domenica 10 gennaio 2010

Da Aigues-Mortes in Provenza a Rosarno in Calabria 117 anni dopo

Giovedì, 7 gennaio, “la Repubblica” ricordava, con un articolo-intervista di Fabio Gambaro allo storico francese Gérard Noiriel, autore del recentissimo “Le massacre des Italiens” (Fayard, pagg. 291), uno degli episodi più gravi di xenofobia ai danni di nostri connazionali.
Il 17 agosto del 1893 nelle saline di Aigues-Mortes nella Provenza ci fu una sollevazione della popolazione francese contro gli immigrati italiani, una vera caccia all’uomo che si concluse con 9 morti, circa 50 feriti e una quindicina di dispersi, mai ritrovati. “I giornalieri francesi, per lo più emarginati e vagabondi – dice lo storico francese – non riuscivano a stare al passo con il ritmo di lavoro degli stagionali italiani, che venivano quasi tutti dal Piemonte ed erano lavoratori infaticabili. Il sentimento d’umiliazione dei francesi alimentò una prima rissa che poi degenerò, innescando la caccia all’uomo contro gli italiani, che furono inseguiti e attaccati da una folla inferocita. […] Furono pochissimi coloro che cercarono di aiutare gli immigrati a mettersi in salvo”.
Una coincidenza davvero incredibile, quasi un’evocazione. O un remake della storia perché proprio in quel giovedì, 7 gennaio, a distanza di circa 117 anni, a Rosarno in Calabria, sarebbe accaduto qualcosa di simile, questa volta con gli italiani a dare la caccia agli immigrati africani.
In questo comune della provincia di Reggio, su una popolazione di circa quindicimila abitanti, vivono da diversi anni migliaia di immigrati in condizioni di totale abbandono e indigenza: lavoro stagionale precario e sottopagato in agricoltura, pizzo della ndrangheta sulla misera paga che percepiscono, alloggi fatiscenti in fabbriche dismesse e abbandonate, case fatte di legno e di cartone, senza servizi igienici, ostilità diffusa della popolazione locale, continui incidenti e scontri con essa, reciproca intolleranza. Una miscela esplosiva ad altissimo potenziale. E infatti gli incidenti sono esplosi, gravissimi, giovedì 7 e venerdì 8 gennaio, due giorni e due notti di guerriglia. Lo Stato è intervenuto cercando di calmare gli animi, arrestando i più esagitati e trasferendo circa un migliaio di immigrati in alcuni centri di accoglienza tra Calabria e Puglia.
Non ci sono state vittime, per fortuna, ma c’è mancato poco. C’è stato chi ha sparato, chi ha colpito con spranghe di ferro, chi ha appiccato il fuoco, chi è uscito con una pala meccanica e si è diretto contro gli immigrati quasi li volesse prendere come detriti da buttare in qualche cava. Da parte loro gli immigrati, il giorno prima, in seguito al ferimento di uno di loro da parte di un ragazzo che gli aveva sparato con un fucile a piombini, si erano scatenati contro tutto ciò che trovavano sulla loro strada, bruciando e devastando, seminando il panico perfino nelle case e costringendo gli abitanti ad asserragliarsi dentro. Scene incredibili, hanno riferito gli inviati dei grandi giornali.
A parte le forze dell’ordine e qualche operatore di associazioni di volontariato, tutto il resto della popolazione, come a Aigues-Mortes nel 1893, donne in testa, si è scagliato contro gli immigrati, prendendosela con le forze dell’ordine che li difendevano e chiedendo al governo di allontanarli definitivamente da Rosarno, gridando minacciosi: “Vulimm c’a spariscono!”.
Quanto è accaduto è di estrema gravità e getta il nostro Paese in uno stato di precarietà civile. Superfluo dire che dovremmo vergognarci. Vergogna non solo per quanto è accaduto ma anche per ciò che è a monte. Se la Comunità Europea non si preoccupasse soltanto degli aspetti ragionieristici dei vari stati membri dovrebbe intervenire, dato che in Italia né lo Stato né la Chiesa sono in grado di capire veramente il problema e di comportarsi di conseguenza, ossia da paese civile. Ma l’Europa obbedisce alle grandi centrali della finanza e del commercio mondiali, che perseguono i loro interessi e scaricano sulle popolazioni le conseguenze della mondializzazione.
Non è possibile che uno Stato moderno – ricordiamo che l’Italia è tra i primi sei paesi più industrializzati del mondo; e non consideriamo la sua storia e la sua civiltà! – ignori l’esistenza sul territorio di migliaia di cittadini stranieri, arrivati in Italia in maniera avventurosa, e li lasci in balia di organizzazioni malavitose e di popolazioni stanche di dover vivere nel disagio urbano, nel disordine sociale, nella precarietà e nella paura. Per capire: pensiamo ad un paese di modeste dimensioni territoriali e demografiche invaso da migliaia di forestieri, tutti maschi, continuamente in giro per bar, strade e piazze in cerca di spazi di vivibilità.
Non è possibile che la Chiesa non si ponga il problema che fenomeni sociali come l’immigrazione di massa non possono essere risolti invocando la solidarietà e la carità, quasi fossimo una società regredita e preindustriale, povera e contadina. Ci sono conquiste sociali a cui la gente non sa, non vuole e non può rinunciare. E questo non è peccato né mortale né veniale se il suo benessere è frutto di fatiche e sacrifici. Non è giusto che una grande parte dell’Italia, il Mezzogiorno, e zone qua e là in altre regioni del centro-nord vengano lasciate sole alle prese con problemi così complessi. Non ci si può meravigliare se le popolazioni interessate, poi, finiscano per rieditare inconsapevolmente fenomeni di selvaggia xenofobia come quello accaduto in Provenza più di un secolo fa, ma tanto più grave proprio perché accaduto in una temperie diversa.
Non so a che distanza di civiltà sia l’Italia dalla Svizzera – incrocio di cristianesimi, di lingue e di culture – ma ricordo che più di cinquant’anni fa in Svizzera uno straniero non entrava senza un contratto di lavoro, un permesso di soggiorno e una casa in attesa di ospitarlo per tutto il tempo della sua permanenza. E se un immigrato regolare – mettiamo il caso – non sapendo dove andare per un suo bisogno corporale lo faceva ingenuamente ad un angolo di strada, sorpreso, veniva denunciato e rimpatriato.
E’ lecito chiedersi perché in Italia si debba andare avanti in una visione spontaneistica e cialtronesca della vita, ipocritamente cristiana, falsamente accogliente, all’insegna del “faccia Dio” e dell’arrangiarsi fino a quando le situazioni non esplodono? Che fanno migliaia e migliaia di immigrati irregolari a Rosarno, a Castel Volturno e in tanti altri luoghi del Mezzogiorno d’Italia, già gravati da atavici problemi di esistenza, di coesistenza e di sussistenza?
E’ evidente che uno Stato, che manda a sedare rivolte, è uno Stato che non ha saputo evitarle; è uno Stato capace sì e no di controllare un territorio regionale ed omogeneo, non già un territorio nazionale, variegato e complesso come quello italiano.
Ora, di fronte a quanto successe il 19 settembre 2008 a Castel Volturno e a Rosarno in questi giorni, non è giusto che i cittadini di Taurisano o di Abbiategrasso debbano vergognarsi; ma non è neppure giusto che i cittadini di Castel Volturno o di Rosarno debbano pagare incapacità e debolezze di uno Stato che per altri versi ostenta al mondo un volto perbenista e garantista, vero quanto il pirandelliano volto di donna Poponica.
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