domenica 28 aprile 2013

Resistenza in coma, la Repubblica cambia pelle



 Il 25 aprile di quest’anno va ricordato per almeno due motivi particolari, riconducibili ad una medesima ipotesi argomentativa: la percezione che la Repubblica parlamentare, fondata sul valore storico e ideologico della Resistenza sia, se non finita, quanto meno in coma di primo grado o coma vigile, per usare un’espressione medica. Che è quello stato in cui il paziente è come avvolto da sopore, sente ma non riesce a reagire, dal quale comunque si può risvegliare.  
I due motivi sono: gli interventi progressivamente risolutivi del Presidente della Repubblica nelle faccende istituzionalmente di competenza dei partiti e del Parlamento, che fanno presagire uno sbocco di tipo presidenzialista; e la sempre più sbiadita celebrazione del 25 aprile, che fino ad una ventina di anni fa era, col 2 giugno, la festa principale della Repubblica.
Sul primo motivo hanno insistito, sia pure con argomentazioni più giornalistiche che scientifiche, non pochi analisti politici. A rigore il Presidente della Repubblica ha esercitato, nell’ambito delle competenze costituzionali, una funzione sussidiaria, organica alla salute stessa della Repubblica. Questo è stato ricordato dal costituzionalista Michele Ainis e ribadito dal Presidente Napolitano nel suo storico discorso d’insediamento. Tutti, però, sono concordi nel dire che le istituzioni portanti della Repubblica parlamentare, partiti-elezioni-Parlamento, sono davvero inadeguate alle necessità del momento e hanno bisogno di riforme sostanziali. Sarebbero da rivitalizzare, facendole uscire dal coma di cui si parlava.
Sul secondo punto il discorso è diverso: si è nell’ordine più culturale e politico e perciò nel campo dell’opinabile. Qualche anno fa lo storico Sergio Luzzatto denunciò in un libretto edito da Einaudi “La crisi dell’antifascismo” (2004). Da antifascista convinto lo storico trascurava di considerare un dato per così dire anagrafico, che in una visione naturalistica della politica e della storia, spiega come tutto ciò che esiste è soggetto a leggi di natura: di crescita, di vita e di morte. Ovvio che in politica a determinare il passaggio da una fase all’altra concorrono i pensieri e i fatti che si susseguono gli uni in dipendenza dagli altri. Poi, si può essere nostalgici di una condizione e soffrire per la progressiva perdita; si può essere più realisti e accettarne il cambiamento e la fine.
A conferma della trasformazione dell’antifascismo in qualcosa di diverso, conseguentemente alla trasformazione del fascismo, ci sono state nel giorno del 25 aprile di quest’anno segnali assai significativi. Alcune affermazioni di politici di sinistra sono state anche estremamente semplicistiche e schematiche ed hanno impoverito l’antifascismo riducendolo ad antiberlusconismo. Altre si sono limitate a constatare con disappunto il progressivo spegnersi della luce della Resistenza. 
A livello mediatico sono stati i quotidiani che il giorno del 25 aprile, nelle loro prime pagine, che sono le vetrine del giornale, hanno offerto la plastica dimostrazione della opacità della Resistenza.
Ne abbiamo presi in considerazione trenta, una campionatura che copre l’intero territorio nazionale, isole comprese. La situazione è questa: non fanno cenno alcuno al 25 aprile Corriere della Sera, Sole-24 Ore,  Il Giornale, Libero, Avvenire (quotidiano della Cei), La Padania, Il Foglio, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Europa (quotidiano del Partito Democratico), Il Gazzettino di Venezia, Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Brescia, Il Messaggero Veneto di Udine, La Nuova Ferrara, La Sicilia di Palermo. Più della metà dei quotidiani non hanno proposto la data-simbolo della Resistenza in prima pagina, limitandosi a parlarne nelle pagine interne.
Gli altri quattordici quotidiani hanno annunciato in prima pagina, a caratteri a volte eccessivamente piccoli, un articolo o un servizio con poche righe d’inizio e il resto all’interno. La Stampa di Torino ha esibito il titolo di un pezzo di Niccolò Zancan “A casa dell’ultimo boia di Sant’Anna di Stazzema”. Il Fatto Quotidiano di Roma (giornale d’assalto, come si diceva una volta, di Padellaro e Travaglio) ha proposto un articolo di Furio Colombo, che parla da sé “Ah già, oggi è il 25 aprile. Una data dimenticata”. Il Mattino di Padova ha annunciato “La festa della Liberazione”. Il Secolo XIX di Genova ha proposto la civetta: “Ai miei tempi. I lettori del Secolo XIX raccontano il loro 25 aprile”. Anche Il Tirreno di Livorno ha scelto le testimonianze: “Storie del 25 aprile”. La Repubblica ha esibito un articolo di spalla di Guido Cranz e il rinvio interno ad un altro articolo di Stefano Bartezzaghi. Il Messaggero l’ha messa sulla cronaca: “Le celebrazioni. 25 aprile, i grillini pronti a disertare i raduni ufficiali”. Il Tempo, un articolo di spalla di Giuseppe Sanzotta “Un 25 aprile decisivo tra memoria e presente”. Su Il Resto del Carlino di Bologna l’editoriale  di Giovanni Morandi ha lanciato un monito “Ci vorrebbe un 25 aprile”. La Città di Salerno ha proposto un servizio tra cronaca e ricorrenza: “Il 25 aprile. Gli studenti sfilano in città. Mele, il ricordo del partigiano”. Lo stesso ha fatto Il Centro di Pescara con “Festa del 25 aprile. Quegli eroici garibaldini della brigata «Maiella»”. Anche La Nuova Sardegna di Cagliari, con l’editoriale “Liberazione e riforme”, ha attualizzato l’evento.
Si sono distinti per visibilità e contenuti L’Unità e Il Manifesto, giornali storici della sinistra. Il primo ha annunciato con un titolo di taglio alto “La Liberazione si festeggia in piazza con la memoria” e ha rinviato all’interno per i servizi. Il secondo è stato più abbondante, ma ha coniugato la ricorrenza con l’attualità politica: “Partigiani e Costituzione sotto il fuoco amico”, alludendo ai fatti più recenti del Pd, e di spalla “La scelta ieri e oggi” di Giovanni De Luna.
A ciascuno l’invito a riflettere sul consuntivo di una giornata che in altri tempi alzava nel cielo le Frecce tricolori.

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