giovedì 11 aprile 2013

Vendola e la sinistra che sarà



Qualche giorno fa sembrava che Nichi Vendola optasse per la Camera e lasciasse la presidenza della Regione Puglia. Erano giorni in cui si pensava che Bersani riuscisse a fare un governo con non si sa chi ma che comunque sarebbe riuscito a farlo. Sarebbe stato un monocolore, come tanti se ne facevano nella Prima Repubblica, col sostegno di volontari di partiti amici o non nemici, nomadi, pellegrini che dir si voglia. C’è chi è ancora convinto che sarebbe riuscito, quasi che la via del governo fosse la via francigena. In un governo del genere Vendola sarebbe stato ministro e avrebbe avuto la possibilità di intraprendere la via del progresso democratico come è da sempre nei suoi propositi. Qualcosa si è visto in Puglia nel suo doppio mandato. In simili atmosfere speranzose aveva fatto capire che la Sel sarebbe confluita nel Pd, siccome non è mai successo che il più grande confluisse nel più piccolo. Pares cum paribus facillime congregantur. Perché continuare a stare divisi se ormai mezzi e propositi sono gli stessi?
Non è passato un lustro, non sono passati cinque mesi e neppure cinque settimane, ma qualcosa di più di cinque giorni. Quell’ipotesi è sfumata. Le sortite di Renzi, di Franceschini e di Enrico Letta hanno fatto capire chiaramente che nel Pd c’è un problema serio, che il partito non sarebbe mai scivolato a sinistra verso Vendola, ma piuttosto avrebbe posto barra a dritta, verso direzioni moderate, cioè verso un accordo per un governo di larghe intese col Pdl.
A quel punto per Vendola si è posto il problema: ed io? Ovvio, non tanto per l’io personale, quanto per l’io politico, ossia per un’ipotesi politica in direzione progressista, ovvero di sinistra. Che una simile ipotesi possa essere ripresa in una situazione diversa non sfiora neppure minimamente Vendola, a cui non interessa il domani.
No, ha detto di recente il Presidente della Regione: lascio la Camera, resto in Puglia e Sel continua per la sua strada, secondo una direzione annunciata fin dalla sua nascita: andare oltre se stessa. E il Pd, tanto lodato nei giorni delle speranze? Il Pd va per fatti suoi, è un partito che deve trovare la sua sinistra, così come la Sel. L’idea che due partiti di sinistra che cercano divisi la stessa sinistra fa il paio con le convergenze parallele di Moro
In verità s’incomincia a capir poco nella strategia di Vendola o forse si è già capito abbastanza; semplicemente non c’è strategia e si naviga a vista, tatticismo ad oltranza e gioco corto. La Sel sarebbe pronta a fare una fusione col Pd, non a freddo, ma dopo confronti e approfondimenti e ad una condizione ben precisa: l’uscita degli ex democristiani dal Pd.
Si può capire fino ad un certo punto questo procedere passo dopo passo, ma lasciare i gruppuscoli di sinistra al loro destino oggi e volerli assorbire domani in una diversa prospettiva non paga, anche perché la situazione è molto fluida e non è il contenitore che prende la forma dell’acqua ma viceversa.
Volano ormai gli stracci in casa Pd. Renzi accusa esplicitamente di essere stato boicottato da Bersani o dai bersaniani nella sua partecipazione all’elezione del Presidente della Repubblica. Franceschini ha appena paventato una scissione. Appena bilanciata la sua “minaccia” dalla sortita della Bindi, che ha fatto sapere che lei di accordi con il Pdl non vuol sentirne parlare. Insomma un bel guazzabuglio.
Anche questa situazione interna alla sinistra è spia di una crisi che va ben oltre le cause addossate pigramente a Bersani, reo di non rappresentare, nonostante le primarie stravinte, il partito in tutte le sue componenti; o forse colpevole di aver sacrificato i suoi Franceschini e Finocchiaro, dati per presidenti di Camera e Senato, prima della svolta che avrebbe portato su quelle sedie Boldrini e Grasso. Sorprende come lievi spostamenti tattici possano vanificare obiettivi strategici. Ma è la caratteristica situazione di un sistema in crisi.
Ora Vendola torna a fare il vendoliano a tempo pieno, si propone di portare la Sel oltre la Sel nella direzione di un partito di autentica e sola sinistra con l’aiuto delle voci sparse dei movimenti. L’obiettivo è di creare un forte gruppo politico di pressione per convincere il Pd o a non fare scelte coi moderati del centrodestra o di lasciare che gli ex democristiani vadano via per ripensare insieme il vero partito della sinistra democratica.
Che accada l’una o l’altra delle due ipotesi, un dato sembra certo: gira e rigira, si è sempre al punto di prima.

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