Qualche giorno fa sembrava che
Nichi Vendola optasse per la
Camera e lasciasse la presidenza della Regione Puglia. Erano
giorni in cui si pensava che Bersani riuscisse a fare un governo con non si sa
chi ma che comunque sarebbe riuscito a farlo. Sarebbe stato un monocolore, come
tanti se ne facevano nella Prima Repubblica, col sostegno di volontari di
partiti amici o non nemici, nomadi, pellegrini che dir si voglia. C’è chi è
ancora convinto che sarebbe riuscito, quasi che la via del governo fosse la via
francigena. In un governo del genere Vendola sarebbe stato ministro e avrebbe
avuto la possibilità di intraprendere la via del progresso democratico come è
da sempre nei suoi propositi. Qualcosa si è visto in Puglia nel suo doppio
mandato. In simili atmosfere speranzose aveva fatto capire che la Sel sarebbe confluita nel Pd,
siccome non è mai successo che il più grande confluisse nel più piccolo. Pares
cum paribus facillime congregantur. Perché continuare a stare divisi se ormai
mezzi e propositi sono gli stessi?
Non è passato un lustro, non sono
passati cinque mesi e neppure cinque settimane, ma qualcosa di più di cinque
giorni. Quell’ipotesi è sfumata. Le sortite di Renzi, di Franceschini e di
Enrico Letta hanno fatto capire chiaramente che nel Pd c’è un problema serio,
che il partito non sarebbe mai scivolato a sinistra verso Vendola, ma piuttosto
avrebbe posto barra a dritta, verso direzioni moderate, cioè verso un accordo
per un governo di larghe intese col Pdl.
A quel punto per Vendola si è
posto il problema: ed io? Ovvio, non tanto per l’io personale, quanto per l’io
politico, ossia per un’ipotesi politica in direzione progressista, ovvero di
sinistra. Che una simile ipotesi possa essere ripresa in una situazione diversa
non sfiora neppure minimamente Vendola, a cui non interessa il domani.
No, ha detto di recente il
Presidente della Regione: lascio la
Camera , resto in Puglia e Sel continua per la sua strada,
secondo una direzione annunciata fin dalla sua nascita: andare oltre se stessa.
E il Pd, tanto lodato nei giorni delle speranze? Il Pd va per fatti suoi, è un
partito che deve trovare la sua sinistra, così come la
Sel. L ’idea che due partiti di sinistra che
cercano divisi la stessa sinistra fa il paio con le convergenze parallele di
Moro
In verità s’incomincia a capir
poco nella strategia di Vendola o forse si è già capito abbastanza;
semplicemente non c’è strategia e si naviga a vista, tatticismo ad oltranza e
gioco corto. La Sel
sarebbe pronta a fare una fusione col Pd, non a freddo, ma dopo confronti e
approfondimenti e ad una condizione ben precisa: l’uscita degli ex
democristiani dal Pd.
Si può capire fino ad un certo
punto questo procedere passo dopo passo, ma lasciare i gruppuscoli di sinistra
al loro destino oggi e volerli assorbire domani in una diversa prospettiva non
paga, anche perché la situazione è molto fluida e non è il contenitore che
prende la forma dell’acqua ma viceversa.
Volano ormai gli stracci in casa
Pd. Renzi accusa esplicitamente di essere stato boicottato da Bersani o dai
bersaniani nella sua partecipazione all’elezione del Presidente della
Repubblica. Franceschini ha appena paventato una scissione. Appena bilanciata
la sua “minaccia” dalla sortita della Bindi, che ha fatto sapere che lei di accordi
con il Pdl non vuol sentirne parlare. Insomma un bel guazzabuglio.
Anche questa situazione interna
alla sinistra è spia di una crisi che va ben oltre le cause addossate
pigramente a Bersani, reo di non rappresentare, nonostante le primarie
stravinte, il partito in tutte le sue componenti; o forse colpevole di aver
sacrificato i suoi Franceschini e Finocchiaro, dati per presidenti di Camera e
Senato, prima della svolta che avrebbe portato su quelle sedie Boldrini e
Grasso. Sorprende come lievi spostamenti tattici possano vanificare obiettivi
strategici. Ma è la caratteristica situazione di un sistema in crisi.
Ora Vendola torna a fare il
vendoliano a tempo pieno, si propone di portare la Sel oltre la Sel nella direzione di un
partito di autentica e sola sinistra con l’aiuto delle voci sparse dei
movimenti. L’obiettivo è di creare un forte gruppo politico di pressione per
convincere il Pd o a non fare scelte coi moderati del centrodestra o di
lasciare che gli ex democristiani vadano via per ripensare insieme il vero
partito della sinistra democratica.
Che accada l’una o l’altra delle due
ipotesi, un dato sembra certo: gira e rigira, si è sempre al punto di prima.
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