Ricordate che diceva Renzi fino a
prima delle votazioni amministrative del 5-19 giugno? Diceva che l’Italicum, la nuova legge approvata
l’anno scorso, con decorrenza dal 1° luglio di quest’anno, non si toccava per
nessuna ragione. Ebbene, a pochi giorni di distanza le cose sono cambiate. L’Italicum così com’è non va. E’ lo stesso
Renzi che lo vuole cambiare. L’imbarazzo tra i renziani è diffuso; non così tra
le altre forze politiche.
Per capire soccorre Dante. Il sommo poeta nel VI del Purgatorio, a proposito di leggi nella
sua Firenze, diceva in maniera ironica: “fai tanto sottili / provvedimenti,
ch’a mezzo novembre / non giugne quel che tu d’ottobre fili”. Ovvero: sono così
ben congegnate le tue leggi che non durano neppure un mese.
Oggi noi siamo ancora più
ingegnosi dei fiorentini del tempo di Dante. Non per nulla è il momento di un
suo concittadino, Matteo Renzi. Eppure una legge non dura neppure il tempo di
essere applicata una prima volta. Difatti il neonato Italicum è già cadavere. La ragione è semplice e immediata: prima
conveniva a Renzi e sconveniva agli altri, al M5S più di tutti che gli stava ad
una tacca, dopo i ballottaggi del 19 giugno, che hanno premiato il M5S, le cose
si sono rovesciate. L’Italicum è
pericoloso, potrebbe consegnare il governo del paese al M5S. Questione di
opportunità. E bisogna proprio avere la faccia tosta, come quelli del Pd, per
dire agli altri quel che andrebbe detto a loro; anzi, quel che i cittadini
dovrebbero dire a tutti.
Ma, al di là della sua
convenienza o sconvenienza, l’Italicum è
la riproposizione del Porcellum (la
precedente legge elettorale, dichiarata incostituzionale dalla Consulta)
sciacquato in una pila ad hoc costruita. Dà a chi prende il 40 % dei voti al
primo turno o un voto in più nel ballottaggio un numero eccessivo di
parlamentari, sì da rendere una comparsata il ruolo dell’opposizione per tutto
il tempo della legislatura. Si dice: occorre garantire la governabilità. Ma
chi la invoca come interesse prioritario del governare fa finta di non sapere
che ci sono regimi che la garantiscono assai meglio e di più. Erdogan in Turchia, per esempio. Putin in Russia, per esempio.
L’Italicum va cambiato come va cambiata la riforma costituzionale che
dovremmo promuovere o bocciare a ottobre col referendum. Si deve andare in
questa direzione perché nel giro di pochi mesi tutto è in discussione. Ma i
cambiamenti da apportare non dovrebbero rispondere ad esigenze particolari e
del momento; sarebbe necessario che guardassero avanti e fuori dai propri
interessi. Il che probabilmente non accadrà, perché è legge politica che chi ha
il potere cerchi di conservarlo e chi non lo ha cerchi di conquistarlo. Perciò
Renzi non sarà così ingenuo da far passare una legge che gli sottragga la cadrega. Si spera solo
che venga indotto o costretto a fare qualcosa che vada oltre l’interesse del
momento.
Da sempre i più avveduti
politologi dicono che il sistema elettorale è decisivo per conquistare o perdere
il potere attraverso il voto. Ma se chi ha il potere – ed oggi il potere dura
pochissimo – si preoccupa solo di fare leggi che gli garantiscano la sua
conservazione nell’immediato, si è punto e daccapo. Occorre che si adoperi per
l’elaborazione e l’approvazione di una legge che fatta a ottobre, per tornare
al divin poeta, non duri fino a metà
novembre e soprattutto che garantisca a tutte le forze politiche in gara,
almeno alle maggiori, pari opportunità di vincere le elezioni. Si pensi almeno
al dopodomani. Per farla breve, se una legge non ha ampiezza, respiro e
profondità contraddice se stessa; vale quanto una legge ad personam.
Certo, la crisi dei partiti e del
loro sistema elettorale e di potere, che sembrava avviata a soluzione con il
rimescolamento politico e ideologico degli anni Novanta, si è addentrata nella
sua fase più profonda e più pericolosa. Stupisce la disinvoltura con cui i
commentatori politici e i politologi trattano quella che sembrerebbe l’uscita
dal tunnel, ovvero il Movimento 5 Stelle. Questa soluzione – per così dire! –
in verità getta il paese nell’incertezza e nel caos perché a tutt’oggi non si
capisce chi faccia certe scelte; come e perché le faccia. La cosiddetta rete o la democazia diretta attraverso
di essa è solo allo stadio di percezione da parte delle forze politiche e dei
loro studiosi. E’ sicuramente un passo avanti rispetto a prima, a quando un
Fassino diceva a Grillo di farsi un partito e di scendere in campo; ma resta
pur sempre una “bestia” sconosciuta, che si presenta nella forma più
allettante, quella appunto della democrazia diretta che con un clic consente a
ogni cittadino di dire la sua e di partecipare.
Una cosa è certa. I nuovi mezzi
di comunicazione hanno cambiato i modi e i tempi di far politica. Ormai la rivoluzione
è sotto gli occhi di tutti. Chi non sa fare uso dei socials è come l’analfabeta
di un tempo e perciò viene escluso. Il problema che si pone oggi è che la
democrazia deve consentire a tutti la partecipazione; deve fare in modo che una
parte dei cittadini prevalga su un’altra solo perché ha dei mezzi che l’altra
non ha o non sa usare. La rete è
l’avvenire – ma forse è il caso di dire che è già il presente – della
democrazia? Allora bisogna vedere quanto essa sia effettivamente democratica,
se garantisce tutti i tradizionali elementi costitutivi della democrazia:
universalità di diritto e di fatto, trasparenza, correttezza, libertà,
discussione. Fino ad ora abbiamo visto un Grillo che è andato avanti a forza di
“vaffanculo” e un’azienda privata, la “Casaleggio & Associati”, che ha gestito la
partecipazione al Movimento. Troppo poco e troppo inquietante, per non dire
troppo rivoltante.
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