Se essere ricchi di
cultura-spettacolo è uguale ad essere effeminati, esserlo di cultura-pensiero è
uguale ad essere virili? Mah!
Prendiamola alla larga. La sera
di mercoledì, 18 giugno, al Must di Lecce, al termine della presentazione del
romanzo di Vittorio Bodini “Il fiore dell’amicizia”, di recente riproposto da
Besa, nel corso della quale avevano conversato Teo Pepe e Antonio Lucio
Giannone, prese la parola il mio amico Valentino De Luca e disse alcune cose;
due, in particolare.
La prima. Disse che della
manifestazione presente la stampa non aveva dato adeguata informazione e che
lui lo aveva appreso per caso leggendo il “Quotidiano” in un bar. In verità la
stampa quotidiana ne aveva abbondantemente parlato fin dal giorno prima:
“Quotidiano”, “Gazzetta del Mezzogiorno”, “Corriere del Mezzogiorno”. Teo Pepe
gli fece simpaticamente osservare che forse sarebbe meglio che non per caso
leggesse il “Quotidiano” ma per buona abitudine comprandolo. Allora Valentino –
ed è la seconda che disse – virò di bordo: sì, ma perché la mattina radio e
televisioni, quando fanno la rassegna stampa, saltano le informazioni sulla
cultura?
E qui ebbe proprio ragione. Chi fa radio e televisione salta a piè pari
le notizie relative a fatti ed eventi culturali. Si prese l’applauso.
Ma lo spunto polemico di
Valentino è assai più degno dell’applauso per alcune lievitazioni. Nei
confronti della cultura, nella fattispecie della cultura fondata sulla
scrittura, anche i giornali stampati fanno gli schizzinosi, gli spilorci; le
dedicano cascami di pagina, rimasugli di colonne, stringati annunci. Così anche
nei confronti delle arti figurative; addirittura peggio per gli studi storici e
politici. Mentre si dà ampio spazio alla
cultura dello spettacolo: teatro, cinema, musica leggera, canzonette, spesso
con commenti e interviste nei giorni successivi. Ovvio che qualcuno potrebbe
anche replicare che non è così o addirittura che nel campo della cultura
scritta si produce così poco di qualità che non è davvero il caso di sprecare
spazio per minchiatine di nessun valore, tutto sommato autoappaganti o
autofrustranti, a seconda dei casi.
Io che ho le fissazioni dello
storico, per deformazione professionale – ho insegnato storia per quarant’anni
– mi chiedo: ma tra cento-duecento anni o quando fosse, nell’ipotesi tanto
disgraziata quanto remota che tutto venisse distrutto e rimanessero intatti e
leggibili solo i nostri quotidiani, che conoscenza dei nostri tempi avrebbero i
posteri? Penserebbero che ai nostri tempi non c’erano scrittori di letteratura,
di storia e di politica e che la cultura si esauriva in canti e suoni e qualche
rappresentazione. Come se un marziano, giunto sulla Terra avesse incontrato
solo me prima di tornarsene dalle sue parti; ai suoi direbbe: sono stato sulla
Terra e colà gli uomini non sono più alti di un metro e cinquanta, hanno baffi,
pizzo e becco, capelli spettinati, dimostrano dubbia età. Questo accadrebbe.
Un’ingiustizia per il mio amico Valentino e per tanti altri, più alti, più
belli e più giovani di me.
E, infatti, la giornalista del
“Corriere della Sera” Manuela Mimosa Ravasio, in un servizio apparso su “Sette”
del 23 maggio scorso, nel quadro di uno “Speciale Viaggi”, è giunta alla
conclusione che «Il Salento oggi è terra effeminata votata al divertimento».
Non le si può dare torto. Il Salento, per quello che mostrano i media, è l’Eden
dei suoni, dei canti, delle danze, del teatro, di location per film, di sagre, di feste paesane, del “chi vuol esser
lieto sia”.
Lasciamo lusco e brusco: il tema
lo richiede. A mio avviso il Salento ha finalmente trovato il suo tempo,
contenuti e forme, per realizzarsi appieno secondo i suoi caratteri di fondo.
Siamo portati per tradizione alla scrittura e alla stampa. Non vorrei scomodare
Adamo ed Eva, che probabilmente non erano di queste parti; ma voglio citare
Ennio e Pacuvio. Lecce è stata da sempre per numero di testate giornalistiche a
ridosso delle grandi realtà nazionali; grandi avvocati e oratori, parlatori e
conversatori. Ma, pur notati e apprezzati nel resto d’Italia – penso ai
principi del foro – mai hanno raggiunto i vertici raggiunti dalle nuove forme
di cultura. Quale poeta o scrittore, scienziato o artista del passato leccese e
salentino può essere paragonato per successo conseguito a Carmelo Bene, a Emma
Marrone, ad Alessandra Amoruso, a Dolcenera, ai Sud Sound System ai Negramaro,
a Edoardo Winspeare? Situazioni imparagonabili. Giornali e televisioni hanno
creato le condizioni perché il Salento finalmente producesse i suoi migliori
artisti, le sue migliori forme di cultura, quasi tutte riconducibili allo
spettacolo.
Ma se pure tutto ciò fosse vero –
e lo è – non è tutto quello che il Salento produce. C’è un Salento nascosto; un
Salento che è oscurato perché non si sintonizza con la cultura di massa, che è
quella della musica, delle canzoni, dei balli. C’è un Salento frivolo ed
effeminato, se così si può dire, votato al divertimento; ma c’è anche un
Salento più serioso e laborioso, che produce nell’editoria, che crea nel
lavoro, che disegna, dipinge, scolpisce, progetta, pensa e scrive di politica,
di storia, di filosofia, di sociologia.
Pettini – dirà qualcuno – per
teste pelate; e perciò non hanno mercato. Ragione per la quale i media non se
ne occupano più di tanto. E’ per questo che i forestieri oggi si fanno un’idea
unidimensionale del Salento.
Non so se essere effeminati e
votati al divertimento sia proprio un complimento; mi viene di negarlo e di
pensare piuttosto ad altri attributi. Il guaio è che avere questi attributi
conta poco se poi non si riesce a mostrarli.
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