domenica 17 luglio 2016

L'italicum? Neonato e neomorto!


Ricordate che diceva Renzi fino a prima delle votazioni amministrative del 5-19 giugno? Diceva che l’Italicum, la nuova legge approvata l’anno scorso, con decorrenza dal 1° luglio di quest’anno, non si toccava per nessuna ragione. Ebbene, a pochi giorni di distanza le cose sono cambiate. L’Italicum così com’è non va. E’ lo stesso Renzi che lo vuole cambiare. L’imbarazzo tra i renziani è diffuso; non così tra le altre forze politiche.
Per capire soccorre Dante. Il sommo poeta nel VI del Purgatorio, a proposito di leggi nella sua Firenze, diceva in maniera ironica: “fai tanto sottili / provvedimenti, ch’a mezzo novembre / non giugne quel che tu d’ottobre fili”. Ovvero: sono così ben congegnate le tue leggi che non durano neppure un mese.
Oggi noi siamo ancora più ingegnosi dei fiorentini del tempo di Dante. Non per nulla è il momento di un suo concittadino, Matteo Renzi. Eppure una legge non dura neppure il tempo di essere applicata una prima volta. Difatti il neonato Italicum è già cadavere. La ragione è semplice e immediata: prima conveniva a Renzi e sconveniva agli altri, al M5S più di tutti che gli stava ad una tacca, dopo i ballottaggi del 19 giugno, che hanno premiato il M5S, le cose si sono rovesciate. L’Italicum è pericoloso, potrebbe consegnare il governo del paese al M5S. Questione di opportunità. E bisogna proprio avere la faccia tosta, come quelli del Pd, per dire agli altri quel che andrebbe detto a loro; anzi, quel che i cittadini dovrebbero dire a tutti.
Ma, al di là della sua convenienza o sconvenienza, l’Italicum è la riproposizione del Porcellum (la precedente legge elettorale, dichiarata incostituzionale dalla Consulta) sciacquato in una pila ad hoc costruita. Dà a chi prende il 40 % dei voti al primo turno o un voto in più nel ballottaggio un numero eccessivo di parlamentari, sì da rendere una comparsata il ruolo dell’opposizione per tutto il tempo della legislatura. Si dice: occorre garantire la governabilità. Ma chi la invoca come interesse prioritario del governare fa finta di non sapere che ci sono regimi che la garantiscono assai meglio e di più. Erdogan in Turchia, per esempio. Putin in Russia, per esempio. 
L’Italicum va cambiato come va cambiata la riforma costituzionale che dovremmo promuovere o bocciare a ottobre col referendum. Si deve andare in questa direzione perché nel giro di pochi mesi tutto è in discussione. Ma i cambiamenti da apportare non dovrebbero rispondere ad esigenze particolari e del momento; sarebbe necessario che guardassero avanti e fuori dai propri interessi. Il che probabilmente non accadrà, perché è legge politica che chi ha il potere cerchi di conservarlo e chi non lo ha cerchi di conquistarlo. Perciò Renzi non sarà così ingenuo da far passare una legge che gli sottragga la cadrega. Si spera solo che venga indotto o costretto a fare qualcosa che vada oltre l’interesse del momento.
Da sempre i più avveduti politologi dicono che il sistema elettorale è decisivo per conquistare o perdere il potere attraverso il voto. Ma se chi ha il potere – ed oggi il potere dura pochissimo – si preoccupa solo di fare leggi che gli garantiscano la sua conservazione nell’immediato, si è punto e daccapo. Occorre che si adoperi per l’elaborazione e l’approvazione di una legge che fatta a ottobre, per tornare al divin poeta, non duri fino a metà novembre e soprattutto che garantisca a tutte le forze politiche in gara, almeno alle maggiori, pari opportunità di vincere le elezioni. Si pensi almeno al dopodomani. Per farla breve, se una legge non ha ampiezza, respiro e profondità contraddice se stessa; vale quanto una legge ad personam.
Certo, la crisi dei partiti e del loro sistema elettorale e di potere, che sembrava avviata a soluzione con il rimescolamento politico e ideologico degli anni Novanta, si è addentrata nella sua fase più profonda e più pericolosa. Stupisce la disinvoltura con cui i commentatori politici e i politologi trattano quella che sembrerebbe l’uscita dal tunnel, ovvero il Movimento 5 Stelle. Questa soluzione – per così dire! – in verità getta il paese nell’incertezza e nel caos perché a tutt’oggi non si capisce chi faccia certe scelte; come e perché le faccia. La cosiddetta rete o la democazia diretta attraverso di essa è solo allo stadio di percezione da parte delle forze politiche e dei loro studiosi. E’ sicuramente un passo avanti rispetto a prima, a quando un Fassino diceva a Grillo di farsi un partito e di scendere in campo; ma resta pur sempre una “bestia” sconosciuta, che si presenta nella forma più allettante, quella appunto della democrazia diretta che con un clic consente a ogni cittadino di dire la sua e di partecipare.

Una cosa è certa. I nuovi mezzi di comunicazione hanno cambiato i modi e i tempi di far politica. Ormai la rivoluzione è sotto gli occhi di tutti. Chi non sa fare uso dei socials è come l’analfabeta di un tempo e perciò viene escluso. Il problema che si pone oggi è che la democrazia deve consentire a tutti la partecipazione; deve fare in modo che una parte dei cittadini prevalga su un’altra solo perché ha dei mezzi che l’altra non ha o non sa usare. La rete è l’avvenire – ma forse è il caso di dire che è già il presente – della democrazia? Allora bisogna vedere quanto essa sia effettivamente democratica, se garantisce tutti i tradizionali elementi costitutivi della democrazia: universalità di diritto e di fatto, trasparenza, correttezza, libertà, discussione. Fino ad ora abbiamo visto un Grillo che è andato avanti a forza di “vaffanculo” e un’azienda privata, la “Casaleggio & Associati”, che ha gestito la partecipazione al Movimento. Troppo poco e troppo inquietante, per non dire troppo rivoltante. 

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