domenica 28 agosto 2016

Terremoto: con lieve moto in un momento annulla


Sono 291 le vittime del terremoto che alle ore 3,36, nel cuore della notte, di mercoledì 24, ha sconvolto il centro-Italia, colpendo quattro regioni: Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo, e radendo al suolo intere cittadine e frazioni, fra cui Accumoli e Amatrice. Noto in tutto il mondo questo piccolo centro per i suoi spaghetti, detti appunto all’amatriciana. Un sisma di magnitudo 6.0, a quattro chilometri dalla superficie, ha sprofondato la terra al suo epicentro (Accumoli) di 20 cm.. 238 sono le persone estratte vive dalle macerie, molte miracolosamente.
La gente è stata colta nel sonno. Tante famiglie distrutte, irrimediabilmente spezzate. I sopravvissuti si ritrovano senza ambiente domestico, affettivo, sociale, senza nulla; materialità e immaterialità perse per sempre. Un ricominciamento di vita per i sopravvissuti, che è memoria di morte e di solitudine. Piccole storie strazianti: il padre scava con le mani e trova il figlio morto, un giovane andato a stare coi nonni per qualche giorno. Bambini salvati dalla nonna, protetti col suo corpo. Giovani donne si sono trovate in quei paesini per stare coi nonni. Emigranti ritornati a casa perfino dall’estero per qualche giorno di ferie, per respirare l’aria della propria terra, gustarne i sapori e le atmosfere. Tanti bambini morti hanno lasciato il vuoto nei fratellini o sorelline scampati. E poi i casi di chi doveva andar via ma si era intrattenuto per la sagra dell’amatriciana che si doveva svolgere la domenica di quella terribile settimana. Eventi del genere racchiudono la vita con tutte le sue casualità, qualche volta fortunose, qualche altra fatalmente penalizzanti.
I media sono stati per giorni e giorni interamente sulla tragedia, informando non solo su dati tecnici, storici, politici; ma riferendo i tantissimi casi umani, raccontati dai protagonisti.
La risposta delle istituzioni e della gente è stata ammirevole. I cani, di grande aiuto nell’ascoltare il grido degli ancori vivi da sotto le macerie e nello scavare per raggiungerli. Uno è rimasto a vegliare accanto alla bara del suo padrone. Soggetti e circostanze che si ripetono in tragedie simili. Ha guastato la ripetitività di certe espressioni propagandistiche delle massime autorità dello Stato: non lasceremo solo nessuno; ricostruiremo i centri devastati così come erano. Ovvietà che forse fanno qualche piccolo effetto nell’immediato, ma che poi diventano espressione del non saper che dire e che fare davanti allo scempio che ogni tanto la natura riserva agli uomini. La leopardiana “dura nutrice…/ Con lieve moto in un momento annulla / In parte, e può con moti / Poco men lievi ancor subitamente / Annichilare in tutto”. Così il marchigiano Leopardi, che conosceva bene la sua terra e la sua storia, nella Ginestra. Il poeta sapeva quanto fosse violenta la natura.
Ma dai tempi del Leopardi ad oggi è passata tanta acqua sotto i ponti. Nel mondo sono stati trovati molti rimedi per evitare i disastri provocati dai sismi. Tecniche di costruzione antisismiche sono adottate in tante parti del mondo più tecnologicamente avanzato e politicamente pià attento; e, aggiungerei, meno corrotto e superficiale. In Italia, ancora niente. E perfino laddove si dice che siano state ricostruite o restaurate strutture con accorgimenti antisismici, basta una scrollatina della terra e tutto vien giù. E’ successo anche questa volta nei centri colpiti. Un campanile, restaurato solo qualche anno fa con criteri antismici, è crollato sulle case vicine uccidendo chi vi abitava. E’ arrivata, come sempre, puntuale, l’indagine giudiziaria, la messa sotto accusa per disastro colposo; iniziative, anche queste scontate, che non portano a nulla. Ne abbiamo viste tante, perfino più stravaganti nelle motivazioni, come l’accusa agli scienziati incapaci di prevedere il terremoto dell’Aquila. Il Procuratore di Rieti è stato laconico: violenza della natura, incuria umana, sottolineando che quanto si è visto con l’ultimo terremoto era quanto si era giù visto nei precedenti.
Ricostruire tutto com’era prima? Così si disse anche dell’Aquila, città assai più importante dei piccoli comuni e delle piccolissime frazioni interessate dall’ultimo disastro, e tutti vediamo che così non è stato e non è dopo sette anni da quel tragico 6 aprile del 2009, dove simbolicamente si era frantumata perfino la scritta del palazzo del governo che campeggiava sull’edificio.

Il governo ha già stanziato 50mln di euro; nulla, rispetto a quel che serve. Gli esperti hanno quantificato in centinaia di miliardi di euro la spesa per la messa a norma antisismica di tutti gli edifici pubblici in Italia (scuole, ospedali, istituzioni, chiese, musei, siti archeologici) e in molti altri miliardi per gli edifici privati. Cifre che scoraggiano al solo pensiero di poterle avere a disposizione; che fanno pensare peraltro a “generose” lievitazioni per le aziende chiamate a realizzare i lavori, per politici e faccendieri che ruotano attorno. Sciacalli, un po’ più attenti e sofisticati dei tanti che in questi giorni si sono aggirati e si aggirano nelle case distrutte per rubare quel che i loro proprietari vi hanno lasciato. Anche questa è l’Italia! 

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