Se non fosse perché il Movimento
5 Stelle costituisce col suo capo comico ciarlatano Beppe Grillo l’epilogo
farsesco di una vicenda terribilmente seria, ci sarebbe da dargli credito.
Comunque si capisce perché ormai milioni di cittadini si affidano a lui come i
napoletani a San Gennaro. Grillo è comico, ma non è ridicolo. Al contrario di altri
che sono ridicoli senza essere comici.
La rielezione di Giorgio
Napolitano costituisce una gravissima dichiarazione di default della politica in Italia e segnatamente della democrazia o
di quel che resta della sua degenerazione in partitocrazia. Intendiamoci,
abbiamo esultato alla rielezione di Napolitano, ma perché ormai appariva al
Paese lo spettro dell’anarchia.
Ovvio che ci siano grosse
responsabilità in tutto questo, alcune più vicine altre più lontane. Responsabilità
significa colpevoli, con nomi e cognomi. Essi non possono essere che tutti i
partecipanti al sistema, incominciando da Napolitano stesso fino all’ultimo
dirigente politico che conta qualcosa nel suo partito.
Le cause della crisi vengono da
lontano, ma la fase dell’esplosione più violenta risale all’autunno del 2011,
quando invece di formare un governo di tecnici, che si è rivelato per più di un
aspetto inadeguato, si doveva andare a nuove elezioni, dato che il quadro
politico, dopo la scissione del Pdl, era cambiato e quella che si era proposta
come l’ “invincibile armada” berlusconiana si era ridotta a sostenersi coi
pitocchi di strada in libera uscita dai propri partiti. Il 2012 tuttavia poteva
diventare per le parti politiche il periodo provvidenziale per risolvere alcune
questioni squisitamente politiche, mentre al governo del Paese provvedeva Monti
e compagni, sotto la supervisione, sempre attenta e vigile, di Napolitano.
La ragione per la quale non si
poteva andare a nuove elezioni era che il sistema elettorale, il famigerato Porcellum, non avrebbe risolto la crisi
di governabilità. Era necessario elaborare ed approvare una legge elettorale
che desse risposte chiare sull’esito delle elezioni, con conseguente chiarezza
anche nella formazione del governo. Un anno di tempo sarebbe bastato.
Cosa hanno fatto i partiti per
tutto il 2012? Hanno chiacchierato, dicendo a parole di voler cambiare la legge
elettorale mentre nei fatti hanno impedito qualsiasi approccio concreto. E
quando, ad un certo punto, Monti ha minacciato di provvedervi con un decreto
legge governativo, sono tutti scattati a difesa delle prerogative del
Parlamento e dunque del sistema. In buona sostanza i due poli speravano di
poter trarre vantaggio dal Porcellum,
per via del premio di maggioranza. Di più il centrosinistra di Bersani che il
centrodestra di Berlusconi, perché si dava per scontato che le elezioni le
avrebbe vinte il centrosinistra, dato abbondantemente in avanti. Di fronte a
questa pacchiana verità Bersani e i suoi uomini hanno avuto la spregiudicatezza
di dire che è stato Berlusconi a non voler cambiare la legge elettorale. In ciò
hanno mancato di rispetto al popolo italiano perché non c’è bischero – direbbe
Renzi a Firenze – che non si sia convinto che a non volere una nuova legge
elettorale è stato soprattutto il partito di Bersani.
I risultati elettorali del 24-25
febbraio sono sotto gli occhi di tutti. Nessun vincitore, con l’aggravante di
una forza politica massiccia, eversiva e irresponsabile, che pretende di
dettare le cose da fare, di proporre gli uomini che vuole ai posti chiave dello
Stato, con la presunzione assoluta di rappresentare tutti gli italiani. Il
Movimento di Grillo è de jure fuori
dalla Costituzione, comunque non previsto nelle sue metodiche, e de facto una dittatura; viola in maniera patente la Costituzione che
all’art. 49 dice che “Tutti i cittadini
hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale”. Un soggetto che tutto riconduce ad un sito web intestato a
Beppe Grillo, che ha un “non statuto”, che si definisce una “non associazione”
è come un masnadiero mascherato che dà l’assalto ai passanti, a prescindere dal
perché lo faccia. La pericolosità di Grillo non è in sé ma in ciò che potrebbe
far nascere di qui a non molto in emulazione e reazione.
La più bella Costituzione del
mondo, come è considerata quella italiana, con la solita enfasi conformistica, quanto
meno dovrebbe essere adeguata ai tempi e dire se i movimenti, come quello di
Grillo, sono democratici o meno.
La fase che ha preceduto la
rielezione di Napolitano è tra le più drammatiche della storia della
Repubblica. L’ingestibilità del Pd, l’esautoramento del suo segretario, le
baruffe delle sue varie anime, la disintegrazione di un partito che sembrava
scoppiare di salute, hanno portato alla incapacità di eleggere un Presidente
della Repubblica, fatto di assoluta fisiologia democratica, e a non trovare più
una via d’uscita.
Ma quanto è accaduto nei tre
giorni dell’elezione del Presidente dimostra che la crisi del sistema non è
solo tecnica, ossia di leggi e di organismi, ma di cultura politica; la
fisiologia democratica è degenerata in patologia.
Napolitano è stato grandioso nel dare la sua disponibilità alla
rielezione, ma per come ha gestito questi due ultimi anni della sua presidenza,
ivi compresa la sua rielezione, dimostra di appartenere ad un sistema a pezzi,
che va rifondato prima che sia troppo tardi.
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