I quotidiani locali, dal “Nuovo
Quotidiano di Puglia” alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, non fanno che esaltare
l’enorme afflusso di turisti nel Salento, con titoli che mettono in risalto le
bellezze e le meraviglie di luoghi una volta finibusterre. Molte delle loro pagine sono dedicate, come è
opportuno che sia, alla bella stagione, al numero crescente di forestieri, alla
presenza di big del mondo dello spettacolo e dello sport. Molte altre
pubblicazioni periodiche fanno altrettanto, fornendo calendari di feste
patronali, concerti, spettacoli e sagre. All’apparenza tutto sembra bello e
buono, utile e importante. Ma è così? Il dubbio è retorico: si vede e si sente
quello che accade.
Non sono un operatore turistico
né un esperto di economia e non so immaginare la consistenza dell’incremento
finanziario dovuto all’incredibile concorso di gente, che viene da ogni parte
d’Italia e perfino dall’Europa a divertirsi dalle nostre parti. A quanto si
legge in riferimento anche ad altre regioni non è tutto oro quello che luccica.
Sicuramente gli operatori economici del settore e forse non solo quelli ci
guadagnano; se poi il guadagno abbia anche una ricaduta sul territorio e sulla
gente che vi abita stabilmente è un altro discorso. Ho il sospetto che molto di
questo guadagno sia solo apparente e per di più indistribuibile. Penseranno le
agenzie specializzate a qualificarlo come bianco e come nero e a stabilire
quanto sia il bianco e quanto il nero.
Quel che è certo e immediato è che
i cittadini residenti, quelli che non entrano né direttamente né indirettamente
negli affari turistici, subiscono soltanto e vengono deprivati del loro
ambiente, delle loro opportunità di vita, di riposo, di ordine, di vivibilità.
Nelle località di mare – e il Salento è una penisoletta stretta e lunga – la
gente del posto non dorme più perché si fa musica fino alle due di notte e
oltre. In molte località sono arrivati sindaci giovani, che “capiscono” le
nuove generazioni, quelle che stanno più di qua che di là, e le loro esigenze.
Le vecchie, che, al contrario, stanno
più di là che di qua, finché campano campano! Il paradiso vacanziero inizia nel
periodo estivo per gli altri, per i turisti, per i forestieri; per i residenti
è l’inferno.
Aumenta il disagio che si vive
nei luoghi, che, naturalmente dimensionati per un certo trend di vita,
improvvisamente sono sottoposti ad autentiche aggressioni. La qualità
dell’ambiente scade; i prodotti rincarano, diventano proibitivi. Mangiare pesce
d’estate? Occorre essere pazzi solo al pensarlo! La possibilità di muoversi e
accedere al mare è pressoché impossibile, se l’andare a farsi il bagno è un
piacere. Se, invece, è un volersi tuffare in un ingorgo di auto, col rischio di
fare incidenti, prego, accomodarsi! L’autoscontro è iniziato! Il carnaio delle
spiagge è assicurato.
Il Salento, terra di bellezza
paesaggistica, sospende per tre mesi i suoi “spettacoli naturali”. L’invasione
– così è chiamata dai media – non consente soste. Chi è fermo è perduto!
Perché gioire di tanto
sprofondare? Risposta: ma perché con la gente di fuori arrivano i soldi e coi
soldi si riempiono i ristoranti e gli alberghi, le spiagge e i negozi. Coi
soldi si migliora il territorio, che così viene attrezzato meglio e ha servizi
sempre migliori ed efficienti. In verità non si vede e non si sente niente di
tanti benefici. Al contrario: si avverte un’invivibilità diffusa, uno stress
derivante non dal lavoro, dalla produzione e dal progresso, ma dal godimento
improvvisato, diffuso, invasivo di gente che viene e va senza lasciare traccia
di positività. Ci sono località dove sono proliferati i “B&B”, dove si
affittano perfino i sottoscala e i garage, dove si dorme sui marciapiedi senza
essere neppure dei migranti.
D’estate ti “conviene” non
ammalarti; ti “conviene” non aver nulla da fare; ti “conviene” entrare in
letargo per svegliarti verso settembre. Ma questo è un altro discorso. I
dipendenti pubblici hanno diritto alle ferie come tutti i lavoratori; la gran
parte sceglie luglio e agosto. Le strutture pubbliche sono aperte – ci
mancherebbe altro – ma quanto al funzionamento, lasciamo stare. Non si vede un
postino in giro nemmeno fosse la figurina del “feroce saladino”. Vigili urbani,
servizi d’ordine, sporadici e lenti, pressoché inesistenti.
Il frastuono del traffico, della
folla, delle discoteche, delle sagre – ce ne sono migliaia, sorte dalle più
stravaganti circostanze del passato – e l’impazzimento festaiolo hanno però una
grande funzione rimbambitrice, che ubriaca e stordisce.
La gente salentina non si accorge
più della tragedia ambientale del disseccamento degli ulivi. Ormai si convive
con la Xylella. Interi
oliveti sono seccati. Alberi secolari, autentici monumenti, sono lì nelle
campagne a testimoniare l’assurdo di un popolo che vede intorno a sé il
divertimento e il godimento più sfrenati mentre lui muore, mentre assiste alla
morte di se stesso, come se di fronte avesse uno specchio. Lo spettacolo è
spettrale, grottesco. La Xylella è la metafora della peste e dei suoi effetti
disinibitori. Il paesaggio muore e tutt’intorno si canta, si balla, si fa
festa. Tanto in genere accadeva nei periodi del diffondersi delle pestilenze:
dobbiamo morire e perciò diamoci alla pazza gioia, bando alle convenzioni e ai
buoni costumi!
Geremiadi? Forse. Il progresso o
il cambiamento – chiamiamolo pure come vogliamo – è inevitabile e ognuno lo
gestisce come può e come sa. Ma, di fronte al conformismo di gaudenti ignari e
di coloro che si sono arresi pensando che sono i tempi e che ben poco si può
fare, tacere è omissione di verità, è nascondere quel minimo di coscienza
critica che è rimasto. Non già per trovare consolazione, ma perché testimoniare
è un atto di civiltà oltre che un dovere intellettuale.
Fino a qualche tempo fa da noi si
aveva ragione a gioire per la scelta fatta negli anni Sessanta di non
industrializzare il territorio per non subire quello che hanno subito il
Tarantino e il Brindisino. Ma ora siamo in presenza di un altro tipo di
industrializzazione, quello dell’invasione godereccia, della massa gaudente,
dell’industria del divertimento selvaggio, priva di regole e impiantata in
spazi sempre meno adeguati e vivibili. L’inquinamento, quale che sia, è
nefasto.
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