domenica 21 agosto 2016

Salento, paradiso e inferno del turismo


I quotidiani locali, dal “Nuovo Quotidiano di Puglia” alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, non fanno che esaltare l’enorme afflusso di turisti nel Salento, con titoli che mettono in risalto le bellezze e le meraviglie di luoghi una volta finibusterre. Molte delle loro pagine sono dedicate, come è opportuno che sia, alla bella stagione, al numero crescente di forestieri, alla presenza di big del mondo dello spettacolo e dello sport. Molte altre pubblicazioni periodiche fanno altrettanto, fornendo calendari di feste patronali, concerti, spettacoli e sagre. All’apparenza tutto sembra bello e buono, utile e importante. Ma è così? Il dubbio è retorico: si vede e si sente quello che accade.
Non sono un operatore turistico né un esperto di economia e non so immaginare la consistenza dell’incremento finanziario dovuto all’incredibile concorso di gente, che viene da ogni parte d’Italia e perfino dall’Europa a divertirsi dalle nostre parti. A quanto si legge in riferimento anche ad altre regioni non è tutto oro quello che luccica. Sicuramente gli operatori economici del settore e forse non solo quelli ci guadagnano; se poi il guadagno abbia anche una ricaduta sul territorio e sulla gente che vi abita stabilmente è un altro discorso. Ho il sospetto che molto di questo guadagno sia solo apparente e per di più indistribuibile. Penseranno le agenzie specializzate a qualificarlo come bianco e come nero e a stabilire quanto sia il bianco e quanto il nero.
Quel che è certo e immediato è che i cittadini residenti, quelli che non entrano né direttamente né indirettamente negli affari turistici, subiscono soltanto e vengono deprivati del loro ambiente, delle loro opportunità di vita, di riposo, di ordine, di vivibilità. Nelle località di mare – e il Salento è una penisoletta stretta e lunga – la gente del posto non dorme più perché si fa musica fino alle due di notte e oltre. In molte località sono arrivati sindaci giovani, che “capiscono” le nuove generazioni, quelle che stanno più di qua che di là, e le loro esigenze. Le vecchie, che, al contrario,  stanno più di là che di qua, finché campano campano! Il paradiso vacanziero inizia nel periodo estivo per gli altri, per i turisti, per i forestieri; per i residenti è l’inferno. 
Aumenta il disagio che si vive nei luoghi, che, naturalmente dimensionati per un certo trend di vita, improvvisamente sono sottoposti ad autentiche aggressioni. La qualità dell’ambiente scade; i prodotti rincarano, diventano proibitivi. Mangiare pesce d’estate? Occorre essere pazzi solo al pensarlo! La possibilità di muoversi e accedere al mare è pressoché impossibile, se l’andare a farsi il bagno è un piacere. Se, invece, è un volersi tuffare in un ingorgo di auto, col rischio di fare incidenti, prego, accomodarsi! L’autoscontro è iniziato! Il carnaio delle spiagge è assicurato.
Il Salento, terra di bellezza paesaggistica, sospende per tre mesi i suoi “spettacoli naturali”. L’invasione – così è chiamata dai media – non consente soste. Chi è fermo è perduto!
Perché gioire di tanto sprofondare? Risposta: ma perché con la gente di fuori arrivano i soldi e coi soldi si riempiono i ristoranti e gli alberghi, le spiagge e i negozi. Coi soldi si migliora il territorio, che così viene attrezzato meglio e ha servizi sempre migliori ed efficienti. In verità non si vede e non si sente niente di tanti benefici. Al contrario: si avverte un’invivibilità diffusa, uno stress derivante non dal lavoro, dalla produzione e dal progresso, ma dal godimento improvvisato, diffuso, invasivo di gente che viene e va senza lasciare traccia di positività. Ci sono località dove sono proliferati i “B&B”, dove si affittano perfino i sottoscala e i garage, dove si dorme sui marciapiedi senza essere neppure dei migranti.
D’estate ti “conviene” non ammalarti; ti “conviene” non aver nulla da fare; ti “conviene” entrare in letargo per svegliarti verso settembre. Ma questo è un altro discorso. I dipendenti pubblici hanno diritto alle ferie come tutti i lavoratori; la gran parte sceglie luglio e agosto. Le strutture pubbliche sono aperte – ci mancherebbe altro – ma quanto al funzionamento, lasciamo stare. Non si vede un postino in giro nemmeno fosse la figurina del “feroce saladino”. Vigili urbani, servizi d’ordine, sporadici e lenti, pressoché inesistenti.
Il frastuono del traffico, della folla, delle discoteche, delle sagre – ce ne sono migliaia, sorte dalle più stravaganti circostanze del passato – e l’impazzimento festaiolo hanno però una grande funzione rimbambitrice, che ubriaca e stordisce.
La gente salentina non si accorge più della tragedia ambientale del disseccamento degli ulivi. Ormai si convive con la Xylella. Interi oliveti sono seccati. Alberi secolari, autentici monumenti, sono lì nelle campagne a testimoniare l’assurdo di un popolo che vede intorno a sé il divertimento e il godimento più sfrenati mentre lui muore, mentre assiste alla morte di se stesso, come se di fronte avesse uno specchio. Lo spettacolo è spettrale, grottesco. La Xylella è la metafora della peste e dei suoi effetti disinibitori. Il paesaggio muore e tutt’intorno si canta, si balla, si fa festa. Tanto in genere accadeva nei periodi del diffondersi delle pestilenze: dobbiamo morire e perciò diamoci alla pazza gioia, bando alle convenzioni e ai buoni costumi!
Geremiadi? Forse. Il progresso o il cambiamento – chiamiamolo pure come vogliamo – è inevitabile e ognuno lo gestisce come può e come sa. Ma, di fronte al conformismo di gaudenti ignari e di coloro che si sono arresi pensando che sono i tempi e che ben poco si può fare, tacere è omissione di verità, è nascondere quel minimo di coscienza critica che è rimasto. Non già per trovare consolazione, ma perché testimoniare è un atto di civiltà oltre che un dovere intellettuale.

Fino a qualche tempo fa da noi si aveva ragione a gioire per la scelta fatta negli anni Sessanta di non industrializzare il territorio per non subire quello che hanno subito il Tarantino e il Brindisino. Ma ora siamo in presenza di un altro tipo di industrializzazione, quello dell’invasione godereccia, della massa gaudente, dell’industria del divertimento selvaggio, priva di regole e impiantata in spazi sempre meno adeguati e vivibili. L’inquinamento, quale che sia, è nefasto.

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