varie condizioni, ma una classe dirigente islamistica (Daesh o Isis, come la si vuol chiamare) che è convinta di dover abbattere il regno degli infedeli, che siamo noi europei. Accusati noi di essere andati in casa loro in tempi neppure tanto lontani e di aver disegnato la carta politica delle loro popolazioni, dicendo: qui dovete stare voi, e qui voi altri.
Non è il caso di addentrarci nel groviglio delle ragioni, vicine e lontane, di questa contrapposizione, diciamo soltanto che noi non siamo estranei e lo dimostra il fatto che agli atti di guerra rispondiamo con atti di guerra. Alcuni di questi atti sono sotto gli occhi di tutti, come i bombardamenti, altri sono più nascosti ma altrettanto efficaci. La guerra, insomma, è inutile negarlo, c’è. Gli stessi terroristi islamici giustificano i loro atti come vendicativi delle bombe che i nostri aerei lanciano sui loro correligionari in tutta l’area dell’Iraq e della Siria. Noi la combattiamo con cacciabombardieri e droni, per quello che vediamo e sappiamo; loro con attacchi terroristici, improvvisi e imprevedibili.
E’ ovvio che il noi sta per noi occidentali, non per noi italiani, che invece continuiamo a raccogliere musulmani dal mare e portarceli in casa.
Il punto vero è come risolvere la guerra delle redazioni giornalistiche, dei ristoranti, delle promenades, dei concerti, delle chiese. Servizi segreti, agenti in strada ed altri strumenti di prevenzione e repressione non bastano; anzi, il più delle volte non sono adeguati. Tanto soprattutto in quei paesi, come Francia e Belgio, dove ormai la società si è così intrecciata che il terrorista può essere anche lo studente, il compagno di scuola del figlio, il fidanzato della figlia o della nipote e via discorrendo.
La differenza tra i nostri attacchi e i loro sta nel fatto che loro sono avvertiti e in qualche modo possono mettersi al riparo dalle bombe; noi no, siamo esposti sempre e dappertutto: in treno o in pizzeria, sulla spiaggia o in ufficio. Insomma, per farla breve, noi non dobbiamo schivare una pallottola o una bomba, ma una pioggia di pallottole o di bombe perfino mentre stiamo in un bar. I terroristi si vedono quando ormai è troppo tardi. Il terrorismo è devastante per questo.
Si capisce perfettamente allora che il pregare insieme in chiesa o in una moschea è un bel gesto, ma non serve a combattere il terrorismo, che in chiesa arriva per farti la festa.
In Europa ci sono paesi più presi di mira di altri. La Francia e il Belgio, per esempio; ma tutti possiamo essere colpiti. Ma se c’è una differenza tra noi italiani e i francesi o i belgi è perché da noi la società ha una identità ancora più forte e riconoscibile. Ebbene, come ci stiamo comportando? Esattamente come non ci dovremmo comportare e cioè cercando di diventare come francesi e belgi e dunque essere esposti come loro. Il nostro governo sta facendo di tutto per trasformare anche l’Italia in un paese multietnico con tutte le conseguenze che vediamo nel mondo, Stati Uniti d’America in primis, dove ormai in certi momenti è guerra civile. Come definire le tante morti di giovani neri uccisi dalla polizia anche per cose da niente? Come definire gli agguati ai poliziotti da parte dei neri, che li attaccano per vendicare i loro “fratelli” uccisi dai poliziotti bianchi?
La risposta che dovremmo dare al terrorismo islamico è in due tempi. Il primo è quello di stare alla massima allerta per prevenire attacchi. E questo è compito tecnico che spetta ai servizi di sicurezza, ricorrendo anche a premi a chi si rende utile in questa caccia, come suggeriva Ernesto Galli della Loggia sul “Corriere della Sera” di sabato, 30 luglio, che proponeva di mettere taglie sui terroristi. Il secondo è politico, consiste nel ridurre al minimo la componente straniera, ivi comprendendo anche la diversità di religione, anzi soprattutto di religione se essa è quella musulmana.
Questa religione, è appena il caso di puntualizzarlo, a differenza di altre, trova nei suoi testi i motivi per guerre di conquista e di sterminio degli infedeli. E’ la componente più radicale di questa religione; ma è sufficiente per far saltare il mondo. Non è la prima volta che simili tentativi di conquista sono stati effettuati con la conseguenza di lunghe e cruente guerre. Minimizzare il pericolo non serve, anzi è deleterio. Il che non significa che siamo al punto di “armiamoci e partiamo”, ma non possiamo neppure escludere in maniera assoluta l’opzione militare, mentre si cercano tutte le vie politiche e diplomatiche, commerciali e finanziarie per giungere ad una ricomposizione. Cosa, questa, che comporta una nuova sistemazione di tutta l’area interessata, con nuove egemonie e nuovi equilibri.

Se, per giungere a questo, è bene passare anche dalle sceneggiate religiose, dagli embrassons nous, va bene; ma stiamo attenti e non sottovalutiamo ancora un pericolo che ci può essere fatale.          

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