domenica 21 aprile 2013

Napolitano e i cocci della democrazia



Se non fosse perché il Movimento 5 Stelle costituisce col suo capo comico ciarlatano Beppe Grillo l’epilogo farsesco di una vicenda terribilmente seria, ci sarebbe da dargli credito. Comunque si capisce perché ormai milioni di cittadini si affidano a lui come i napoletani a San Gennaro. Grillo è comico, ma non è ridicolo. Al contrario di altri che sono ridicoli senza essere comici.
La rielezione di Giorgio Napolitano costituisce una gravissima dichiarazione di default della politica in Italia e segnatamente della democrazia o di quel che resta della sua degenerazione in partitocrazia. Intendiamoci, abbiamo esultato alla rielezione di Napolitano, ma perché ormai appariva al Paese lo spettro dell’anarchia.
Ovvio che ci siano grosse responsabilità in tutto questo, alcune più vicine altre più lontane. Responsabilità significa colpevoli, con nomi e cognomi. Essi non possono essere che tutti i partecipanti al sistema, incominciando da Napolitano stesso fino all’ultimo dirigente politico che conta qualcosa nel suo partito.
Le cause della crisi vengono da lontano, ma la fase dell’esplosione più violenta risale all’autunno del 2011, quando invece di formare un governo di tecnici, che si è rivelato per più di un aspetto inadeguato, si doveva andare a nuove elezioni, dato che il quadro politico, dopo la scissione del Pdl, era cambiato e quella che si era proposta come l’ “invincibile armada” berlusconiana si era ridotta a sostenersi coi pitocchi di strada in libera uscita dai propri partiti. Il 2012 tuttavia poteva diventare per le parti politiche il periodo provvidenziale per risolvere alcune questioni squisitamente politiche, mentre al governo del Paese provvedeva Monti e compagni, sotto la supervisione, sempre attenta e vigile, di Napolitano.
La ragione per la quale non si poteva andare a nuove elezioni era che il sistema elettorale, il famigerato Porcellum, non avrebbe risolto la crisi di governabilità. Era necessario elaborare ed approvare una legge elettorale che desse risposte chiare sull’esito delle elezioni, con conseguente chiarezza anche nella formazione del governo. Un anno di tempo sarebbe bastato.
Cosa hanno fatto i partiti per tutto il 2012? Hanno chiacchierato, dicendo a parole di voler cambiare la legge elettorale mentre nei fatti hanno impedito qualsiasi approccio concreto. E quando, ad un certo punto, Monti ha minacciato di provvedervi con un decreto legge governativo, sono tutti scattati a difesa delle prerogative del Parlamento e dunque del sistema. In buona sostanza i due poli speravano di poter trarre vantaggio dal Porcellum, per via del premio di maggioranza. Di più il centrosinistra di Bersani che il centrodestra di Berlusconi, perché si dava per scontato che le elezioni le avrebbe vinte il centrosinistra, dato abbondantemente in avanti. Di fronte a questa pacchiana verità Bersani e i suoi uomini hanno avuto la spregiudicatezza di dire che è stato Berlusconi a non voler cambiare la legge elettorale. In ciò hanno mancato di rispetto al popolo italiano perché non c’è bischero – direbbe Renzi a Firenze – che non si sia convinto che a non volere una nuova legge elettorale è stato soprattutto il partito di Bersani.
I risultati elettorali del 24-25 febbraio sono sotto gli occhi di tutti. Nessun vincitore, con l’aggravante di una forza politica massiccia, eversiva e irresponsabile, che pretende di dettare le cose da fare, di proporre gli uomini che vuole ai posti chiave dello Stato, con la presunzione assoluta di rappresentare tutti gli italiani. Il Movimento di Grillo è de jure fuori dalla Costituzione, comunque non previsto nelle sue metodiche, e de facto una dittatura;  viola in maniera patente la Costituzione che all’art. 49  dice che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Un soggetto che tutto riconduce ad un sito web intestato a Beppe Grillo, che ha un “non statuto”, che si definisce una “non associazione” è come un masnadiero mascherato che dà l’assalto ai passanti, a prescindere dal perché lo faccia. La pericolosità di Grillo non è in sé ma in ciò che potrebbe far nascere di qui a non molto in emulazione e reazione. 
La più bella Costituzione del mondo, come è considerata quella italiana, con la solita enfasi conformistica, quanto meno dovrebbe essere adeguata ai tempi e dire se i movimenti, come quello di Grillo, sono democratici o meno.  
La fase che ha preceduto la rielezione di Napolitano è tra le più drammatiche della storia della Repubblica. L’ingestibilità del Pd, l’esautoramento del suo segretario, le baruffe delle sue varie anime, la disintegrazione di un partito che sembrava scoppiare di salute, hanno portato alla incapacità di eleggere un Presidente della Repubblica, fatto di assoluta fisiologia democratica, e a non trovare più una via d’uscita.
Ma quanto è accaduto nei tre giorni dell’elezione del Presidente dimostra che la crisi del sistema non è solo tecnica, ossia di leggi e di organismi, ma di cultura politica; la fisiologia democratica è degenerata in patologia.
Napolitano è stato grandioso nel dare la sua disponibilità alla rielezione, ma per come ha gestito questi due ultimi anni della sua presidenza, ivi compresa la sua rielezione, dimostra di appartenere ad un sistema a pezzi, che va rifondato prima che sia troppo tardi.

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