sabato 17 maggio 2025
2027. Morte e rinascita della democrazia in Italia
Il giornalista scrittore Sergio Rizzo, che qualche anno fa scrisse in collaborazione con Gian Antonio Stella «La casta”, in un suo romanzo distopico «2027. Fuga dalla democrazia», ha descritto come possa andare a finire il regime della “Meloni” e dei “suoi”, mai chiamati col loro nome ovviamente. Tutti innominati ma tutti riconoscibili, alcuni con nomi evocativi. La fine del regime “meloniano” è seguita dalla rinascita democratica, questa volta non per opera dei comitati di liberazione nazionale ma di un maresciallo dei carabinieri e di un comandante di marina, i quali disobbediscono agli ordini del “dittatore” ministro degli interni ad interim, dando inizio alla liberazione.
L’autore immagina che alle elezioni del 2027 “nessuno” va a votare, rendendo impossibile la formazione di un governo e di un parlamento. Seguono attentati, con morti e feriti. Il Presidente del Consiglio se la squaglia “col malloppo” e il “successore”, suo vice, instaura la dittatura. Sorprendentemente, ma aggiungerei inspiegabilmente, nella fiction di Rizzo, mancano gli abituali difensori della democrazia, di centrosinistra e di centrodestra; come se fossero morti prima della democrazia stessa.
Rizzo è un giornalista di sinistra, dal volto bonario; ma deve essere un tantino sfiduciato. Di fronte alle difficoltà della sua parte politica di trovare soluzioni possibili, dà sfogo ad un intimo riposto. Per lui la democrazia è di sinistra o non è; non esiste una democrazia di destra, è una contraddizione in termini. E allora che va ad immaginarsi? Qualcosa di radicale: nessuno va a votare per eleggere il capo del governo secondo la riforma approvata del premierato, una sorta di ammutinamento degli elettori di destra e di sinistra insieme, allo scopo di gettare il paese nell’ingovernabilità e nel caos. Nel frattempo fa strame di persone rispettabilissime fino a prova contraria. Il Presidente del Consiglio sparito ha trovato rifugio in Vaticano, mentre è accusato di aver ricevuto soldi dal governo ucraino per sostenere le sue ragioni contro la Russia. Il governo è un’accozzaglia di parenti del capo, una specie di banda tribale che ha occupato tutti i posti di potere, grandi, medi e piccoli.
Rizzo sembra così sintetizzare tutte le pulsioni irrazionali del qualunquismo. Riporta in esergo quel che si legge su un muro di Bologna: «Tutti promettono, nessuno mantiene, vota nessuno». Un qualunquismo che dimostra che sul tema neppure a sinistra scherzano quando ci si mettono. Se gli italiani ancora oggi pensano che in democrazia si possa governare col “detto e fatto” tipico delle dittature vuol dire che la democrazia dei partiti ha fallito su entrambi i fronti, quello dell’amministrare la cosa pubblica e quello di educare le masse.
Alla fine tutto si conclude con un ammutinamento, che mette in crisi definitivamente il regime del ministro ad interim, “Salvini”, mai nominato. Questa volta il comandante della Diciotti disobbedisce e invece di portare al “lager” albanese i migranti, li porta a Pozzallo, dove un maresciallo dei carabinieri andato lì ad arrestarlo per aver disobbedito ad un ordine si rifiuta, e così tutto finisce tra pentiti manzoniani e personaggi deamicisiani. Il Presidente del Consiglio accusato ed estromesso risulta innocente ma pentito si ritira in un convento; il ministro ad interim finisce per rifugiarsi in Russia. E tutta l’Italia, ritrovata la libertà, è in festa: si rioccupano università, si fanno sfilate nelle vie delle maggiori città, tutto torna come prima. Non mancano fatti di cuore, amori omosessuali troncati tragicamente, episodi deamicisiani e soprattutto una lezione: i regimi si abbattono disobbedendo.
La facilità con cui la democrazia italiana, nella fiction di Rizzo, cade e risorge rientra nell’idea che l’autore ha del governo “Meloni”, un castello di carta, dove basta sfilarne una di sotto e tutto crolla. È di tutta evidenza che Rizzo con la sua storia non vuole convincere nessuno, sarebbe troppo ingenuo se questo fosse il suo intento. Il suo romanzo rientra in un genere, quello della distopia-utopia. Tutto avviene non secondo regole e convenzioni ma tutto si muove secondo i desiderata dell’autore. Una storia non vera e non verosimile. Una sorta di divertissement imbottito di giudizi tanto trancianti quanto gratuiti, che raccoglie i luoghi comuni che sul governo Meloni si vanno formulando dall’indomani dell’ottobre del 2022, data di nascita di quel governo. Viene di pensare che il suo scopo è di fare esercizio di propaganda, di opposizione a un governo e a una classe politica che all’autore danno l’impressione di essere giunti alla fine.
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