Questa volta è toccato a noi. Nove
dei venti uccisi in un ristorante nei pressi dell’Ambasciata Italiana a Dacca,
capitale del Bangladesh, venerdì, 1 luglio, sono nostri connazionali, persone
di pace e di lavoro. Era da tempo che gli italiani erano presi di mira in quel
paese. L’anno scorso, il 28 settembre, fu ucciso Cesare Tavella, un agronomo
che era andato per insegnare tecniche di coltivazione.
Siamo stati attaccati perché
“crociati”, credenti in un dio che non è il loro, il dio dell’Islam. Hanno
ucciso barbaramente al grido di “Allah è grande”. Lo hanno fatto in maniera
diversa da altri attacchi terroristici, utilizzando in gran parte armi da
taglio, per produrre un effetto più devastante sul piano psicologico.
Allah sarà pure grande; è l’unico
Dio, a cui loro hanno dato un nome diverso da quello che abbiamo dato noi. Ma i
musulmani che a quel grido massacrano sono esseri abietti, macellai di uomini,
distruttori di civiltà. Cercare di capirli, fuori da una logica di punizione, è
una resa nei loro confronti.
I tanti dottoroni che si aggirano
negli studi televisivi, islamici e cattolici, i primi arroganti e arrabbiati, i
secondi più soft e quasi remissivi, insistono nel dire che l’Islam non c’entra
col terrorismo; che i terroristi sono dei poveri disgraziati a cui si dà
qualche soldo e s’inculca il delirio religioso per trasformarli in combattenti
per la fede. Ma
sono argomentazioni false, palesemente ipocrite. In tutto il mondo il
terrorismo islamico ha una motivazione di base che è il credo religioso, la
fede nella guerra santa in nome di Allah. Non si capisce perché da noi si
insiste a dire che l’Islam non c’entra o addirittura che è una religione di
pace.
Se non si parte dalla presa
d’atto della realtà, il terrorismo islamico continuerà a mietere vittime in
ogni parte del mondo nell’equivoco cristiano e occidentale di aver a che fare
con dei provocatori che vogliono destabilizzare il mondo usando i valori
religiosi. Nel frattempo l’Islam conquista pacificamente sempre più spazi nel
mondo cristiano.
Che significa prendere atto?
Certo non considerare tutti i musulmani come dei terroristi. Non solo perché
non è praticabile, ma soprattutto perché è ingiusto. E, allora, che fare?
Passare dalla difesa all’attacco,
come dalla difesa all’attacco si passa quando è in corso una minaccia al paese.
Il che significa che non bisogna aspettare di prendere qualche sospettato ed
estradarlo, ma andare con tutti i mezzi di cui disponiamo alla loro cattura e
alla loro messa nelle condizioni di non nuocere. Cosa possibile sul nostro
territorio; ma assai più complicato in casa loro, dove ci attaccano in maniera
più agevole. Il Bangladesh è un paese a larghissima maggioranza di religione
islamica; e viene considerato di un islamismo moderato. Figurarsi!
Allora significa adottare una
strategia di forza, per lanciare un messaggio di forza e far capire che i cristiani
dell’Occidente non si fanno martirizzare come i cristiani dei primi secoli
cantando e recitando preghiere. E’ una sfida che va raccolta per dare risposte
di sicurezza alla nostra gente e al mondo.
E’ nel quadro di una simile
strategia che va fermato il flusso di immigrazione che produce tanto denaro ai
terrroristi, i quali poi, con quel denaro, organizzano e compiono stragi.
L’Occidente, l’Europa
soprattutto, che si vanta di aver garantito la pace per settant’anni, deve
prendere atto che le maniere forti sono sempre opzioni necessarie. Del resto in questi anni di pace qualche guerruccia qua e là c’è stata,
a cui non siamo stati estranei neppure noi italiani. Ma soprattutto occorre riconoscere che ora è in corso una
nuova guerra, diversa dalle precedenti, volta contro di noi senza mai che
fosse dichiarata da uno stato estero, riconosciuto e sovrano.
E’ dimostrato che la forza paga. L’Isis,
in questi ultimi tempi, dopo gli attacchi dell’aviazione militare russa, ha
conosciuto pesanti sconfitte, è stato costretto ad arretrare. Questo ha
comportato l’intensificarsi degli attentati, perché quando l’Isis arretra sul
campo si vendica portando la guerra nei teatri, nei ristoranti, nelle stazioni,
negli aeroporti, nei luoghi cioè che sono punti sensibili e nello stesso tempo
simboli della nostra civiltà.
Prendere atto significa
soprattutto avere il coraggio di rispondere ad una situazione difficile e
drammatica con modalità e mezzi eccezionali. Il terrorismo islamico non può
essere considerato alla stregua di tante altre emergenze che in nome di
malintesi valori politici sono stati lasciati che si sgonfiassero da sé.
Pensiamo al terrorismo politico degli anni Settanta in Italia, con le Brigate
Rosse e Nere che insanguinarono il paese, uccidendo persone singole e compiendo
stragi. Il terrorismo islamico richiede una diversa strategia, riconoscendo
prima di tutto il nemico e non riconoscendogli ragioni di sorta. E’ guerra e in
quanto guerra va affrontato con la guerra. Diversa quanto vogliamo, ma guerra è.
L’Europa non può dimenticare chi è, che cosa rappresenta ancora nel mondo.
Svegliarsi dal torpore per lei non è una scelta, oggi è un obbligo. Oggi è toccato a noi, come ieri era toccato a Spagna, Inghilterra e Francia. Non è un problema solo nostro, è un problema globale, a cui ogni paese deve dare un contributo di determinazione e di forza.
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