domenica 10 luglio 2011

Revoca della ragione per un parassita di Stato

I giudici d’appello hanno condannato la Fininvest di Silvio Berlusconi a risarcire la Cir di Carlo De Benedetti con 560 milioni di Euro, avendo riconosciuto che Berlusconi vinse il cosiddetto Lodo Mondadori per la corruzione di uno dei giudici. Una vicenda che dura da vent’anni e che avrà un’appendice in Cassazione.
A prima vista sembra un affare tra privati come ce ne sono tanti. Aziende che comprano, vendono, dividono, in un ambiente dove il più intelligente o il più scaltro, il più forte o il più spregiudicato, da che mondo è mondo, da che fiera e fiera, riesce a spuntarla sul suo concorrente. Ma così non è. Da quando ha avuto inizio l’affare Mondadori, in cui erano coinvolti Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari, le cose sono molto cambiate.
Il duo De Benedetti-Scalfari, potenti boiari nell’Italia della Prima Repubblica, ha progressivamente ceduto il passo a Silvio Berlusconi, dominus della Seconda Repubblica. Non è più una questione privata, ancorché posta davanti al giudizio del Tribunale dello Stato, ma una contesa tra il tesserato nr. uno del Pd, il più grande partito dell’opposizione, e il tesserato nr. uno del PdL, il più grande partito di governo. Sugli spalti i tifosi sono agitati.
La magistratura, ieri, secondo lo stesso Berlinguer, capo del Pci, non era immune da “improvvisazioni…fretta…strumentalizzazioni” (Mixer del 27 aprile 1983), oggi è con la Costituzione della Repubblica una delle due Marie Vergini Assunte in Cielo. Ebbene, questa Madonna Assunta, ha dato ragione a De Benedetti, ad uno che appartiene alla Prima Repubblica catto-comunista come le ghiande alle querce e ai porci, condannando Berlusconi – finalmente! – a risarcire il “nemico politico” con una somma stratosferica; roba da schiantare una pur solida azienda.
Francamente non mi appassiona né m’intriga prendere la parte di uno dei due. Resto coerentemente legato agli interessi dello Stato e del Popolo, in cui non ricadono gli interessi dei due nostri rivali. Dico soltanto che sono di fronte De Benedetti, un parassita di Stato, uno che “inculacchiò” allo Stato macchine obsolete della Olivetti per svariati miliardi di lire ai tempi di Visentini e Malagodi, e un Berlusconi che per fas et nefas e al netto di bunga-bunga, ha creato un impero economico, che ha dato e dà allo Stato svariati miliardi di lire prima e di euro dopo, oltre che risolto diversi problemi sociali, come creazione di posti di lavoro, produzione, commercio, ricchezza e pil. Il confronto è emblematico: il profittatore di Stato, difeso dalle sinistre vecchie e nuove, e lo spregiudicato imprenditore privato, difeso dalle destre, anche qui vecchie e nuove.
Non c’è chi in Italia non arrossisca di fronte ad una sentenza del genere. Chi per rabbia e chi per vergogna. Dire, come fanno a destra, rossi di collera, che è una sentenza politica, a mio parere, è troppo riassuntivo e non considerano che in fondo la politica entra sia per l’uno che per l’altro. Ma dire, come fanno a sinistra, rossi di vergogna -  ma lo sono? - che le sentenze vanno rispettate è come ribadire un dogma: la magistratura è come la verginità della Madonna o l’infallibilità del Papa.
Fideistici gli uni e gli altri, ma mentre quelli di destra non si sono mai fatto un problema sui loro atti di fede, vera o strumentale, quelli di sinistra – pensiamo pour cause all’ateo Scalfari – si sono sempre dichiarati laici e razionalisti, ovviamente sinceri. Difendere, come fanno, De Benedetti può anche valere la pena, ma devono rendersi conto che in questo caso la pena è la revoca della ragione.
Un cittadino, che voglia identificarsi con lo Stato, invece, non può non inorridire di fronte ad un giudizio che premia un punteruolo rosso ai danni di uno che – ripeto di riffa e di raffa – tanto per stare nella metafora, le palme le produce e le cura. Il resto è tifo politico, come già s'era capito.

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