domenica 25 maggio 2025
110 anni fa l'Italia in guerra contro l'Austria Ungheria
Il 24 maggio 1915 l’Italia, 110 anni fa, dichiarando guerra all’Austria-Ungheria, entrò nella Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra. Una data importante per la storia del nostro Paese, che purtroppo scivola sempre più nell’indifferenza, perché non si usa più celebrare le guerre. Si spera così di esorcizzarle. Fino a non moltissimi anni fa il 24 maggio era festa nazionale e la Leggenda del Piave veniva cantata quasi fosse l’Inno nazionale o, come oggi si dice il Canto degli Italiani! Oggi nessun cenno all’anniversario.
Quella guerra, nei confronti della quale il Paese si divise, per la prima volta a livello nazionale da che era stato unificato, tra interventisti e neutralisti, fu per l’Italia il compimento del Risorgimento, la continuazione delle Guerre di Indipendenza. Non a caso da noi italiani fu anche detta la IV Guerra di Indipendenza. Ma non fu una partecipazione scontata, come si potrebbe pensare. Noi eravamo alleati dell’Austria fin dal 1882 con la Triplice Alleanza, un patto peraltro più volte rinnovato. Caso mai avremmo dovuto partecipare al suo fianco o assumere una posizione per favorirla o non danneggiarla. Invece, dopo pensamenti e ripensamenti, valutati i pro e i contri di tutte le ipotesi, compresa quella di non intervenire in cambio di alcune concessioni austriache, decidemmo di compiere la scelta più giusta, quella che ci legava all’idea risorgimentale. L’unica, se vogliamo. Dovevamo portare a compimento la causa dei nostri grandi, da Mazzini a Garibaldi, da Cavour a Vittorio Emanuele II, dagli intellettuali impegnati nei loro studi e pensieri agli uomini di azione che erano caduti nei vari moti susseguitisi in Italia fin dall’indomani del Congresso di Vienna del 1815. In quella sede altri decisero che l’Italia doveva rimanere divisa in più stati e presidiata dalla Santa Alleanza perché nulla mutasse, per impedire insomma che si unificasse, come era nel destino di una delle più grandi nazioni d’Europa. Le guerre di indipendenza erano state fatte contro l’Austria. Se si voleva seguire la strada risorgimentale bisognava perciò riprendere le armi contro l’Austria. Diciamo che il calcolo politico poteva suggerire di metterci d’accordo con l’Austria, ma la passione degli italiani era fondamentalmente antiaustriaca. Difficile dire quanto contò lo spirito interventista contro l’Austria nella scelta finale, sta di fatto che il governo preferì seguire lo spontaneismo nazionalista degli interventisti che il voto del Parlamento che si era espresso contro la guerra.
I cittadini queste cose dovrebbero saperle, dovrebbero seguire le vicende della propria nazione senza enfasi e risentimenti. Rispettare un anniversario vuol dire anche questo. Quando si tratta di una guerra poi l’attenzione deve essere massima perché essa è sempre un’immane tragedia per tutti i partecipanti. Il papa Benedetto XV la definì un’ “inutile strage”, cercò di mediare con un documento che non servì a nulla. Alla fine ci furono paesi vincitori, fra cui noi, e paesi sconfitti; ma tutti, gli uni e gli altri, erano al collasso, in preda a gravi rivolgimenti politici, sociali, economici. Il breve tratto di anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, appena una ventina, dimostra come i problemi dell’Europa non furono risolti dal conflitto.
Ricordare una guerra, vittoriosa o rovinosa che sia stata, è importante, non tanto per il fatto in sé, certo non per esaltare una vicenda comunque tragica, ma per seguire la vita della propria nazione con consapevolezza civica, per apprezzare quanto è importante ciò che i nostri padri hanno fatto e poi lasciato a noi per gestirne le responsabilità e i frutti. Si può essere d’accordo o meno con la decisione di entrare in guerra, ma una volta che la scelta è compiuta e la guerra finita occorre trarre il massimo del bene nazionale dai sacrifici e dalle sofferenze patiti. Coltivarne la memoria è importante per capire e superare i problemi che si pongono nella convivenza delle popolazioni.
Per alcuni anni, successivi alla guerra, la convivenza delle popolazioni di frontiera in Alto Adige è stata problematica per via del fatto che in quella regione la parte che era austriaca si ritrovò dopo la guerra ad essere italiana. Lo stesso Alto Adige gli austriaci lo chiamano Sud Tirol. È stato grazie agli accordi De Gasperi-Gruber del 1946, successivi alla II Guerra Mondiale, che quella convivenza oggi è un modello da indicare a tutte quelle popolazioni nel mondo che vivono lo stesso problema.
Qualche giorno fa una sindaca neoeletta in provincia di Bolzano si sfilò la fascia tricolore, dimostrando di non amare quel simbolo di appartenenza, sentendosi evidentemente austriaca nell’anima. Capiamo da dove viene quel gesto, non capiamo perché lo abbia compiuto, dal momento che certi comportamenti non hanno più ragione di esistere. Si può essere buoni austriaci nell’intimo e buoni cittadini italiani per appartenenza nazionale. Siamo tutti figli della storia, ci è gradito o meno.
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