domenica 2 luglio 2023

Scuola, anche i professori però...

È da anni, diciamo da quando è entrata in regime di autonomia, che la scuola, coi presidi-manager e gli alunni-clienti, manda alla società messaggi di malessere. Non che prima stesse benissimo, ma conservava ancora saldi i principi cardine dell’ordinamento formativo. Già la scuola entra in crisi a partire dai primi anni sessanta del secolo scorso con l’introduzione della scuola media unificata, quando al fisiologico aumento di domanda degli iscritti non si risponde con un’adeguata offerta dello Stato. Mancano edifici all’uopo, si rimedia con locali d’occasione, vecchi palazzi, locali adattati; mancano insegnanti, si rimedia con figure professionali avulse. Avvocati, farmacisti, veterinari vengono reclutati per sostituire gli insegnanti mancanti di italiano, di scienze, di matematica. I locali sono assolutamente inadeguati, forse anche per questo s’impoverisce l’arredo, a partire dalla cattedra, la pedana da dove una volta troneggiava l’insegnante, col suo alone di sapere e di autorità. Per le scuole superiori non andò meglio, di lì a pochi anni, stessa crisi di edilizia, stessa improvvisazione nel completare l’organico insegnanti. La scuola perde il suo ambiente materiale, ne risente inevitabilmente quello immateriale, molto più importante nel processo educativo e professionale. Il modello che sostituisce il vecchio è la scuola democratica, voluta dal centrosinistra, che però si presenta malconcia fin dall’inizio, essa stessa rimediata alla meglio. L’edificio gentiliano si sgretola negli anni successivi con piccoli ma significativi adattamenti. Poi l’autonomia alla fine degli anni Novanta e la nascita degli istituti comprensivi. Si può essere pro o contro, ma un dato è comune: la scuola non è più una struttura organica e compiuta, ma un farsi continuo alla ricerca di una improbabile identità. Da allora un ripetersi di episodi di mala scuola con relative toppe a “risolvere” i singoli casi. L’ultimo è l’assegnazione di nove in condotta a due ragazzi che nel corso dell’anno, uno ha sparato con una pistola ad aria compressa in classe ad un’insegnante e l’altro ha filmato l’impresa. L’accaduto è grave nei suoi due momenti. Il primo, il gesto dei due ragazzi. Il secondo, il nove in condotta da parte del consiglio di classe, quasi che assurdamente uno fosse conseguenza dell’altro. Voi avete sparato ad un’insegnante e noi vi premiamo con un bel nove in condotta. Il Ministro è intervenuto invitando il dirigente scolastico a rifare il consiglio di classe, atteso che il voto di condotta finale è comprensivo dell’intero anno scolastico e non del solo secondo quadrimestre. Così è stato fatto e il nove è diventato sette. Poi le nuove immancabili direttive del Ministro Valditara sul voto in condotta, come se quelle che c’erano non fossero valide. Semmai non valida ne è stata spesso l’applicazione. Ma, per capire che cosa in realtà sia successo in quella scuola di Rovigo, occorre partire dal primo punto: l’aggressione all’insegnante. Non si può liquidare l’accaduto facendolo rientrare nella casistica dei “giovani di oggi” e delle loro stravaganze e debolezze. Intanto chi viene colpito in un ambiente altamente socializzato com’è la scuola vuol dire che era isolato. In genere e in ogni ambiente si colpisce chi è solo e non gode né di stima né di affetto. Come ognuno sa, specialmente chi proviene da quel mondo, i ragazzi percepiscono certe realtà, sanno che quell’insegnante non gode dell’amicizia e della stima dei colleghi e del preside, non ha vicinanza alcuna. Colpirlo, perciò, si è quasi certi di farla franca o addirittura ricevere un plauso. Quasi sempre l’episodio clou è preceduto da avvisaglie, che si fa male a non considerare. Può capitare che un insegnante non riesca a farsi amare e rispettare, che si isoli. Ci sta. I motivi possono essere tanti, e non è qui il caso di passarli in rassegna. Va da sé che non c’è giustificazione alcuna per quei due ragazzi né per gli insegnanti che li hanno “premiati” col nove in condotta, facendo poi burocratica marcia indietro, ma è importante sapere come effettivamente siano andate le cose. È opportuno che anche l’insegnante vittima si interroghi sulla sua condizione per vedere come e perché si è messa nelle condizioni di subire quel che ha subito sia dai ragazzi che dai colleghi e dal preside. Potrebbe essere per lei l’inizio di una rivisitazione del suo metodo di insegnamento e forse anche del suo rapportarsi col mondo della scuola. Non è una novità dire che se gli alunni maturano coi professori, i professori maturano con gli alunni. Il processo è unico.

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