Sono 291 le vittime del terremoto
che alle ore 3,36, nel cuore della notte, di mercoledì 24, ha sconvolto il
centro-Italia, colpendo quattro regioni: Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo, e
radendo al suolo intere cittadine e frazioni, fra cui Accumoli e Amatrice. Noto
in tutto il mondo questo piccolo centro per i suoi spaghetti, detti appunto
all’amatriciana. Un sisma di magnitudo 6.0, a quattro chilometri dalla
superficie, ha sprofondato la terra al suo epicentro (Accumoli) di 20 cm .. 238 sono le persone
estratte vive dalle macerie, molte miracolosamente.
La gente è stata colta nel sonno.
Tante famiglie distrutte, irrimediabilmente spezzate. I sopravvissuti si
ritrovano senza ambiente domestico, affettivo, sociale, senza nulla;
materialità e immaterialità perse per sempre. Un ricominciamento di vita per i
sopravvissuti, che è memoria di morte e di solitudine. Piccole storie
strazianti: il padre scava con le mani e trova il figlio morto, un giovane
andato a stare coi nonni per qualche giorno. Bambini salvati dalla nonna,
protetti col suo corpo. Giovani donne si sono trovate in quei paesini per stare
coi nonni. Emigranti ritornati a casa perfino dall’estero per qualche giorno di
ferie, per respirare l’aria della propria terra, gustarne i sapori e le
atmosfere. Tanti bambini morti hanno lasciato il vuoto nei fratellini o
sorelline scampati. E poi i casi di chi doveva andar via ma si era intrattenuto
per la sagra dell’amatriciana che si doveva svolgere la domenica di quella
terribile settimana. Eventi del genere racchiudono la vita con tutte le sue
casualità, qualche volta fortunose, qualche altra fatalmente penalizzanti.
I media sono stati per giorni e
giorni interamente sulla tragedia, informando non solo su dati tecnici,
storici, politici; ma riferendo i tantissimi casi umani, raccontati dai
protagonisti.
La risposta delle istituzioni e
della gente è stata ammirevole. I cani, di grande aiuto nell’ascoltare il grido
degli ancori vivi da sotto le macerie e nello scavare per raggiungerli. Uno è rimasto a vegliare accanto alla bara del
suo padrone. Soggetti e circostanze che si ripetono in tragedie simili. Ha
guastato la ripetitività di certe espressioni propagandistiche delle massime
autorità dello Stato: non lasceremo solo nessuno; ricostruiremo i centri
devastati così come erano. Ovvietà che forse fanno qualche piccolo effetto
nell’immediato, ma che poi diventano espressione del non saper che dire e che
fare davanti allo scempio che ogni tanto la natura riserva agli uomini. La
leopardiana “dura nutrice…/ Con lieve moto in un momento annulla / In parte, e
può con moti / Poco men lievi ancor subitamente / Annichilare in tutto”. Così
il marchigiano Leopardi, che conosceva bene la sua terra e la sua storia, nella
Ginestra. Il poeta sapeva quanto
fosse violenta la natura.
Ma dai tempi del Leopardi ad oggi
è passata tanta acqua sotto i ponti. Nel mondo sono stati trovati molti rimedi
per evitare i disastri provocati dai sismi. Tecniche di costruzione
antisismiche sono adottate in tante parti del mondo più tecnologicamente
avanzato e politicamente pià attento; e, aggiungerei, meno corrotto e
superficiale. In Italia, ancora niente. E perfino laddove si dice che siano
state ricostruite o restaurate strutture con accorgimenti antisismici, basta
una scrollatina della terra e tutto vien giù. E’ successo anche questa volta
nei centri colpiti. Un campanile, restaurato solo qualche anno fa con criteri
antismici, è crollato sulle case vicine uccidendo chi vi abitava. E’ arrivata,
come sempre, puntuale, l’indagine giudiziaria, la messa sotto accusa per disastro
colposo; iniziative, anche queste scontate, che non portano a nulla. Ne abbiamo
viste tante, perfino più stravaganti nelle motivazioni, come l’accusa agli
scienziati incapaci di prevedere il terremoto dell’Aquila. Il Procuratore di
Rieti è stato laconico: violenza della natura, incuria umana, sottolineando che
quanto si è visto con l’ultimo terremoto era quanto si era giù visto nei
precedenti.
Ricostruire tutto com’era prima?
Così si disse anche dell’Aquila, città assai più importante dei piccoli comuni
e delle piccolissime frazioni interessate dall’ultimo disastro, e tutti vediamo
che così non è stato e non è dopo sette anni da quel tragico 6 aprile del 2009,
dove simbolicamente si era frantumata perfino la scritta del palazzo del
governo che campeggiava sull’edificio.
Il governo ha già stanziato 50mln
di euro; nulla, rispetto a quel che serve. Gli esperti hanno quantificato in centinaia
di miliardi di euro la spesa per la messa a norma antisismica di tutti gli
edifici pubblici in Italia (scuole, ospedali, istituzioni, chiese, musei, siti
archeologici) e in molti altri miliardi per gli edifici privati. Cifre che
scoraggiano al solo pensiero di poterle avere a disposizione; che fanno pensare
peraltro a “generose” lievitazioni per le aziende chiamate a realizzare i
lavori, per politici e faccendieri che ruotano attorno. Sciacalli, un po’ più
attenti e sofisticati dei tanti che in questi giorni si sono aggirati e si
aggirano nelle case distrutte per rubare quel che i loro proprietari vi hanno
lasciato. Anche questa è l’Italia!
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