venerdì 28 aprile 2023

La scomparsa di Raffaele Colapietra

È morto ieri mattina, 27 aprile, Raffaele Colapietra, storico e politologo. Aveva 91 anni. Era nato a L’Aquila il 24 novembre 1931. Studioso rigoroso di non facili approcci critici e umani. Aveva insegnato Storia moderna all’Università di Salerno, che lasciò anticipatamente per mettersi in pensione a causa della sua incompatibilità con l’ambiente. Nei suoi studi si era occupato di Masaniello, delle classi dirigenti meridionali in età moderna e contemporanea, dei partiti politici tra l’Otto e il Novecento, di Benedetto Croce, di cui scrisse una biografia politica in due volumi, forse l’opera sua più importante. Era un carattere difficile, prigioniero di un mito che egli stesso si era inventato, quello dell’aquilano duro e intransigente. Rompeva con tutti, prima o poi; solo con chi, ma molto pochi, per lui provava anche simpatia e gli perdonava le scontrosità e a volte le sgrammaticature sociali, delle quali dimostrava di non curarsi. Aveva trascorsi socialisti, coi quali ruppe quando si accorse che andavano in direzione diversa da quella da lui indicata, una sorta di liberazione, naufragata ancor prima dei gorghi craxiani di tangentopoli. A Lecce veniva volentieri invitato da Mario Spedicato a partecipare alle iniziative della sezione di Storia Patria, che nel 2011 gli dedicò un volume de “L’Idomeneo”, la rivista della Società, in occasione dei suoi ottant’anni. Fu collaboratore di “Presenza” dal 1991 al 2014, con note critiche e recensioni per lo più, con cinquanta testi. Quando seppe delle mie idee politiche – qualcuno maliziosamente gliele aveva riferite – si precipitò a scrivermi che la sua collaborazione era da intendersi esclusivamente culturale. Lo rassicurai; anche per me, gli dissi. Mi definiva un reazionario ci-devant, come i rivoluzionari francesi chiamavano gli aristocratici. La qualcosa non mi dispiaceva. Aveva ascendenze pugliesi. Suo padre era un medico della provincia foggiana, ma lui era fiero di essere aquilano, anche se non voleva essere confuso con altri aquilani, tipo Bruno Vespa o Gianni Letta, da lui indesiderati, e nel 2006 intitolò un suo libro “C’è modo e modo di essere aquilani”. Con noi leccesi aveva un sentimento contrastante di odio-amore, non sopportava la nostra boria di considerare Lecce capitale dell’arte e culturalmente un’altra Napoli. Gli piaceva essere un solitario e forse per questo amava i gatti, in casa ne aveva cinque. Quando nell’aprile 2009 a L’Aquila ci fu il terremoto, la città fu evacuata per ordine delle autorità, ma lui si rifiutò di lasciare la sua abitazione per quanto lesionata. Divenne un caso portato alla ribalta nazionale dal documentario televisivo sul terremoto da Sabina Guzzanti “Draquila”. Toccò anche a me di rompere o forse di subire la rottura con lui. L’avevo conosciuto a Taurisano nel giugno del 1991 ad una conferenza che egli tenne “La Napoli del giovane Vanini”, che pubblicai su “Presenza” nel dicembre di quell’anno. La rottura accadde per i due militari italiani del San Marco che avevano ucciso dei pescatori indiani scambiandoli per pirati. Quando furono finalmente liberati, me ne rallegrai con una noticina su “Presenza”. La sua reazione, more solito, fu smodata. Mi scrisse una cartolina infuriato definendo i nostri militari “volgari assassini”, chiedendomi di pubblicarla. Mi rifiutai, anche per ragioni penali, evidentemente; e così fu la fine del nostro rapporto. Ma lo ricordo con simpatia e soprattutto con ammirazione. Aveva una grafia minutissima. Scriveva come parlava, con periodi molto lunghi, pieni di incidentali e subordinate, ma perfetti nella chiusura formale e logica. Nelle sue recensioni di solito coglieva un aspetto dell’opera recensita, quello che si prestava maggiormente alla contestazione e alla polemica e su quello argomentava e concludeva. Spesso, nei convegni e nelle conferenze, si rifiutava di consegnare il testo scritto dei suoi interventi e così molti di questi, non registrati, sono andati perduti. Avete fatto male a non registrarli, diceva, seccato; e qui forse non aveva del tutto torto. Anch’io, in occasione degli ottant’anni, gli dedicai un libro, “Raffaele Colapietra. Gli ottant’anni di un aquilano indomito”, una raccolta di scritti apparsi su “Presenza”, con una lunga prefazione. Immagino che rimase soddisfatto, ma non bastò, al momento opportuno, neppure a farmi uno sconticino per i due marinai.

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