sabato 31 maggio 2025

Referendum, lo scontro è sul governo

L’art. 75 della Costituzione, come è arcinoto, prevede il referendum abrogativo di talune leggi o di alcuni loro punti. Perché l’esito sia valido è necessario che i votanti siano il 50% più uno. Spesso i sostenitori del NO hanno speculato sugli astensionisti per invalidare la chiamata referendaria, i quali sono sempre nell’ordine del 40-50% degli elettori. Almeno, stando ai risultati di questi ultimi anni. Il referendum così ha tralignato dal merito dei quesiti e di ciò che si intendeva abrogare nel referendum stesso: se invalidarlo o meno astenendosi e suggerendo di astenersi. Questo è accaduto spesse volte in Italia, con esiti a volte scontati, a volte sorprendenti. Famoso l’andate a mare di Craxi e l’esito smentito dai votanti. Quando si crea un certo agonismo tra le parti i protagonisti possono aumentare per una sorta di sfida, che ognuna delle due vuole vincere. Anche per il referendum dell’8 giugno sta accadendo la stessa cosa. Il referendum su alcune questioni del lavoro e della cittadinanza italiana sta diventando un referendum fra chi è determinato a votare, come tutti i partiti di opposizione, a prescindere da ogni altra considerazione, e chi non vota e invita a non votare come tutti i partiti della maggioranza, tranne Noi Moderati, che sono una piccola minoranza. Per la cronaca, essi sono in tutti i quesiti per il NO. L’esito, quale che sia, è già un referendum sul governo; in quanto tale, è sempre un rischio. L’esito, infatti, se pure sarà invalidante – e non è detto che lo sia – resta una risposta al governo, con conseguenze che si possono immaginare. Le opposizioni avranno ragione di chiedere le dimissioni di Meloni e della sua compagnia cantante. Avete detto agli italiani di non votare, hanno votato, dunque c’è una maggioranza nel Paese che non si riconosce nel governo. In politica non sempre, ma qualche volta due e due fa quattro. Perché questo regalo della maggioranza governativa alle opposizioni? Perché tanta ingenuità da parte di politici che per età ed esperienze dovrebbero sapere che in politica l’insidia è nei dettagli, nelle cose piccole, in quelle scontate, negli imprevisti? Lasciamo stare gli aspetti etici di certe uscite, come quella del Sen. Ignazio La Russa, Presidente del Senato, che dimostrano l’inadeguatezza del personaggio a ricoprire una carica così importante. Ha ripetuto più volte che lui non andrà a votare e ha invitato a non andare a votare. È vero, siamo in democrazia; ma le “libertà” di dire la prima cosa che passa per la mente sono soggette a regole da rispettare. La seconda carica dello Stato non può comportarsi come un parlamentare qualsiasi, ma deve assoggettare il suo comportamento a quello che la carica impone. Ma c’è bisogno di una legge scritta per comportarsi come è nella logica delle situazioni? Nei confronti del referendum era necessario avere atteggiamenti soft, lasciare che i cittadini si regolassero sulla base dei comportamenti dei loro rappresentanti e dei propri ragionamenti. Calcoli e speculazioni non sono mai consigliabili, specialmente quando lo scontro politico è particolarmente pretestuoso e a volte fondato sul nulla. In Italia vediamo quotidianamente che perfino su una battuta, una parola si discute per settimane. Insistere a dire non andate a votare è un errore madornale, che non resterà senza conseguenze. Ciò detto, fuori dal vociare confuso e diffuso di questi giorni, votare al referendum non è come votare alle elezioni. Il referendum è l’iniziativa di una parte politica che “impone” agli altri di pronunciarsi su determinate questioni. Se votare o non votare è importante per la validità della prova, è legittimo che uno decida di non votare e più che nel merito dei quesiti si pronuncia sulla validità del referendum stesso. È una questione che non dovrebbe creare il rumore che in genere crea per tutti gli spropositi che si dicono da una parte e dall’altra. Ma la parte più interessata, dal punto di vista politico, a non creare disordini o a non radicalizzare la questione è in questo caso il governo. Ha tutto da perdere dalla radicalizzazione di uno scontro “inventato”. Nelle elezioni politiche, invece, votare è un diritto ma soprattutto un dovere, anche se non c’è legge alcuna che punisca in qualche modo chi si rifiuta di andare a votare. È solo una questione di educazione civica, di sensibilità politica, di doverosa partecipazione alla vita della Nazione, di cui si è parte. È una conquista che i popoli hanno meritato dopo secoli e secoli di lotte e di aspirazioni. Considerare il voto come qualcosa di inutile è come privarsi di una parte di sé.

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