Ricordare Cesare Battisti ad un
secolo dalla morte (12 luglio 1916) significa evocare atmosfere “antiche”. Un
po’ di anni fa, prima che l’Inno di
Mameli s’imponesse davvero come l’inno nazionale per tutte le circostanze,
il canto degli italiani più conosciuto ed eseguito era La leggenda del Piave o La
canzone del Piave o semplicemente Il
Piave, autore il compositore napoletano E. A. Mario (1884-1961). Fu
composto o meglio completato a guerra conclusa e vinta: “e la vittoria sciolse le ali al vento” (novembre 1918).
Chi scrive ha frequentato le
elementari nella prima metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Allora non
c’era manifestazione pubblica o cerimonia scolastica che non iniziasse con
questo canto, che già alle prime note faceva venire i brividi. “Il Piave mormorava…”. Altri tempi!
Perfino le bande musicali, ingaggiate per le feste patronali, concludevano la
serata, a notte fonda, prima del finimento dei fuochi artificiali, con “l’esercito marciava / per raggiunger la
frontiera / e far contro il nemico una
barriera”.
C’era – ma che dico, c’è! – un
passaggio verso la fine del canto in cui si citano tre personaggi martiri della
causa nazionale italiana: Guglielmo Oberdan (1858-1882), Nazario Sauro
(1880-1916) e Cesare Battisti (1875-1916), evocati per fali “partecipare” al
giubilo nazionale per la
“Vittoria ”. Erano cittadini di nazionalità austriaca, perché
nati in territori che a quel tempo facevano parte dell’impero asburgico; ma
erano convintamente italiani, fino al sacrificio estremo. Oberdan, triestino,
chiamato alle armi, disertò quando l’Austria per il disposto del Trattato di
Berlino invase la Bosnia; e nel 1882 cercò di organizzare un attentato contro
Francesco Giuseppe in visita a Trieste. Scoperto, fu processato e condannato a
morte. Gli altri due, istriano Sauro, trentino Battisti, scelsero nella Grande
Guerra di combattere per l’Italia e perciò catturati sul campo di battaglia
dagli austriaci, furono processati e condannati a morte per alto tradimento.
Stessa sorte subirono altri, tra cui l’istriano Fabio Filzi, che fu impiccato
lo stesso giorno e nello stesso luogo di Cesare Battisti.
Per noi ragazzini erano delle figure
famigliari e mitiche insieme, a forza di cantare: “e tra le schiere furon visti / risorgere Oberdan, Sauro, Battisti”.
Dei tre il personaggio più
complesso è sicuramente Battisti, perché fu un politico di prim’ordine,
consigliere a Innsbruck e deputato al parlamento di Vienna, un giornalista e un
uomo di pensiero e di azione. Il quale si autoaccusò di tutto quel che gli
austriaci gli contestarono per dimostrare che lui non aveva tradito, ma
perseguito il suo essere italiano da sempre. Socialista, fondò e diresse a
Trento vari giornali (Tridentum, Il Popolo, Vita Trentina) e per un certo periodo, tra febbraio e settembre del
1909, ebbe tra i collaboratori un certo Benito Mussolini e fu egli stesso suo
collaboratore. Questi, socialistissimo, colà inviato come segretario della
locale Camera del Lavoro e direttore de “L’Avvenire dei Lavoratori”.
Cesare Battisti fu un eroe per
noi italiani, un traditore per gli austriaci. Oggi, purtroppo, è quasi
sconosciuto, almeno in Italia, perché nelle scuole non se ne parla quasi mai.
Che dicono di lui oggi in Austria o nel Trentino lo ignoro; mi farò informare
dai miei amici trentini, da Marco Albertazzi, titolare della casa editrice “La
Finestra”, che qualche anno fa ripubblicò gli “Scritti politici” di Battisti e
gli “Scritti trentini” di Mussolini, generosamente regalatimi.
Di Battisti e di tanti altri
personaggi dalle vicende controverse, bisognerebbe parlare sempre, perché la
storia non deve cambiare i connotati a nessuno, ma neppure far cadere nessuno
in oblio. Essa è veramente utile quando offre elementi per valutare la realtà
politica che cambia. Oggi noi e gli austriaci siamo o dovremmo essere
europeisticamente connazionali; e il nostro Battisti – nostro di italiani e di
austriaci, di francesi e belgi ecc.
– andrebbe visto non come eroe e
neppure come traditore, fermo restando che fu un uomo di grande carattere, di
grande coraggio e di estrema coerenza.
Noi italiani dovremmo capire le
ragioni degli austriaci quando lo considerarono un traditore e gli austriaci le
ragioni nostre nel considerarlo un eroe. Per sforzarci di capire oggi gli
austriaci nel loro astio contro Battisti, riflettiamo sulla nostra irritazione
per il cattivo gusto di alcuni personaggi importanti, italiani di nazionalità
ma austriaci di appartenenza etnica, quando danno prova di scarso senso civico
e attaccamento nazionale. Qualche anno fa il campione olimpionico di slittino,
l’altoatesino Armin Zöggeler, che peraltro è un carabiniere, avrebbe detto,
così riferirono i giornali, che lui l’inno nazionale italiano neppure lo
conosceva. Spesso la pur brava Lilli Gruber, brava soprattutto quando scrive,
di meno quando parla, italiana anche lei ma con ascendenze austriache, non si
lascia sfuggire occasione per pregiarsi delle sue origini. Francamente certe
espressioni e certi atteggiamenti irritano; e stiamo in una situazione
completamente diversa da quella di un secolo fa. Peraltro noi dobbiamo pur
riconoscere che parte del Trentino Alto Adige, il Sud Tirolo, è terra
austriaca, abitata anche da italiani.
Da parte loro gli austriaci
dovrebbero capire noi italiani quando si rallegrano per certe manifestazioni
orgogliose di “appartenenza” all’Austria di certi cittadini italiani. Come a
loro sono simpatici questi personaggi che esternano pro Austria, così a noi
sono antipatici; e viceversa. E inoltre,
se non hanno dimenticato del tutto la storia, i nostri amici austriaci
dovrebbero ammettere che molti territori occupati da loro e inglobati
nell’Impero asburgico, appartenevano ai popoli che da sempre li abitavano. Se
oggi danno ragione a chi rivendica, sia pure in modo diverso rispetto a ieri,
la sua identità, dovrebbero dar ragione anche a Cesare Battisti quando questi
decise di battersi per la sua patria, che non era l’Austria. Insomma, ci
dovrebbe essere sempre reciproco riconoscimento di ragioni e di sentimenti.
Oggi è possibile. Non lo era ieri.
Ricordo che sulla corrispondenza
politica della “Giovane Italia”, organizzazione studentesca parallela al Msi,
di cui negli anni Sessanta ero dirigente, si timbrava lo slogan “I confini
della Patria si difendono, non si discutono”. Erano i tempi degli accordi De
Gasperi-Grüber.
E già che ci siamo, restituiamo
alla Lilli televisiva l’Umlaut sulla
sua ; è roba sua. Ma forse lei ha ormai optato per una più conveniente
italianità. E noi la abbracciamo.
E torniamo a Battisti e a
Mussolini, entrambi socialisti; ma di diversa tempra, i quali in quegli anni
facevano un cammino inverso. Battisti verso l’irredentismo e l’italianità, a
cui dava importanza prioritaria; Mussolini, al contrario, andava verso un
socialismo più autentico ed indulgeva all’internazionalismo. Nelle sue
corrispondenze del periodo trentino, per “La Voce” di Prezzolini, poi
pubblicate col titolo “Il Trentino veduto da un socialista”, si leggono delle
cose, che un po’ sbalordiscono, tra cui che molti altoatesini non volevano
affatto diventare italiani perché lo Stato sociale austriaco li faceva vivere
bene, mentre quello italiano, che di sociale aveva ben poco, li avrebbe fatti
vivere male.
In clima di anniversari – cento
anni dalla Grande Guerra – sappiamo che quando le truppe italiane giunsero nel
Trentino non furono affatto accolte da liberatrici; e i militari italiani
usarono le maniere forti con le popolazioni locali.
Di fronte alla realtà dei fatti,
che molto spesso è taciuta o mistificata, le valutazioni cambiano. Ed è giusto
che cambino. Cesare Battisti non è più un eroe per noi italiani e neppure un
traditore per gli austriaci, perché i tempi sono cambiati; oppure, se resta un
eroe per noi italiani e un traditore per gli austriaci, per capirlo bene
dobbiamo contestualizzare i fatti e storicizzare il personaggio. Altrimenti
continuiamo a stare l’uno nell’incomprensione dell’altro.
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