I due motivi sono: gli interventi
progressivamente risolutivi del Presidente della Repubblica nelle faccende
istituzionalmente di competenza dei partiti e del Parlamento, che fanno
presagire uno sbocco di tipo presidenzialista; e la sempre più sbiadita celebrazione
del 25 aprile, che fino ad una ventina di anni fa era, col 2 giugno, la festa
principale della Repubblica.
Sul primo motivo hanno insistito,
sia pure con argomentazioni più giornalistiche che scientifiche, non pochi
analisti politici. A rigore il Presidente della Repubblica ha esercitato,
nell’ambito delle competenze costituzionali, una funzione sussidiaria, organica
alla salute stessa della Repubblica. Questo è stato ricordato dal
costituzionalista Michele Ainis e ribadito dal Presidente Napolitano nel suo
storico discorso d’insediamento. Tutti, però, sono concordi nel dire che le
istituzioni portanti della Repubblica parlamentare,
partiti-elezioni-Parlamento, sono davvero inadeguate alle necessità del momento
e hanno bisogno di riforme sostanziali. Sarebbero da rivitalizzare, facendole
uscire dal coma di cui si parlava.
Sul secondo punto il discorso è
diverso: si è nell’ordine più culturale e politico e perciò nel campo dell’opinabile.
Qualche anno fa lo storico Sergio Luzzatto denunciò in un libretto edito da
Einaudi “La crisi dell’antifascismo” (2004). Da antifascista convinto lo
storico trascurava di considerare un dato per così dire anagrafico, che in una
visione naturalistica della politica e della storia, spiega come tutto ciò che
esiste è soggetto a leggi di natura: di crescita, di vita e di morte. Ovvio che
in politica a determinare il passaggio da una fase all’altra concorrono i
pensieri e i fatti che si susseguono gli uni in dipendenza dagli altri. Poi, si
può essere nostalgici di una condizione e soffrire per la progressiva perdita;
si può essere più realisti e accettarne il cambiamento e la fine.
A conferma della trasformazione
dell’antifascismo in qualcosa di diverso, conseguentemente alla trasformazione
del fascismo, ci sono state nel giorno del 25 aprile di quest’anno segnali assai
significativi. Alcune affermazioni di politici di sinistra sono state anche
estremamente semplicistiche e schematiche ed hanno impoverito l’antifascismo riducendolo
ad antiberlusconismo. Altre si sono limitate a constatare con disappunto il
progressivo spegnersi della luce della Resistenza.
A livello mediatico sono stati i
quotidiani che il giorno del 25 aprile, nelle loro prime pagine, che sono le
vetrine del giornale, hanno offerto la plastica dimostrazione della opacità
della Resistenza.
Ne abbiamo presi in
considerazione trenta, una campionatura che copre l’intero territorio
nazionale, isole comprese. La situazione è questa: non fanno cenno alcuno al 25
aprile Corriere della Sera, Sole-24 Ore, Il Giornale, Libero, Avvenire (quotidiano della Cei), La
Padania, Il Foglio, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Europa (quotidiano
del Partito Democratico), Il Gazzettino di Venezia, Il Piccolo di Trieste, Il
Giornale di Brescia, Il Messaggero Veneto di Udine, La Nuova Ferrara, La
Sicilia di Palermo. Più della metà dei quotidiani non hanno proposto la
data-simbolo della Resistenza in prima pagina, limitandosi a parlarne nelle
pagine interne.
Gli altri quattordici quotidiani hanno
annunciato in prima pagina, a caratteri a volte eccessivamente piccoli, un
articolo o un servizio con poche righe d’inizio e il resto all’interno. La
Stampa di Torino ha esibito il titolo di un pezzo di Niccolò Zancan “A casa
dell’ultimo boia di Sant’Anna di Stazzema”. Il Fatto Quotidiano di Roma
(giornale d’assalto, come si diceva una volta, di Padellaro e Travaglio) ha
proposto un articolo di Furio Colombo, che parla da sé “Ah già, oggi è il 25
aprile. Una data dimenticata”. Il Mattino di Padova ha annunciato “La festa
della Liberazione”. Il Secolo XIX di Genova ha proposto la civetta: “Ai miei
tempi. I lettori del Secolo XIX raccontano il loro 25 aprile”. Anche Il Tirreno
di Livorno ha scelto le testimonianze: “Storie del 25 aprile”. La Repubblica ha
esibito un articolo di spalla di Guido Cranz e il rinvio interno ad un altro
articolo di Stefano Bartezzaghi. Il Messaggero l’ha messa sulla cronaca: “Le
celebrazioni. 25 aprile, i grillini pronti a disertare i raduni ufficiali”. Il
Tempo, un articolo di spalla di Giuseppe Sanzotta “Un 25 aprile decisivo tra
memoria e presente”. Su Il Resto del Carlino di Bologna l’editoriale di Giovanni Morandi ha lanciato un
monito “Ci vorrebbe un 25 aprile”. La Città di Salerno ha proposto un servizio
tra cronaca e ricorrenza: “Il 25 aprile. Gli studenti sfilano in città. Mele,
il ricordo del partigiano”. Lo stesso ha fatto Il Centro di Pescara con “Festa
del 25 aprile. Quegli eroici garibaldini della brigata «Maiella»”. Anche La
Nuova Sardegna di Cagliari, con l’editoriale “Liberazione e riforme”, ha
attualizzato l’evento.
Si sono distinti per visibilità e
contenuti L’Unità e Il Manifesto, giornali storici della sinistra. Il primo ha
annunciato con un titolo di taglio alto “La Liberazione si festeggia in piazza
con la memoria” e ha rinviato all’interno per i servizi. Il secondo è stato più
abbondante, ma ha coniugato la ricorrenza con l’attualità politica: “Partigiani
e Costituzione sotto il fuoco amico”, alludendo ai fatti più recenti del Pd, e
di spalla “La scelta ieri e oggi” di Giovanni De Luna.
A ciascuno l’invito a riflettere
sul consuntivo di una giornata che in altri tempi alzava nel cielo le Frecce
tricolori.
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