domenica 3 gennaio 2010

La destra recuperi la vocazione sociale

La destra italiana non si sa più cosa sia. Le varie sue anime sono confluite nel PdL come risucchiate da una vora. C’è come una sorta di spontaneo contrappasso nei loro interpreti e rappresentanti, i quali si sforzano di apparire diversi da quel che erano. Fanno un po’ come quei poveri che, arricchitisi, si vergognano del loro passato e cercano perfino improbabili ascendenze nobiliari. Fini non è il solo ad aver smarrito la “diritta via”. Probabilmente è l’istituzione che li rende “savi” – o piuttosto il potere – sicché se prima Fini non avrebbe mai accettato che un gay facesse l’insegnante, oggi, potendo scegliere, affiderebbe i propri figli ad una scuola di gay piuttosto che ad una scuola di insegnanti normali. Si può dire normali? Alemanno invoca pesanti condanne per chi scrive sui muri della “città eterna” slogan contro i “fratelli caldi”. Niente a che fare la massoneria! Convertiti in toto ai diritti civili, gli ex missini si sono calati tanto nella loro “vita nova” (mi perdoni il divin poeta) che davvero si emozionano davanti alle nuove “beatrici”, che sono l’eutanasia, l’eugenetica, il multiculturalismo, e vorrebbero “i miei dentro i tuoi e i tuoi dentro i miei”, per dirla con un’espressione dialettale salentina all’uopo adattata.
Ma la destra di cui essi si vergognano e in parte fanno bene – salvo che dovrebbero fare un’analisi critica del loro passato e non un’operazione di frettoloso nascondimento – non era solo rozza e istintiva avversione nei confronti di qualsiasi forma di diverso, di qualsiasi deroga all’autorità e alla tradizione, era anche sensibilità sociale, difesa dei lavoratori, preoccupazione per l’ordine pubblico e rispetto delle leggi.
Oggi infuria il maltempo sociale. Il ricco e il benestante, chiusi nelle loro case-fortezza, non sentono che il rumore della tempesta esterna; il povero e il disoccupato, invece, nelle loro stamberghe sentono sulla pelle ogni scàzzica di vento. Il prof. Luca Ricolfi, che insegna metodologia delle scienze sociali all’Università di Torino, su “La Stampa” del 27 dicembre scorso, ha detto che la crisi ha colpito più chi stava bene che chi stava male. Che è un po’ come sostenere che chi non aveva nulla continua a non avere nulla e chi aveva qualcosa, rispetto a prima oggi ha di meno. Probabilmente è così. Ma chi stava bene aveva un lavoro e riusciva ad arrivare se non proprio alla fine del mese nelle sue vicinanze. La crisi, che imperversa da più di un anno in Italia e nel mondo, ha colpito sicuramente di più quei ceti che vivevano del loro lavoro, dipendente o autonomo che fosse, e dal quale traevano una paga mensile con la quale potevano soddisfare le esigenze famigliari. Oggi sono più di 2 milioni i disoccupati, l’8 % secondo l’Istat. Per alcuni di essi e per alcuni mesi ci sono gli ammortizzatori sociali, l’indennità ordinaria e le pensioni dei parenti più prossimi. Ma il loro futuro è davvero preoccupante. Centinaia di migliaia di famiglie stanno già o stanno per cadere nel baratro della fame e della disperazione.
Una volta di esse si preoccupavano i partiti di sinistra, i sindacati e le correnti sociali di alcuni partiti, come la Democrazia cristiana e il Movimento sociale. Oggi chi si preoccupa di loro? La destra è al governo e la destra oggi è il PdL di Silvio Berlusconi, che – intendiamoci – cerca anche di risolvere i problemi di tante famiglie ma con dei palliativi sociali che lasciano il tempo che trovano. I partiti di sinistra, a parte i cosiddetti cespugli, si sono alquanto svaporati dal punto di vista sociale.
Il governo ha avviato, pur nella crisi, un percorso che privilegia il taglio della spesa pubblica e quindi la non assunzione di lavoratori neppure quando, per raggiunti limiti di età molti di essi vanno in pensione. Un esempio è la scuola. Il discorso che fa il governo – inutile prendersela con la Gelmini o con Tremonti in quanto singoli ministri – è di iniziare un percorso di rinnovamento scolastico, all’insegna dell’eccellenza e del risparmio. A parte che la formula ricalca un po’ quella della botte piena e della moglie ubriaca, potrebbe andare benissimo, ma se per questo migliaia e migliaia di precari che hanno un’età dai trentacinque ai cinquant’anni sono senza lavoro, non va più benissimo e nemmeno bene. Lo stesso vale per ogni altro settore della pubblica amministrazione. Ci sono categorie di lavoratori in via di estinzione, come i portalettere.
Un ex missino dovrebbe saperlo: non lavorare significa non solo non essere in grado di spendere e di dare un contributo alla produzione e al commercio, che hanno bisogno di consumo, ma crea le condizioni per turbative e disordini sociali. Se i disoccupati non vi toccano il cuore, cari ex camerati, vi tocchino almeno la mente. Finché uno solo su cento non sta bene, nessuno degli altri novantanove può stare tranquillo.
Perché i cosiddetti colonnelli di An non si ricordano di essere stati anche difensori dello Stato sociale e cercano o di fare quadrato intorno a Berlusconi o di mettersi in mostra sposando tesi finiane estranee alla loro cultura d’origine e alla loro storia?
In questi ultimi anni si è privilegiata la governabilità alla politica, scaduta a becera rissa e a trancianti anatemi. Il bipartitismo ha sicuramente garantito, specialmente da sponda di destra, la stabilità del governo, ma ha mortificato le politiche sociali, ha impoverito il dibattito e lasciato i ceti più deboli senza una valida rappresentanza politica.
L’anno appena iniziato dovrebbe essere fondamentale sia per il governo che per l’uscita dalla crisi. E’ necessario che il governo apporti qualche aggiustamento di rotta, aprendo ad una politica sociale più fattiva e percepibile, per evitare che la crisi traligni in qualcosa di peggio. La destra sociale degli ex missini s’impunti e faccia come la Lega.
[ ]

Nessun commento:

Posta un commento