domenica 24 gennaio 2010

Napolitano collaboratore di verità

Chiedo scusa per l’irriverente paragone, ma se un pentito di mafia si chiama collaboratore di giustizia, un pentito di politica come si potrebbe chiamare? Ecco, ce l’ho: collaboratore di verità.
Il quesito me lo sono posto dopo aver letto la lettera che il Presidente Napolitano ha scritto alla vedova Craxi nel decennale della morte del leader socialista. Napolitano è oggi un pentito di quella politica che nel 1993 condannò Craxi ad assumersi la responsabilità del gravissimo fenomeno di Tangentopoli. Napolitano era lì a Montecitorio quando Craxi, con fare accusatorio, invocò la corresponsabilità dell’intero sistema partitocratico.
Dico, tuttavia, che ho difficoltà a far rientrare l’iniziativa di Napolitano nei suoi attuali compiti istituzionali, ancor prima di conoscere i contenuti della lettera, sui quali, invece, sono sostanzialmente d’accordo.
Perché Napolitano ha ritenuto d’intervenire, pur conoscendo i rischi dell’iniziativa? Sicuramente ha voluto sanare una gravissima ferita provocata dal suo partito, quel Partito comunista che, pur avendo avuto una parte non minore nella vicenda del finanziamento illecito dei partiti, ebbe l’ardire di ergersi a giudice di Craxi e di organizzare la campagna denigratoria contro di lui fino al suo abbattimento. In quella circostanza ci fu la “fusione politico-giudiziaria”: da una parte i partiti politici, comunista in testa, si trasformarono in giudici; e dall’altra parte i giudici si trasformarono in politici. Ebbe inizio di lì l’epifania di una magistratura che capì che il momento di fare politica era giunto. Il Muro di Berlino era caduto, i comunisti non erano più una minaccia per la democrazia, dato che l’Unione Sovietica, di lì a poco, avrebbe chiuso i battenti; la classe politica era debilitata.
E’ significativo che a distanza di quasi vent’anni dalle vicende di Mani Pulite, l’ex Procuratore Generale di Milano Francesco Saverio Borrelli è perfettamente d’accordo col comunista Pietro Ingrao. Per Borrelli “Craxi è un latitante” e trova sconveniente che gli si intitoli una strada o un giardino. Ingrao di Craxi “non salva nulla, ma proprio nulla” e non condivide i giudizi espressi da Napolitano nella lettera alla vedova. Per entrambi si v. “La Stampa” del 19 gennaio 2010.
“Senza mettere in questione l’esito dei procedimenti che lo riguardarono – scrive Napolitano – è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona”. Parole molto chiare, che sembrano escludere i giudici da quel “peso caduto con durezza senza eguali”, ma subito dopo aggiunge. “Né si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo – nell’esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell’on. Craxi – ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il “diritto ad un processo equo” per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea”. Insomma, Napolitano riconosce che fu un’ingiustizia che tutto quel peso fosse caduto su Craxi e nella ricorrenza del decennale della di lui morte ha voluto, più che alla vedova, ricordarlo agli italiani, dicendo: fu colpa dei politici, ma un po’ anche dei giudici.
Ma se i giudici operarono “nel rispetto delle norme italiane allora vigenti”, chi deve rispondere di quel “peso caduto con durezza senza eguali” su Craxi? Verrebbe di dire: nessuno. E invece non fu così; e Napolitano lo sa bene.
D’accordo, la colpa fu della situazione, di quel clima di giustizialismo che si era creato nel Paese. Ma parlare di clima per non parlare di persone è come voler dare la colpa al sole, al vento o alla pioggia. A distanza di dieci anni, si può dire che Craxi non era il solo responsabile? Napolitano ha detto di sì. Allora si può anche dire che i giudici non vollero guardare verso altre parti; e i comunisti, responsabili quanto Craxi del finanziamento illecito, potevano finalmente ottenere due risultati: apparire puliti pur sapendo di non esserlo e liberarsi di un nemico mortale. E peggio per lui se fu così sfortunato!
“Nel corso di quegli anni molto aspri per la vicenda politico-sociale del nostro Paese, Craxi si è schierato con la parte più conservatrice della Dc […] E contemporaneamente ci ha fatto la guerra, a noi comunisti”. Ingrao tradisce, così, una responsabilità che nessuno ha mai negato. Napolitano era allora un comunista, stava fra gli accusati da Craxi. Essi non ritennero di dover rispondere, lasciando cadere il peso della responsabilità su di lui “con durezza senza eguali”.
Quello di Napolitano è stato allora un “atto di pentimento” che in qualche modo coinvolge tutto il suo ambiente umano e politico. Un Presidente della Repubblica non è un Papa. Giovanni Paolo II infilò in una crepa del Muro del Pianto a Gerusalemme le parole di pentimento della Chiesa per le ingiustizie commesse contro gli ebrei nel corso dei secoli. Napolitano, con la dignità del ruolo che ricopre, ha voluto fare qualcosa di simile, mettendo nelle crepe della sinistra politica e giustizialista un atto di pentimento, che per alcuni è tardivo, per altri prematuro e per altri ancora inopportuno. In ogni caso, è un contributo di verità e di giustizia.
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