A Oppido Mamertina in provincia
di Reggio Calabria i fanti, leggi Carabinieri, si sono stancati di scherzare
coi santi, leggi Madonna delle Grazie. Quando la processione del 2 luglio si è
fermata davanti alla casa di un anziano boss della ‘ndrangheta per il rituale
inchino di rispetto, i carabinieri si sono allontanati. E che diamine! I santi
– si sa – sono infinitamente misericordiosi, ma i fanti! Sono militari e rappresentano
lo Stato, che dispone di misericordia
limitata.
Posta così, la questione sembra
quasi una cosa da don Camillo e Peppone in salsa calabra. Ma così non è. La
cosa rischia di aprire o di riaprire vecchi contenziosi tra Stato e Chiesa,
rischia di creare questioni nella Chiesa stessa.
Che cosa è accaduto, infatti,
quest’anno a Oppido Mamertina che già non fosse accaduto negli anni precedenti
o che non accada abitualmente in tanti altri paesi del Mezzogiorno d’Italia?
Niente. La processione, cui partecipano tra le tante autorità anche i
Carabinieri, si è fermata davanti alla casa di un anziano malato, bisognoso di
assistenza e di preghiere, che si dà il caso essere anche un vecchio boss,
ergastolano, agli arresti domiciliari per motivi di salute. Si è ripetuta
un’usanza tra devozione e costume popolari che si perde nella notte dei tempi.
Ci si chiede: in questo caso verso il malato o verso il boss? Probabilmente
verso entrambi, dato che questa usanza vuole che la processione di un Santo
particolarmente generoso di grazie, come è la Madonna eponima, si fermi
davanti alla casa del sofferente per intercedere in suo favore presso il
Padreterno. Come a dire: «vedi, signor Domineddio, noi qui sulla terra ci
inchiniamo a questa persona perché la riteniamo meritevole di rispetto umano e
di grazia divina».
Ma quest’anno il maresciallo dei
carabinieri della locale stazione ha detto “non ci sto” e ha abbandonato la
processione coi suoi sottoposti, riprendendo la scena “crimine”.
Un bel gesto, che, nell’anno in
cui si celebra il bicentenario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri
acquista un significato particolare, anche se si presta ad una serie di
considerazioni.
Domanda: lo Stato ha voluto
prendere le distanze dalla Chiesa, con cui non può condividere atti di misericordia
infinita, o lo Stato si è assoggettato alla Chiesa che di recente, col Papa e
con alcuni vescovi calabro-siciliani, ha assunto nei confronti delle
organizzazioni mafiose una posizione di ferma condanna? Non si può non
collegare l’episodio, infatti, alle recenti parole di scomunica del Papa nei
confronti dei mafiosi.
Domanda che ne gemma un’altra:
chi comanda in Italia, la
Chiesa o lo Stato? Deve essere chiaro che le Forze Armate
dello Stato non devono farsi coinvolgere in usanze di devozione popolare della
Chiesa che possono sconfinare in reati di oltraggio alle istituzioni. Nelle
processioni i Carabinieri non possono essere solo di parata; se hanno anche una
funzione di ordine pubblico allora devono entrare nella gestione dell’evento.
Nel caso i due aspetti, parata-ordine, non sono conciliabili, i Carabinieri non
devono partecipare. Si incominci finalmente a concretizzare la separazione
netta tra Stato e Chiesa, anche in simili aspetti marginali, ma non meno
importanti e significativi.
I cittadini italiani laici non
possono che plaudire di fronte al gesto del maresciallo dei Carabinieri se è
stato compiuto per protesta nei confronti di una Chiesa che ha esigenze diverse
da quelle dello Stato; essi, però, hanno ragione di querelarsi se i Carabinieri,
sempre per ordine ricevuto, hanno preso le distanze in linea con le decisioni
del Papa, dando l’impressione di dipendere dalla Chiesa. Il problema, infatti,
prima non si era mai posto.
I cittadini italiani cattolici
devono fare un esame di coscienza. Devono decidersi da che parte stare: dalla
parte della legge di Dio e delle usanze religiose, che portano perfino ad
omaggiare un boss, o dalla parte della legge dello Stato che colpisce i boss,
sani o malati che siano, e li condanna?
La chiesa, locale e romana, deve
interrogarsi sul fenomeno nella sua dimensione tradizionale e sulle ultime
esternazioni del Papa e di alcuni vescovi siciliani e calabresi. E qui il
problema si complica. La Chiesa
non può sovrapporsi allo Stato, altri sono i suoi compiti; e ciò sia nel bene
che nel male. In specifico, l’interruzione temporanea del cerimoniale relativo
ai sacramenti del battesimo, della prima comunione, della cresima e del
matrimonio, per evitare che con padrini e compari si rafforzino i legami
sociali mafiosi, e la sospensione delle processioni potrebbero fare più male
che bene alla tenuta sociale, alla Chiesa stessa.
Sarebbe, infatti, come cedere
alle organizzazioni mafiose tradizioni di grande civiltà, di convivenza, di
solidarietà. Cos’altro resterebbe da cedere alla mafia, i cortei funebri? Si
strapperebbe il tessuto sociale proprio in quel doppiofondo di robusta tela che
maggiormente tiene. Qui non è più lo Stato che rischia – peraltro è già
abbondantemente sconfitto se riesce a malapena a compensare l’acqua malavitosa
che imbarca attraverso le falle con quella che riesce a buttar fuori col
secchiello della magistratura – ma la Chiesa.
Essa , infatti, con questo Papa si sta ponendo più come
autorità secolare che come guida spirituale. Il Papa, che scomunica i mafiosi,
che non perdona i corrotti, che danna i ricchi, finirà per essere un partito
politico, che per definizione è parte di un tutto e divide invece di unire,
disgrega invece di aggregare. Esattamente il contrario di quel che deve fare la Chiesa. Ci riecheggiano ancora
nelle orecchie le parole di Giovanni Paolo II ai mafiosi in Sicilia: pentitevi!
Verrà un giorno il giudizio del Signore!
Questo è parlar da Papa.
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