domenica 6 dicembre 2009

Fini la finisca, offende gli elettori di destra

Qualche anno fa alcuni colonnelli di An, parlando tra di loro in un bar nei pressi di Montecitorio, se non ricordo male “La Caffettiera”, ebbero ad esprimere delle valutazioni, non irridenti ma preoccupate, nei confronti di Gianfranco Fini, all’epoca Presidente di An. Un cronista del “Tempo” li sentì e il giorno dopo riferì tutto sul suo giornale. Uno immagina: Fini, il liberale, il rappresentante di una destra moderna, anzi del futuro, europea e laica, chiamò i suoi collaboratori, tutti membri della Direzione Nazionale, per un chiarimento. No, niente di tutto ciò. Fini, con un atto d’autorità, degno di uno zar, azzerò la Direzione Nazionale, “facendo fuori” tutti.
Oggi il suo cosiddetto “fuori onda”, irridente compiaciuto e ruffiano, avendo come spalla un magistrato, con dovizie di accuse contro Berlusconi, viene fatto passare come un normalissimo episodio di dovuta critica all’interno del PdL.
Sgombriamo subito il campo da due motivi di carattere generale. Il primo è che un politico non può prescindere dagli interessi della sua parte, della quale è responsabile. Tutto quel che dice e che fa deve rispondere ad un cogente “cui prodest”. Dunque: dire candidamente che Fini ha ragione nello specifico giudizio sul carattere di Berlusconi è del tutto fuori posto. Un conto è se certe cose le dice un suo avversario, un altro un suo alleato. L’altro motivo è che il suo comportamento, ruffianesco ed irridente nei confronti di un amico o di un alleato politico, è in sé disgustoso. E tale è anche in altri ambiti, come la famiglia, la professione, il circolo cittadino. Non si può parlare in quei termini della propria moglie con l’amante, del proprio marito o dei propri figli, del Dirigente del proprio Ufficio o del collega, del Presidente del proprio Circolo, dell’amico in genere.
I motivi più specifici e di merito sono altri. Se veramente Fini è convinto che Berlusconi è quello che lui dice “fuori onda” e “in onda”, allora lui deve trarne le conseguenze. Ciò lo può fare in un solo modo: prendendo le distanze, esattamente come seppero fare, or non è molto, Follini e Casini. Del resto, la sua critica a Berlusconi da “baruffe chiozzotte” è sostanziata da posizioni diverse da quelle del PdL in varie altre materie, fra cui immigrazione, testamento biologico, procreazione assistita, ecc.. In queste materie Fini è decisamente su posizioni di sinistra.
Verrebbe di pensare che i prodotti di sinistra, abbondantemente scaduti, siano da Fini ripresi e spacciati, con altra data di scadenza, per prodotti niente meno che di destra, anzi di una destra che ancora non c’è, tanto è ipotizzata nel futuro. Non è un caso che la sua Fondazione si chiami proprio “Fare futuro”. Anche nel lessico e nelle categorie culturali Fini è decisamente a sinistra, essendo l’utopia e il futuro categorie che niente hanno avuto mai a che fare col realismo e il pragmatismo tipici della destra. Condizionale per condizionale: verrebbe di pensare che Fini, vuoto com’è di esperienze culturali e di solide letture, neppure si renda conto dei sentieri ideologici che batte, seguendo il fiuto di un predatore.
Ma il comportamento di Fini è oltremodo oltraggioso degli elettori di destra che lo hanno votato e dei quali sembra si sia completamente dimenticato. Salvo che lui non abbia una concezione cinica della politica – e secondo me ce l’ha – non intende considerare che alla base di destra e sinistra – si legga almeno Bobbio – c’è soprattutto una diversa sensibilità. Non è tanto l’affrontare e risolvere certi problemi sociali in sè – oggi come oggi le differenze sono assai minime; quel che distingue è la sensibilità. E’ la sensibilità che fa la differenza. Chi vota a destra non lo fa perché il governo si comporti poi come un governo di sinistra, ma lo fa perché vuole e spera che si comporti secondo il comune sentire, legittimato e garantito dal programma elettorale. Se i politici eletti e giunti al governo non intendono muoversi secondo le loro promesse devono semplicemente andarsene.
Fini, con le sue prese di posizione e i suoi comportamenti, tradisce e offende il suo elettorato, che non è nel futuro della destra, ma è nella destra di oggi; una destra che trova linfa nella sua tradizione. Chi ama la politica sa perfettamente che allorquando si parla di sensibilità e di idee – e gli elettori nella loro stragrande maggioranza di altro non possono parlare, esclusi come sono dal potere politico ed economico – non offende e disprezza l’altrui sensibilità e le altrui idee, ma ritiene che ci sono momenti in cui valgono le une e momenti in cui valgono le altre. Un esempio è all’origine della nostra storia nazionale: quando nel 1876 lo Stato raggiunse con Quintino Sella il pareggio del bilancio, impresa che solo una sensibilità di destra poteva conseguire, si passò ad un governo dalla diversa sensibilità, perché c’era da affrontare una serie di problemi sociali. Non è questione di superiorità di una proposta nei confronti dell’altra, ma di opportunità. Al limite uno potrebbe anche invidiare una sensibilità che non ha, ma con coerenza deve portare avanti la sua e cedere a quella degli altri quando non è più tempo. Se Fini pensa che il suo tempo di uomo di destra sia finito, se si è scoperto una diversa sensibilità, chieda scusa ai suoi elettori, raccolga i ferri, se ne ha, e se ne vada. Il popolo “lo vult”.
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