domenica 29 gennaio 2023

A quando le scuse della Repubblica?

Il 27 gennaio è stata una Giornata della Memoria straordinaria, perché per la prima volta nella storia della Repubblica al governo c’era la Destra, post fascista e post missina. La stessa Meloni era attesa ad una prova per lei inedita. Come se la sarebbe cavata di fronte ad un passaggio chiave dell’anno repubblicano e antifascista? Sarebbe stata lei in grado di onorare l’appuntamento? Queste ed altre domande sono state poste più volte dai giornalisti agli interessati sempre alla ricerca di qualche risposta politicamente scorretta da sventolare. Invece la Meloni è stata politicamente correttissima. Ha detto che la Shoah è stata “l’abisso dell’umanità” e ha partecipato a tutte le cerimonie istituzionali. Perfino La Russa, Presidente del Senato, che non risparmia risposte secche e menefreghiste, si è dimostrato all’altezza della situazione. Eppure per alcuni esponenti dell’establishment democratico e antifascista, come lo storico dell’arte Tomaso Montanari e compagni, che non vogliono rendersi conto che le cose sono mutate in Italia e nel mondo, non è bastato. Essi scorgono nelle parole e nei comportamenti democratici dei cosiddetti fascisti un principio di opportunità, nient’altro che stare in scena. Ora, se è vero che in democrazia perfino chi accarezza e nutre idee antidemocratiche può e deve comportarsi da democratico, è anche vero che a certe conclusioni si arriva gradatamente e con sincera convinzione. Per i discendenti dal Msi, oggi Fratelli d’Italia, il problema degli ebrei non si pone fin dai tempi di Giorgio Almirante, che, fino alla Repubblica Sociale, era stato un razzista, collaboratore di quel Telesio Interlandi che era stato direttore del periodico “La difesa della razza” e del quotidiano “Il Tevere”, autore, fra l’altro di un libro intitolato e argomentato “Contra Judeos”. Il segretario nazionale missino non negò mai di essere stato razzista, come altri fecero per carriera politica, ma con altrettanta determinazione si disse più volte, non solo verbalmente ma anche per iscritto, di essersi sinceramente ravveduto, riconoscendo che il razzismo fascista era stato un tragico errore, non solo politico ma anche umano. Con l’esempio di Almirante, che viene sempre chiamato in causa per i suoi trascorsi, come se fu l’unico fascista dalle Alpi al Lilibeo, si sono sinceramente ravveduti i missini, che nell’interminabile guerra fra israeliani e palestinesi hanno sempre preso parte per gli israeliani. Gli italiani, anche di destra, non hanno messo molto a rendersi conto dell’obbrobrio delle leggi razziali e delle loro conseguenze, se è vero, come è vero, che molti si prodigarono come potettero ad aiutare gli ebrei nostrani. Lo stesso Almirante, durante la Repubblica Sociale, nascose una famiglia di ebrei, dai quali poi ebbe aiuto quando fu lui ad essere perseguitato, in totale rovesciamento delle parti. Semmai oggi la Repubblica dovrebbe riconoscere che milioni di italiani missini che operavano democraticamente al servizio delle istituzioni e della democrazia meriterebbero delle scuse per essere stati sistematicamente esclusi quando non addirittura perseguitati. Nel corso della cosiddetta prima Repubblica la democrazia, per ammissione unanime, è stata incompiuta, bloccata, perché fuori del potere erano i comunisti a sinistra e i missini a destra. Ma a pagare più cara la difesa della propria identità sono stati i missini, i quali hanno vissuto come stranieri in patria, in una sorta di apartheid. Nessuno può oggi negare che la democrazia in Italia, pur con tutte le sue debolezze, è assai più compiuta di quella precedente a Tangentopoli. Oggi non c’è una sola forza politica che non possa competere per raggiungere il potere; non ci sono preclusioni e tutto è in movimento. Questa condizione, frutto di una serie di circostanze, non solo nazionali, penso alla caduta del Muro di Berlino e al disfacimento dell’Urss, è di gran lunga migliore di quella uscita dalle elezioni del 1948, quando la Democrazia Cristiana battè il Fronte Popolare socialcomunista e chiuse alla Destra. De Gasperi non si limitò a dettare la linea, la Dc è un partito di centro che va a sinistra, ma si oppose perfino al volere di Pio XII e non volle allearsi col Msi per l’elezione dell’Amministrazione capitolina. C’è ancora in Italia chi vorrebbe tornare alla democrazia ad una direzione e mal si riconosce in quella che, pur coi difetti che presenta, è una democrazia aperta, che non lascia fuori della porta nessuno con dei pretesti. Questa democrazia dovrebbe sapere anche riconoscere i torti del suo passato.

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