lunedì 28 dicembre 2009

Voce del Sud era il mio "blog"

Mi piace chiudere il 2009 su questo mio blog ricordando l’altrettanto mia “Voce del Sud”, il settimanale leccese fondato da Ernesto Alvino e diretto per cinquant’anni, dal 1954 al 2003, prima da lui e poi dal settembre 1980 dal figlio Leonardo. Usciva il sabato con otto pagine grandi quanto quelle di un quotidiano e negli ultimi anni formato tabloid.
A “Voce del Sud” ho collaborato per ben 34 anni, dal 1969 al 2003. La mia partecipazione, con periodi più intensi e meno intensi, andava dalla nota politica a quella culturale, dal corsivo di prima pagina (si chiamava “Disco acceso” e usciva in grassetto) alla recensione, dalla nota di costume all’elzeviro. Don Ernesto diceva che il direttore di un giornale deve essere come il direttore d’orchestra, deve saper suonare ogni strumento e prendere il posto dell’eventuale assente.
Quella “Voce” è stata per me una vera scuola di giornalismo. In qualche modo e nei limiti del possibile ne ho riprodotto lo schema con “Presenza Taurisanese”, il mio mensile che ha sedici pagine in folio. In genere essa apre con un articolo di politica nazionale, riserva sei pagine (2, 3, 4, 13, 14, 15) a fatti locali e ha un inserto cultura, “Brogliaccio Salentino” (lo stesso nome del mio blog) di ben otto pagine, aperto a fatti ed autori salentini e pugliesi, meno frequentemente del Mezzogiorno in generale.
Oggi, a distanza di 28 anni, penso di non aver proprio indovinato a chiamare il mio periodico “Presenza Taurisanese”, laddove l’aggettivazione paesana suona come una sorta di parodia. Che so, immagino un periodico della siciliana Canicattì o della veneta Trebaseleghe. Si dovrebbe dire “Presenza Canicattinese” e “Presenza Trebaselegana”. Francamente mi sa di pretenzioso, di velleitario; fa un po’ ridere. Pino Rauti, con cui collaborai nella prima metà degli anni Settanta alle sue riviste “Civiltà” e “Presenza”, chiese di me ad Ennio Licci e quando seppe di questo mio ripiegamento localistico, disse che non capiva perché mi fossi dato al “villaggio”. Purtroppo dovevo fare i conti con la professione di docente e con la famiglia, che mi riducevano il tempo libero; ma il “villaggio” è diventato negli anni luogo d’incontro di fior di collaboratori (studiosi italiani e stranieri, docenti universitari) e l’inserto “Brogliaccio Salentino” è oggi in Puglia uno dei periodici culturali più noti, di provincia ma non provinciale.
Ma torniamo a “Voce del Sud”. Iniziai la mia collaborazione con un articolo su Vanini, apparso il 13 dicembre 1969. La sera di quel sabato il prof. Andrzej Nowicki tenne una conferenza a Lecce, “Vanini e il paradosso di Empedocle”, nella sala del Monumento ai Caduti. Al termine si congratulò con me, dimostrando di aver letto il mio articolo, ma mi aggiunse che gli avrebbe potuto procurare qualche fastidio in Polonia. Sostenevo che il suo interesse a Vanini nascondeva un anelito di libertà nella Polonia comunista. Mi sbagliavo: Nowicki era proprio comunista e aveva un concetto comunista di libertà, che non coincideva affatto con quella vaniniana.
Prima di quel mio “inizio” avevo fatto qualche esperienza come corrispondente del quotidiano romano “Il Tempo”, diretto da Renato Angiolillo, con il capo servizi delle provincie Gianni Letta, l’attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e uomo di massima fiducia di Berlusconi, e nel settimanale cattolico leccese “L’Ora del Salento”.
Da quel 13 dicembre 1969 al 27 dicembre 2003 avrò scritto per “Voce del Sud” un migliaio di articoli, con l’ultimo “Siamo cambiati ma senza tradire”, che un po’ riprendeva il motto alviniano “Avanzare senza rinnegarsi”, posto in alto sulla testata. Su “Voce del Sud” ho scritto tutto quello che ho voluto, in assoluta libertà. Don Ernesto mi diceva sempre: “scrivi quando ti arride l’estro”. Pochissime volte mi ha censurato; qualche volta mi ha sostituito un termine spinto o forte con un sinonimo più lento ed eufemistico. Non amava il turpiloquio, neppure alla lontana. Su “Voce del Sud” non si potevano usare verbi come “fregare”; figurarsi altri più volgari! Non amava il banale, l’ovvio, lo scontato. Una volta, su in redazione al primo piano di via Roberto Visconti 6, con affaccio su Piazza Sant’Oronzo, rispondendo al mio saluto mi chiese che cosa avevo da dirgli o qualcosa del genere. Non seppi rispondere che con una considerazione sul tempo. La prese male. “Ma quello lo vedo da me!” mi rispose visibilmente seccato. Alvino era fatto così.
Una sola volta mi censurò un “Disco acceso”, che aveva per titolo “La destra del pianto”, non nel senso che non lo pubblicò, anzi!, ma si sentì in dovere la settimana successiva di commentarlo, perché nel frattempo gli erano arrivate non poche lamentele. Al posto del mio articolo apparve sotto il titolo della stessa rubrica una sua precisazione, in cui diceva che il mio era stato solo un momento di malumore. Andai a trovarlo in redazione. Mi disse che c’erano state proteste dagli ambienti missini e che Almirante in persona lo aveva chiamato per lamentarsi di quell’attacco; aggiunse che avrei dovuto riprendere con lo spirito di sempre ma nella consapevolezza che c’erano, purtroppo, delle sensibilità da rispettare. Non aveva torto né lui né Almirante. Erano gli anni Settanta e il partito era bersagliato da tutti e viveva il dramma delle contrapposizioni interne. Ogni colpo da fuoco amico era davvero troppo in quel frangente.
A “Voce del Sud” devo la mia notorietà. Agli inizi degli anni Novanta Alessandro Barbano del “Quotidiano”, attuale vice direttore de “Il Messaggero”, mi chiamò per dirmi che leggeva i miei pezzi sul giornale di Alvino, che non sempre li condivideva ma che gli piacevano, e mi invitò a scrivere per il “Quotidiano”. A due condizioni – mi disse – che i pezzi dovevano essere esclusivi e che avrei dovuto stare attento al codice penale. Nient’altro. A quel tempo il direttore di “Quotidiano” era Giulio Mastroianni e il giornale viveva un periodo piuttosto critico, in seguito a Tangentopoli e alla crisi del Partito socialista. Il “Quotidiano” era un giornale storicamente di sinistra e tale continuava ad essere, ma le cose erano cambiate, c’era ormai ben poco da difendere la sinistra e intanto cresceva la domanda da parte di un pubblico diverso; serviva qualche firma notoriamente di destra. Io facevo al caso. Sicché, per ben dieci anni circa, ho scritto contemporaneamente per “Voce del Sud”, “Presenza Taurisanese” e il “Quotidiano” e sporadicamente per altre testate.
Col “Quotidiano” di Barbano non sono stato mai censurato. Scrivevo in assoluta libertà, ben conscio tuttavia di essere in casa d’altri; non era come stare su “Voce del Sud” o “Presenza Taurisanese”. In ogni giornale bisogna rispettare le sensibilità di lettori, abbonati e sostenitori. Non è solo una questione di galateo, ma anche di sopravvivenza. Le cose al “Quotidiano” cambiarono con l’arrivo di Giancarlo Minicucci, decisamente di sinistra. Commisi l’errore di continuare la collaborazione senza conoscere il nuovo arrivato, sicché nel corso di dieci anni (1999-2009) ho avuto un rapporto piuttosto incidentato, fatto di censure, chiarimenti, inviti a scrivere, periodi di lontananza, riavvicinamenti, marginalizzazioni, prese di distanza e fallite imbeccature. Errore che non credo di commettere col nuovo direttore di “Quotidiano”, Claudio Scamardella. Non mi sembra dignitoso scrivere gratis e per di più col rischio della censura. Un notista politico libero non dovrebbe porsi proprio l’ipotesi della censura e avrebbe il diritto di gestirsi lo spazio da sé. Se si affida ai criteri politici del direttore, che ha interesse a favorire una parte piuttosto che un’altra, finisce per apparire quel che non è. Non ho l’età per sperare in carriere, non faccio politica, vivo del mio e mi basta; e la vanità di chi scrive non ha mai raggiunto in me la curiosità di chi legge.
Sicché anche per questo da settembre ho inaugurato il mio blog “Brogliaccio Salentino”, che è un po’ la mia “Voce del Sud”. Quando compongo un pezzo lo faccio in assoluta serenità. Scrivo quello che voglio e come voglio, esattamente come facevo con don Ernesto prima e con Dino dopo; e per stare anche nell’abitudine faccio in modo di postare i miei pezzi tra il sabato e la domenica. D’accordo, sono come messaggi chiusi in bottiglia e gettati in mare. Nessuno li legge. Ma – col permesso di don Ernesto Alvino che pure al fregarsene, fascisticamente inteso, non fu estraneo – dico con tutta tranquillità che me ne frego. Nell’ètere, pur solitario, mi sento bene; nell’ètere hölderliniano “fido e benigno…padre”.
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