domenica 7 agosto 2016

La Raggi a Roma e la caduta delle stelle


Quanto sta accadendo a Roma dopo l’insediamento del nuovo sindaco Virginia Raggi del M5S dimostra una serie di cose, molte delle quali si sospettavano. I rifiuti per strada, il conflitto di interessi dell’assessore all’ambiente Paola Muraro già consulente milionaria dell’Ama (l’azienda che gestisce i rifiuti a Roma), l’impossibilità di operare a prescindere da uomini e sistemi del più recente passato, l’imbarazzo del Movimento nel doversi difendere come la casta – e non siamo che agli inizi – sono avvisaglie assai significative e gravi.
Ma che vi aspettavate – potrebbero dire Grillo e sostenitori – la bacchetta magica, la trasformazione con un colpetto di una zucca in una carrozza?
Evidentemente no. Ma la stessa obiezione si potrebbe fare a loro: che vi credevate di arrivare a cambiare uomini e cose dall’oggi al domani, di raddrizzare le zampe ai cani, che madre natura ha così fatto? I profeti disarmati ruinorno diceva Machiavelli. E i grillini, a parte le buone e belle intenzioni, sono disarmati: non hanno esperienza politica e quella della storia politica del paese o non la conoscono o la rifiutano come cosa nefanda.
Ci sono situazioni che hanno bisogno di tempo, di molto tempo per essere cambiate, posto che ci siano uomini e mezzi giusti per farlo. Quando i grillini si renderanno conto che per tentare di cambiare davvero è necessario scendere a patti con altre forze politiche e magari costringerle a operare diversamente da prima, allora finiranno di sentirsi gli inviati di Zaratustra. Fino a quando sono gli inviati di Grillo non vanno oltre i “vaffanculo”, più o meno sboccati o eufemistizzati dalla buona educazione.
La storia insegna – ma si fa per dire – che un partito o un movimento, quando pretende di stare solo al governo di una realtà, complicata per giunta, o opera in regime autoritario o ruina, sempre per usare categorie e verbi machiavelliani. Non credo che i grillini possano governare città grandi o piccole con sistemi autoritari e meno ancora il paese intero, al cui governo si sono ormai candidati.
E’ pur vero che il Movimento dopo le elezioni del 2013 e l’invito di Bersani a partecipare al governo del paese, secondo una consolidata prassi politica che risale al connubio Cavour-Rattazzi fino al compromesso storico di Moro-Berlinguer, rifiutò e anzi assunse un atteggiamento irridente nei confronti del leader del Pd ma anche di tutto l’ambiente politico italiano. Fu sicuramente quella la politica del “vaffanculo” dettata da Grillo, ma fu anche il primo punto di un infilarsi in un vicolo cieco. La ghigliottina delle espulsioni di chi non sta nei dettami del Movimento ricorda la ben più affilata ghigliottina di Robespierre e citoyens. Non per niente i grillini amano chiamarsi “cittadini”, come i socialcomunisti amavano chiamarsi “compagni” e i fascisti “camerati”. Cosa che dà il senso di un movimento esclusivo, fortemente coeso e chiuso.  
Il caso di Parma, col sindaco Pizzarotti, prova due cose: che si può anche governare con flessibilità e onestà; che il Movimento non tollera la flessibilità ed espelle chi non sta sui binari rigidi delle regole dettate da non si sa chi e perché. Pizzarotti è stato espulso.
Altro è il caso Torino, dove la sindaca Chiara Appendino ha registrato la prima scoppola con il trasferimento a Milano del Salone del Libro, uno dei fiori all’occhiello dell’ex capitale d’Italia. Può essere che dall’anno venturo di “Saloni del Libro” se ne faranno due, ma è indubbio che quello di Torino perderà l’esclusiva e l’importanza.
Cosa c’entra il Sindaco Appendino? Può darsi che non c’entri affatto, ma può darsi anche che l’indisponibilità del Movimento a condividere scoraggi gli imprenditori, che preferiscono andare e investire altrove, dove si può discutere e trattare non necessariamente per fare cose poco pulite.  
Il Movimento 5 Stelle insomma, alla prova dei fatti, sta evidenziando tutte le difficoltà, interne ed ambientali. Le più importanti sono però quelle interne, che si traducono in incapacità amministrativa. Si consideri che a Roma il sindaco Ignazio Marino dovette lasciare, nonostante avesse alle spalle un partito come il Pd, proprio per sua intrinseca incapacità politica.

Volere per forza governare all’insegna dell’esclusivismo onestista è un errore che potrebbe avere effetti peggiori del consociativismo e dell’affarismo politico. Se il Movimento dovesse fallire per patente incapacità dei suoi uomini e dei suoi criteri, potrebbe essere l’ultima delusione politica di questo paese, prima di un ritorno al pragmatismo giorno per giorno.      

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