domenica 13 luglio 2014

Dopo la processione sacrilega, Mezzogiorno "sospeso a divinis"


A Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria i fanti, leggi Carabinieri, si sono stancati di scherzare coi santi, leggi Madonna delle Grazie. Quando la processione del 2 luglio si è fermata davanti alla casa di un anziano boss della ‘ndrangheta per il rituale inchino di rispetto, i carabinieri si sono allontanati. E che diamine! I santi – si sa – sono infinitamente misericordiosi, ma i fanti! Sono militari e rappresentano lo Stato, che dispone di  misericordia limitata.
Posta così, la questione sembra quasi una cosa da don Camillo e Peppone in salsa calabra. Ma così non è. La cosa rischia di aprire o di riaprire vecchi contenziosi tra Stato e Chiesa, rischia di creare questioni nella Chiesa stessa.
Che cosa è accaduto, infatti, quest’anno a Oppido Mamertina che già non fosse accaduto negli anni precedenti o che non accada abitualmente in tanti altri paesi del Mezzogiorno d’Italia? Niente. La processione, cui partecipano tra le tante autorità anche i Carabinieri, si è fermata davanti alla casa di un anziano malato, bisognoso di assistenza e di preghiere, che si dà il caso essere anche un vecchio boss, ergastolano, agli arresti domiciliari per motivi di salute. Si è ripetuta un’usanza tra devozione e costume popolari che si perde nella notte dei tempi. Ci si chiede: in questo caso verso il malato o verso il boss? Probabilmente verso entrambi, dato che questa usanza vuole che la processione di un Santo particolarmente generoso di grazie, come è la Madonna eponima, si fermi davanti alla casa del sofferente per intercedere in suo favore presso il Padreterno. Come a dire: «vedi, signor Domineddio, noi qui sulla terra ci inchiniamo a questa persona perché la riteniamo meritevole di rispetto umano e di grazia divina».
Ma quest’anno il maresciallo dei carabinieri della locale stazione ha detto “non ci sto” e ha abbandonato la processione coi suoi sottoposti, riprendendo la scena “crimine”.
Un bel gesto, che, nell’anno in cui si celebra il bicentenario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri acquista un significato particolare, anche se si presta ad una serie di considerazioni.
Domanda: lo Stato ha voluto prendere le distanze dalla Chiesa, con cui non può condividere atti di misericordia infinita, o lo Stato si è assoggettato alla Chiesa che di recente, col Papa e con alcuni vescovi calabro-siciliani, ha assunto nei confronti delle organizzazioni mafiose una posizione di ferma condanna? Non si può non collegare l’episodio, infatti, alle recenti parole di scomunica del Papa nei confronti dei mafiosi.
Domanda che ne gemma un’altra: chi comanda in Italia, la Chiesa o lo Stato? Deve essere chiaro che le Forze Armate dello Stato non devono farsi coinvolgere in usanze di devozione popolare della Chiesa che possono sconfinare in reati di oltraggio alle istituzioni. Nelle processioni i Carabinieri non possono essere solo di parata; se hanno anche una funzione di ordine pubblico allora devono entrare nella gestione dell’evento. Nel caso i due aspetti, parata-ordine, non sono conciliabili, i Carabinieri non devono partecipare. Si incominci finalmente a concretizzare la separazione netta tra Stato e Chiesa, anche in simili aspetti marginali, ma non meno importanti e significativi. 
I cittadini italiani laici non possono che plaudire di fronte al gesto del maresciallo dei Carabinieri se è stato compiuto per protesta nei confronti di una Chiesa che ha esigenze diverse da quelle dello Stato; essi, però, hanno ragione di querelarsi se i Carabinieri, sempre per ordine ricevuto, hanno preso le distanze in linea con le decisioni del Papa, dando l’impressione di dipendere dalla Chiesa. Il problema, infatti, prima non si era mai posto.
I cittadini italiani cattolici devono fare un esame di coscienza. Devono decidersi da che parte stare: dalla parte della legge di Dio e delle usanze religiose, che portano perfino ad omaggiare un boss, o dalla parte della legge dello Stato che colpisce i boss, sani o malati che siano, e li condanna?
La chiesa, locale e romana, deve interrogarsi sul fenomeno nella sua dimensione tradizionale e sulle ultime esternazioni del Papa e di alcuni vescovi siciliani e calabresi. E qui il problema si complica. La Chiesa non può sovrapporsi allo Stato, altri sono i suoi compiti; e ciò sia nel bene che nel male. In specifico, l’interruzione temporanea del cerimoniale relativo ai sacramenti del battesimo, della prima comunione, della cresima e del matrimonio, per evitare che con padrini e compari si rafforzino i legami sociali mafiosi, e la sospensione delle processioni potrebbero fare più male che bene alla tenuta sociale, alla Chiesa stessa.

Sarebbe, infatti, come cedere alle organizzazioni mafiose tradizioni di grande civiltà, di convivenza, di solidarietà. Cos’altro resterebbe da cedere alla mafia, i cortei funebri? Si strapperebbe il tessuto sociale proprio in quel doppiofondo di robusta tela che maggiormente tiene. Qui non è più lo Stato che rischia – peraltro è già abbondantemente sconfitto se riesce a malapena a compensare l’acqua malavitosa che imbarca attraverso le falle con quella che riesce a buttar fuori col secchiello della magistratura – ma la Chiesa. Essa, infatti, con questo Papa si sta ponendo più come autorità secolare che come guida spirituale. Il Papa, che scomunica i mafiosi, che non perdona i corrotti, che danna i ricchi, finirà per essere un partito politico, che per definizione è parte di un tutto e divide invece di unire, disgrega invece di aggregare. Esattamente il contrario di quel che deve fare la Chiesa. Ci riecheggiano ancora nelle orecchie le parole di Giovanni Paolo II ai mafiosi in Sicilia: pentitevi! Verrà un giorno il giudizio del Signore!  Questo è parlar da Papa. 

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