I giudici della Corte d’Appello
di Milano hanno assolto Silvio Berlusconi dalle accuse di concussione e di
prostituzione minorile, nel cosiddetto processo Ruby, per le quali era stato
condannato in primo grado a sette anni. Il fatto non sussiste per la
concussione, il fatto non costituisce reato per la prostituzione minorile,
peraltro non provata. Questo il succo della questione.
Mo’ – dico io – si può vivere in
un paese dove la giustizia si propone con simili aberranti sentenze? Qui non
siamo in presenza di un processo che nel secondo grado di giudizio ha avuto a
disposizione elementi di giudizio che non aveva avuto nel primo grado; qui
siamo con gli stessi elementi, né di più né di meno. Ne sapremo di più quando
saranno pubblicate le motivazioni della sentenza.
Allora, che cosa è cambiato? Nel
merito, niente. Lo stesso bicchiere, una volta è stato visto mezzo pieno;
un’altra volta, mezzo vuoto, anzi vuoto del tutto.
Sono cambiate, però le
circostanze, almeno tre: la situazione politica generale ormai avviata a
destinazioni diverse da quella di un anno fa; l’accusato ormai politicamente
fottuto; la corte composta non più da donne ma mista a prevalenza maschile. Se
a tutto questo aggiungiamo che la
Procura di Milano è in preda ad una guerra di tutti contro
tutti, con accuse reciproche incredibili e inconcepibili in un paese civile, il
quadro è completo.
Dice: e questo, che c’entra?
C’entra. Nello spirito di Papa Francesco, anche i giudici devono osservare il
Vangelo: non vedere perciò la pagliuzza nell’occhio dell’altro, quando nel
proprio si ha una trave.
Chi ancora non aveva capito – la
mamma dei ritardati mentali ormai è l’unica in Italia ad essere sempre incinta
– beh, ormai ha capito che la giustizia nel nostro paese è un’arma politica,
come neppure negli stati totalitari accade.
Ma una simile giustizia è
veramente un’arma politica? Se lo è, qualcuno la deve impugnare. Oppure è
semplicemente malata? Probabile che siano vere tutte le ipotesi, perché è
difficile che un’ipotesi possa essere così prevalente sulle altre, c’è sempre
in casi simili un concorso di cause.
Non è difficile, oggi come oggi,
giungere a identificare chi brandisce la giustizia come un’arma. Ne sono pieni
i giornali, specialmente i non allineati, come “Il fatto quotidiano”, “Libero”
e “il Giornale”. E’ pure vero, però, che questa giustizia è affetta da tutte le
manie tipiche di cui soffrono i soggetti megalomani, con sindromi di
onnipotenza, compiacenti e compiaciuti di fare tutto e il suo contrario pur di
dimostrare che al di sopra di sé non c’è nessuno. Si pensi ai Tar, che
annullano interi esami di stato, mettendo in discussione il lavoro di
professionisti, qualche volta anche seri e certamente non inferiori professionalmente
ai magistrati, solo perché in un verbale manca una parola o una virgola. E’
appena il caso di ricordare che ormai in Italia i concorsi in magistratura
spesso vengono annullati per una serie di vergognose irregolarità, fra cui la
conoscenza delle tracce prima della stessa prova e l’evidente reato di plagio
dei candidati “futuri padreterni” in quanto giudici.
Ora, questa giustizia non ha
accertato, a proposito del processo Ruby, l’inesistenza dei fatti in rubrica,
anzi li ha ribaditi; ha detto però che le sporcaccionate di Berlusconi non
hanno avuto niente a che fare coi reati di concussione e di prostituzione.
Va da sé che i cittadini italiani
sono sconcertati sia per la prima sentenza, sia per la seconda. Se valesse
anche oggi la ragion politica – quella seria e coerente – Berlusconi dovrebbe
essere sacrificato sull’altare della credibilità di uno Stato, che forse, a
questo punto, ha più bisogno di credibilità che di Pil.
Cosa potrebbe accadere dopo
questa sentenza après-saison?
Berlusconi esce rafforzato. Potrebbe essere tentato di rialzare la testa, di
ribadire la sua insostituibilità al vertice di uno schieramento politico che
ormai si avviava ed è avviato al raggiungimento di una nuova dimensione
politica, di recuperare addirittura sogni quirinalizi. La prima cosa che è
stata sparsa ai quattro venti è che si va avanti con le riforme nello spirito
del Nazareno, inteso come patto tra Renzi e Berlusconi.
Appare allora chiaro che la prima
sentenza, di condanna, serviva a rottamare un politico ancora forte, mentre la
seconda, di assoluzione, serve a restituire al rottame efficienza e forza, per
continuare a sostenere lo stesso processo politico.
Tutto questo va a scapito di chi
oggi, dentro e fuori la maggioranza di governo, tenta di percorrere una strada
diversa. Soprattutto è penalizzato il centrodestra, ridotto al ruolo di
valvassino nel neofeudalesimo politico italiano.
Bisogna avere una bella faccia
tosta o vivere fuori dal mondo per dire, come ha fatto Pierluigi Battista sul
“Corriere della Sera” di sabato, 19 luglio, che tutti dovrebbero essere
contenti, perché la seconda sentenza, di assoluzione, ribadisce il
principio-cardine dello Stato di diritto secondo cui si è innocenti fino a
sentenza definitiva. E non dovrebbero «essere scontenti – secondo l’ineffabile
uomo del “Corriere” – tutti quelli che hanno virtuosamente negato di aver
voluto mischiare vicende giudiziarie e vicende politiche». Per Battista questa
sentenza celebra, insomma, ancora una volta, i fasti della nostra giustizia. Incredibile!
Giuro che alla lettura di simili
untuose parole, mi son tenuto con due mani afferrato alla sedia per non
ritrovarmi col culo per terra, scivolato per tanto profluvio di materiale
oleoso.
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