mercoledì 15 maggio 2024
Taurisano, l'avventura dei poveri cristiani
Taurisano, 15 maggio 2024. Qui il riferimento a Celestino V e a Ignazio Silone è puramente casuale. I poveri cristiani siamo noi, uomini, donne, vecchi, bambini, quando andiamo a piedi e cerchiamo di raggiungere Piazza Castello da Corso Vanini o da Corso Umberto I o di risalire verso Piazza Fontana. Vie strette e trafficate, con fondo stradale sconnesso, con auto parcheggiate che lasciano a quelle in transito appena appena lo spazio per passare. E i poveri cristiani? Cioè i pedoni? Rischiano di ricevere in faccia o sulla nuca un colpo di specchietto retrovisore dai giganteschi suv di passaggio o di lasciare qualche piede o qualche gamba sotto le loro ruote.
Non c’è verso che si possa risolvere il problema. Si potrebbe impedire alle auto di parcheggiare e lasciare l’intera strada alle auto e ai pedoni in transito. Vorrebbe dire creare un centro, un’isola pedonale. Ma il problema non è affatto risolto. Nella stessa condizione di Corso Vanini e di Corso Umberto sono tutte le vie del paese, quale più quale meno. Ci sono punti critici, nelle vicinanze di esercizi commerciali, dove si formano ingorghi che per districarli passano decine e decine di minuti. Per i poveri cristiani non c’è pietà, non c’è soluzione. Qualche anno fa un’anziana signora, nei pressi di un supermercato, fu investita da un camion in retromarcia e uccisa.
La soluzione, sia pure parziale, potrebbe essere l’abbandono delle auto per i piccoli tragitti urbani e fare ricorso alla bicicletta o a qualche mezzo meno ingombrante. È incredibile che in un paese di dodicimila abitanti nessuno usi più la bicicletta per muoversi, neppure una motorella, uno scooter tipo Ciao di una volta, un Vespino. Per strada ci sono automobilisti e pedoni, basta. Poi i soliti ragazzi, che coi loro rumorosissimi scooter sfrecciano senza rispetto di niente e di nessuno.
È una questione di costume e di educazione. Siamo un paese di parvenus. Andare in bicicletta ci sembra una retrocessione a cinquanta-sessanta anni fa, quando non c’era altro mezzo per muoversi da un luogo ad un altro. Nei paesi più evoluti d’Europa ci sono masse di persone che usano la bicicletta, noi no; noi pensiamo di tornare poveri se usiamo un mezzo che si usava nel passato. Che fessi che siamo!
La liberazione delle strade dalle auto renderebbe più sicuro il traffico, più pulita l’aria che respiriamo, offrirebbe opportunità di movimento fisico che è salute per il corpo. La ripresa di biciclette e motorette creerebbe posti di lavoro, per biciclettai e meccanici, che una volta riuscivano a vivere da cristiani ed oggi perfino meglio. Se poi le amministrazioni comunali dotassero le vie di marciapiedi sarebbe veramente il massimo. Si moltiplicherebbero i pedoni, che in sicurezza potrebbero andare in farmacia o al fornaio, al fruttivendolo o all’edicola, alla posta o in banca.
Mi capita spesso di vedere per strada, anche lontano da dove abita, la figura minuta di un’anziana signora novantenne con la sua borsetta al braccio, che, parite-parite, raggiunge i suoi punti spesa, fa le sue compere e fa ritorno a casa. Il Signore volesse che nessuno mai la importunasse e che vivesse il tempo che merita chi è di buon esempio agli altri.
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