sabato 10 maggio 2025
Leone XIV, un papa deciso con modi convincenti
Chissà cosa passa nella mente di un papa, appena eletto, nel momento in cui deve darsi un nome che lo consegni alla storia! Forse ogni cardinale pensa a questo, fin da quando viene nominato tale, ed entra in conclave col suo bel nome scelto; o forse ancora da prima, da quando è nominato vescovo o addirittura da quando è sacerdote o decide di entrare in seminario e farsi prete. Chissà!
Il cardinale statunitense Robert Francis Prevost, eletto papa giovedì pomeriggio, 8 maggio 2025, si è imposto il nome di Leone XIV. Un nome molto impegnativo, se pensiamo ad alcuni precedenti; fin dal primo.
Leone I (390 c – 461), detto Magno, convinse Attila, re degli Unni, il flagello di Dio, a risparmiare Roma. Gli andò incontro e con la “forza” della croce “vinse” il più barbaro dei barbari. Un’impresa che ancora oggi ha del miracoloso se pensiamo che Attila era noto perché da dove passava lui non cresceva più erba, tanto era rovinoso e distruttivo.
Leone III (750-816) incoronò imperatore Carlo Magno la notte di Natale dell’800 dopo averlo chiamato in aiuto per farsi liberare dai Longobardi. Con quell’incoronazione, che sembrava più un ringraziamento, creò un precedente che i suoi successori avrebbero utilizzato per stabilire il primato del papa sull’imperatore. Un precedente che di fatto mise più di un imperatore nei guai, perché voleva dire che quello era tale in quanto legittimato dal papa e che dal papa dipendeva per essere riconosciuto tale. Bastava una scomunica per fargli perdere la fedeltà dei suoi vassalli, fra cui ve n’erano che altro non aspettavano per rivoltarglisi contro. Gran parte del medioevo fu caratterizzato dalle lotte tra papato e impero, sul primato dell’uno o dell’altro.
Leone X (1475-1521), della famiglia dei Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, è rimasto il papa del Rinascimento, delle grandi opere, dei grandi artisti, di cui l’Italia è famosa nel mondo.
Leone XIII (1810-1903) è il papa della Rerum Novarum (1891), l’enciclica della dottrina sociale della chiesa. Un documento ancor oggi validissimo nelle sue linee di fondo, elaborato alla fine dell’Ottocento in un periodo in cui il socialismo materialista ed ateo sembrava essere la sola proposta per la soluzione dei problemi del lavoro e della società. Contro la lotta di classe predicava la collaborazione tra le classi. È su quel documento che in Italia si è basata la componente politica cattolica della Democrazia Cristiana di don Romolo Murri, del Partito Popolare di don Luigi Sturzo e ancora della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, giunta fino a noi con le sigle botaniche della Margherita e dell’Ulivo. Non che in materia la chiesa sia rimasta ferma all’enciclica di Leone XIII; dopo ci sono state le encicliche sul mondo del lavoro di Pio XI (Quadragesimo Anno), di Paolo VI (Populorum Progressio) e di Giovanni Paolo II (Laborem Exercens). E – chissà! – che il “nuovo” Leone non abbia in mente di tornare sulla materia per gli opportuni aggiornamenti, di cui oggi c’è gran bisogno.
I problemi che attendono questo papa sono enormi, caratterizzati da apparenti insanabilità. Si spera che sia il papa più indicato. Stando ai suoi trascorsi, egli sembra una persona decisa, ma nello stesso tempo capace di maniere tali da conciliare gli opposti. Ci sono questioni aperte da anni, che papa Francesco ha cercato più che di risolvere in radice di andare avanti con occasionali riconoscimenti, alla buona, contro cui si sono scagliati i difensori dell’ortodossia dottrinale (omosessuali, sacramenti ai divorziati e risposati, diaconato femminile, eutanasia, nuove famiglie). Oggi più che mai è opportuno che il papa torni ad essere il successore di Pietro, torni ad interpretare il ruolo che gli compete per mandato divino, a rappresentare tutta la chiesa, ovvero tutta l’umanità. Pace nel mondo, riconoscimento di diritti tradizionalmente negati dalla chiesa, conflitti di lavoro, ingiustizie sociali sono all’ordine del giorno. Era proprio necessaria una figura di pontefice che riuscisse a gettare ponti fra sponde che sembrano molto lontane, a sanare dissidi incominciando a far accettare alle parti di rinunciare a qualcuna delle loro pretese. Il rapporto col suo predecessore Francesco deve essere nient’altro che una spontanea esigenza argomentativa, un pour parler, fuori da ogni tentativo di creare facili retoriche da papi buoni e papi cattivi. È stato continuamente ripetuto durante la vacanza papale e si aspettava l’elezione del nuovo papa che non si poteva tornare indietro dalle riforme di Francesco. Fra queste una sorta si democratizzazione della chiesa, ad incomiciare dai vertici fino alle diocesi, con periodici incontri sinodali per fare il punto sui programmi e sui progetti. Una questione sulla quale, però, lo stesso papa Francesco non ha insistito più di tanto. Un papato, insomma, quello di Leone XIV, che sembra un’autentica sfida per i prossimi anni a venire.
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